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Chi è il mostro?
Romanzo classico inglese dell’ottocento.
Il Dott. Frankenstein, ambizioso studioso delle scienze naturali, brama di riuscire nell’impresa nella quale solo Dio può, ridare la vita ai morti. Crea così un umanoide di fattezze brutte e ripugnanti, ma di grande cuore e nobile animo, che chiede solo di essere accettato. Non trovando riscontro positivo alle sue richieste, anzi scontrandosi con persone incattivite dal suo aspetto, da gigante buono diventa un orco cattivo, come quelli delle fiabe, e ne paga le conseguenze per primo un innocente bambino. Spetta ancora al suo creatore decidere la sorte della disgraziata creatura, quale è la scelta migliore, distruggerlo o aiutarlo?
L’inizio dell’esistenza di questo gigante, che non ha un nome proprio e non mi va di chiamarlo mostro, segna la fine del sogno folle di Frankenstein, lunghi anni a sperimentare e a meditare su un gesto che va al di là di ogni buon senso, con la presunzione di dare ciò che è stato tolto da qualcuno di superiore all’uomo. Chi è il mostro? La mente che ha partorito un desiderio simile per poi pentirsene e scacciarlo o chi si è trovato su questa terra senza chiedere nulla ed abbandonato a se stesso? Che tristezza, che fatica, arrancare ogni notte per sopravvivere, completamente soli! La diversità, di qualsiasi natura, fa paura. Il non bello è penalizzato in partenza. Nella società prevale l’esteriorità, è difficile incontrare persone che mostrino interesse verso la sostanza. Alla base ci sono solitamente diffidenza e pregiudizi, raramente apertura mentale con capacità di ascolto.
Ho appreso che anche per l’autrice è stato così, la sua vita è iniziata quando è terminata quella della propria madre, morta di parto. Le pagine del romanzo sono impregnate del senso di colpa per la propria esistenza, il disprezzo verso sé stessi. Credo valga per entrambi, per Mary e per la propria creatura letteraria.
Lo stile di Shelley mi piace, è dolce, elegante, romantico. Si sente proprio che è una penna tutta al femminile, forse un po’ troppo, anche i personaggi maschili hanno un qualcosa di effeminato. Se tutti gli ometti si esprimessero con così tanta grazia e cura, attenti al peso delle parole, riguardosi nei confronti delle fanciulle non si potrebbe più dire che gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere! Ma anche così non ci sarebbe il giusto equilibrio!
Le descrizioni dei personaggi e dei luoghi sono dettagliate ma non pesanti. Due note stonate però ci sono. La prima è il lessico del gigante, capisco che sia un autodidatta e concordo che si possa davvero imparare di tutto applicandosi, ma è improbabile che si possa passare da una conoscenza pari a zero in ogni campo ad un linguaggio così forbito da far invidia a docenti universitari di altissimo livello! La seconda è la pacatezza degli avvenimenti e dei sentimenti, avrei preferito qualcosa di più forte.
Cara Shelley, avresti dovuto mediare! Ma ti perdono, perché nel complesso la tua opera mi è piaciuta, è originale, scorrevole e piacevole!
“Niente è più doloroso per la mente umana, dopo il tumulto dei sentimenti suscitati da una rapida successione dei fatti, della calma assoluta dell’inazione e della certezza che subentra e toglie all’anima sia la speranza sia la paura”
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@Robbie: grazie!
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