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INETTI
ho provato a riflettere su cosa potesse caratterizzare questa "gente di Dublino", e la risposta che mi sono dato è proprio questa: l'inettitudine. In ogni racconto i vari protagonisti intraprendono un viaggio interiore che termina sempre in un senso di inadeguatezza e di pentimento. che sia rinunciare a partire per l'america, riconsiderare il proprio concetto di amore dopo le rivelazioni dell’amata, picchiare i figli per un'umiliazione subita o scontrarsi con propria solitudine e riconoscere l’ incapacità di condividere i propri sentimenti, nessuno dei personaggi è in grado di dirsi felice di quello che ha fatto o di ciò che lo circonda. lo scopo che ognuno di loro si è posto e le scelte coraggiose che pensavano di dover effettuare per cambiare qualcosa nella propria vita si arrendono di fronte alle usanze di una città cupa e statica. ma sarà veramente colpa delle credenze religiose e politiche di questa Dublino dei primi del novecento? JOyce è partito da ciò che meglio conosceva, la propria città. ma proprio partendo da questa realtà di provincia è stato in grado di mettere in luce quello che non accade solo a Dublino o in Irlanda, ma che avviene ogni giorno in ognuno di noi, e la funzione di questa fredda e pesante capitale nordica è solo quella di una grande cassa di risonanza del silenzio che queste anime trasmettono, influenzandosi vicendevolmente.
Paradossalmente è quello che avviene anche oggi, nel mondo della velocità, della frenesia, dei lunghi viaggi e del cosmopolitismo, mondo in cui il tempo di fermarsi davanti alla finestra per guardarci dentro ci è spesso rubato dalla televisione o dal computer.
quello che si prova nel leggere questo libro è un sentimento di voglia di rivalsa tradita, è la descrizione di una gioventù che si auspica cambiamenti che poi nessuno dei protagonisti è o è stato in grado di fare. è come se i morti citati nel titolo dell'ultimo racconto non fossero quelli che non ci sono più, ma coloro che non hanno vissuto nelle pagine di questo libro, perché ritrovatisi ad essere vittime di rivelazioni che hanno annullato quel fragile senso di esistenza che una città come Dublino o una cena tradizionale dalle zie erano state in grado di proteggere.
Che cosa ha portato queste anime ad affrontare la propria vita in questo modo? di chi è la colpa? di quelli che hanno creato Dublino, o di quelli che si sono arresi nel viverla così come l'hanno trovata? Ammesso che poi di colpa, e non di naturale predisposizione dell’animo umano, si possa parlare.
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molto esaustiva la tua recensione!