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La vanità prima di tutto
PROLOGO
Vorrei anticipare, dato l’alto punteggio che l’opera ha ricevuto, il mio rispetto per le altrui opinioni e vorrei che il mio commento un po’ “avvelenato” non fosse travisato. Non voglio offendere la sensibilità di nessuno e chiedo venia in anticipo per i contenuti scaturiti dalla mia amarezza.
Christopher McCandless aveva sette libri nel suo grosso zaino. Oltre ad alcuni chili di riso e all’attrezzatura di base per poter sopravvivere nella natura più aspra. Aveva sette libri fondamentali che lo avevano spinto a compiere un percorso arduo, nobile e unico. Spinto dal grande amore e dal grande interesse personale per la storia di questo solitario viaggiatore, di cui ho raccontato nella recensione di “Nelle terre estreme” di Krakauer, ho ritenuto doveroso e necessario un approfondimento ulteriore per arrivare a capire, nel modo più chiaro possibile, le ragioni di una scelta di vita così radicale come quella del “vivere solo con quanto la natura dona”. Tra questi sette libri, il capofila prescelto è stato il “Walden” di Thoreau, che campeggia, assieme ad altri importanti classici, nella piccola libreria portatile di McCandless.
La delusione è molto amara. Non so cosa mi aspettassi di trovare, forse qualche lirica descrizione di ameni paesaggi boschivi, forse qualche esperienza di vita che mi facesse ancora una volta assaporare il gusto dell’avventura, dell’aria fresca del mattino, dell’odore di resina dei pini e della corteccia sotto le dita. Non so, forse ingenuamente mi aspettavo qualcosa che mi cullasse nella speranza di poter veramente vivere di persona determinate situazioni di ineffabile libertà, fisica, spirituale, mentale. Beh, se cercavo questo ho proprio sbagliato libro. E se da una parte la colpa è da ascrivere al sottoscritto, per aver preso una svista sui contenuti del “Walden”, dall’altra parte mi sembra che la colpa sia anche in parte del signor Thoreau, con tutti gli allori al suo seguito.
Si tratta fondamentalmente di un saggio, sul fondo del quale si delinea l”esperimento” compiuto dall’autore. Esperimento che consiste nel vivere due anni in un bosco cercando di essere in tutto e per tutto autosufficiente, partendo da zero. Esperimento che apparirebbe tutto sommato interessante se fosse stato raccontato senza che ogni azione compiuta dall’autore venisse descritta come un modello da seguire in senso manualistico, e senza che ogni azione si caricasse di un’aura quasi mitologica di forza, potenza e ingegno.
Quello che oggettivamente ho trovato non è tanto un saggio che, dati alla mano, vuole mostrare non solo come sia possibile, ma anche facile una vita impostata sulla semplicità. Non è la riprova dell’indolenza dell’uomo moderno nell’evitare di perseguire stili di vita meno degradanti e certamente più salutari. Non è la dimostrazione di quanto, con le proprie mani, con la propria intelligenza, con la propria forza di volontà, l’uomo sia ancora in grado di costruirsi un’esistenza partendo da quello che trova in natura e nel rispetto di essa. Non è niente di tutto questo, ma avrebbe potuto esserlo. Quello che, invece, è, a parer mio, è un un’immenso inno allo smisurato ego dell’autore, evidentemente famelico di altrui considerazione. Un concentrato di insegnamenti, tanto non richiesti quanto malevolmente elargiti, su come dovrebbe essere vissuta la vita. Sul modo GIUSTO di vivere, comportarsi, abitare, vestire, gestire finanze domestiche e professionali. Il cui modo giusto, guarda caso, è proprio quello messo in pratica dal caro Henry, che, arroccato sul suo pulpito, da moderno Savonarola, giudica la misera umanità al suo cospetto come una ipocrita massa di decerebrati dediti solamente al gusto per le frivolezze e per tutto ciò che non riguarda esclusivamente il vivere come uomini delle caverne. Perché se tutti facessero questa cosa come la fa lui allora sì che le le cose andrebbero a meraviglia! Se tutti facessero quest’altra esattamente come lui ha scoperto sia giusto farla allora l’umanità si libererebbe da questa piaga! E se non bastano le sue gentili indicazioni su come impostare la propria esistenza, nel senso più ampio che può possedere questo termine, allora state in guardia alle numerose, pomposissime, ampollose prediche che fanno del “Walden” uno dei più grandi capolavori di vuota e vana retorica che mi sia mai capitato di incontrare.
Detto in altri termini, di prediche me ne sorbisco già a sufficienza senza il bisogno di andarmene a cercare, proprio quando, inoltre, mi appresto con il capo chino ad assorbire la sapienza di qualcuno che, piuttosto che donarmela umilmente e in buonafede, me la sbatte in faccia come dimostrazione della indiscutibile verità del proprio agire e del proprio pensare.
Mi piace la rottura delle convenzioni, mi piace il ritorno alle origini, mi piace l’annientamento di ciò che nella vita è superfluo o addirittura dannoso per la nostra serenità, mi piace tutto questo e sono il primo a disprezzare, in svariate occasioni, il comportamento collettivo dell’uomo, nelle sue barbarie contro gli altri e se stesso. Ma mi piace se tutto viene fatto con un senso, con cognizione di causa e non ciecamente. Quello che mi sembra abbia fatto Thoreau è un rinnegamento tout court, di tutto il pacchetto, compreso quel poco che l’uomo, nella sua imperitura imperfezione, ha prodotto di onorevole durante la sua presenza su questo mondo. Compreso tutto quello che l’uomo è ed è stato capace di esprimere tramite i più disparati veicoli espressivi. Non mi piace che tutto quello che l’omo ha da dare venga catalogato come inutile, in una filosofia dell’utilitarismo che taglia fuori dal tutto qualsiasi accezione poetica che possa colorarci la vita. Come ogni estremismo, come ogni fondamentalismo portato al limite, credo che la teoria dell’autore, espressa, inoltre, in termini così carichi di presunzione e di saccenza, si dimostri più infarcita di ipocrisia di tutte quelle formulate da intellettuali che non hanno dovuto spaccarsi la schiena e farci vedere le ossa rotte (vantandosene) e che sono comunque riusciti a farci capire che un modo di vivere differente è possibile. Che un modo per scappare dalle etichette, dagli schemi e dalla frustrazione che la vita ci riserva di tanto in tanto, c’è e si trova a contatto con la natura più profonda.
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Commenti
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solo una nota critica: lettura consigliata "no".
resta comunque un caposaldo nel suo genere ed un'opera che ha ispirato l'intero pensiero trascendentalista oltre che una certa corrente ecologista.
ci penserei prima di gettarlo nella pigna della carta straccia.
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