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Uno studio in rosso
La comparsa di Sherlock Holmes sulla scena letteraria avviene con questo che è il primo dei quattro romanzi a lui dedicati (oltre ai numerosissimi racconti), fra i quali gli è superiore solo ‘Il mastino dei Baskerville’. E questo malgrado lo spazio lasciato alla ricerca del colpevole sia ridotto: l’inizio è occupato dall’introduzione dei personaggi – l’investigatore, i suoi metodi e lo stolido Watson che racconta il tutto – e la spiegazione del delitto la prende molto alla lontana, con una sorta di romanzo western, che si porta via un terzo delle pagine, innestato nel giallo londinese. Uno schema che sarà ripetuto ne ‘La valle della paura’, sia pure a supporto di un intreccio meno valido: il lettore si trova dibattuto tra la bellezza delle pagine dedicate agli spazi aperti dello Utah e il bisogno di tornare all’ambientazione britannica, anzi alla città di Londra, che pare inscindibile dai personaggi principali. Bisogna dire che l’autore non fa nulla per rendere simpatico Holmes, ritraendolo come un tizio strambo e ai limiti del maniacale – beffarda pare la lista, redatta da Watson, delle sue conoscenze nei vari ambiti – ma con una straordinaria capacità di osservazione e un acume profondo esercitato soprattutto nel metodo deduttivo (l’ispirazione del quale venne a Conan Doyle da un suo professore universitario). Il buon Watson, reduce dall’Afghanistan, si adatta con la sua intelligenza media alla convivenza in Baker Street, restando sempre più ammirato dalle doti di quello che pian piano diventa un amico, sia pur scorbutico: la morte, all’apparenza inspiegabile, di un americano in una casa abbandonata della periferia viene risolto in souplesse nel giro di tre giorni con scorno di Scotland Yard che però riesce ad attribuirsene i meriti. Forse, per gli standard odierni, l’individuazione dell’assassino avviene con eccessiva facilità e pure qualche forzatura (non tutti i passaggi sono così logici come Holmes vorrebbe e qualcuno dà l’impressione di non reggere a un’analisi approfondita) ma la lettura scorre con estrema facilità mentre le pagine richiedono di essere voltate: motivi per cui Conand Doyle, grazie al suo personaggio odiato e amato (ma che, non va dimenticato, è un precursore), funziona ancora oggi anche di fronte a un pubblico assai più smaliziato.