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Due sosia in conflitto
Come segnalato dalla copertina stessa, Il Sosia è inserito propriamente nella sezione dei classici moderni, ovvero una serie di racconti scritti in epoche passate (per Il Sosia si parla di 1846) ma con temi e circostanze che ricalcano pienamente anche situazioni attuali.
Il tema principale, ovvero la doppia personalità del protagonista Goljadkin, diviso in ciò che lui è, ovvero timido e impacciato, e ciò che invece vorrebbe essere, cioè scaltro e ambizioso, può essere riferito anche alla società attuale (come probabilmente a ogni società passata) e a ogni individuo stesso.
La situazione di Goljadkin è portata all’esasperazione: viene a crearsi un nuovo individuo, uguale per ogni aspetto fisico al cosiddetto “Goljadkin numero uno”, ma opposto nel comportamento e nelle attitudini e per di più nemico e ostacolo del protagonista. Questa proiezione mentale lo porta a distruggere il proprio mondo reale: Goljadkin perde la reputazione di bravo cittadino, seppur sempre stato piuttosto particolare, venendo invece considerato inaffidabile, pericoloso e bugiardo. Perde il posto di lavoro, ogni contatto con la buona società e persino il domestico Petruska.
Il racconto è composto per la maggior parte da dialoghi e dai pensieri di Goljadkin, il quale si sforza di trovare una soluzione al problema del suo doppio, ma conclude sempre con l’arrendersi e sperare che la situazione vada per il meglio o si sistemi senza nessun particolare stratagemma. Il Protagonista si sforza di prevedere gli avvenimenti, di valutare ogni opzione dei suoi piani quasi mai messi in pratica nel modo corretto e sembra che passi gran parte del racconto ad arrovellarsi invece di agire.
Anche i dialoghi indicano la sostanziale differenza tra i due sosia in conflitto: il numero uno spesso balbetta, ha difficoltà a seguire il filo del suo stesso discorso, tende a ripetere innumerevoli volte il nome del suo interlocutore in segno di rispetto e inferiorità. Il secondo invece è carismatico, eloquente e, seppur servizievole, sicuro di sé e determinato.
Lo stile è semplice, non vi sono parole eccessivamente ricercate ma, spesso, soprattutto nelle sequenze riflessive, manca di scorrevolezza, forse a sottolineare la confusione mentale di Goljadkin stesso.
Il finale è piuttosto enigmatico: non viene svelato chiaramente se l’esistenza del sosia sia reale o solo immaginata da Goljadkin stesso, ma, siccome sembra essere poi portato in manicomio, credo che il suo fastidioso doppio sia solo frutto della sua immaginazione e paranoia. La mancanza del tradizionale lieto fine sembra lasciare il discorso incompleto: il protagonista ha sofferto e passato numerose difficoltà senza un capovolgimento finale, senza una ricompensa o per lo meno un ritorno alla situazione iniziale.
L’amarezza e l’insoddisfazione che accompagnano Goljadkin da inizio libro rimangono fino e, soprattutto, all’ultima pagina, trasmettendosi al lettore, che probabilmente sperava in un finale meno crudele per lo sfortunato eroe pietroburghese.