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Un Dio mancato
L’errore più grande che si potrebbe commettere nel giudicare questo capolavoro, è quello di ridurlo ad un’unica prospettiva, ad un unico orizzonte, smussando gli angoli che sembrano talmente pericolosi da poter trafiggere il lettore. Si potrebbe creare una linea interpretativa retta, senza deviazioni, correre a perdifiato seguendo una sola strada, mentre si perdono di vista dettagli, sensazioni, atteggiamenti.
Non c’è soltanto la trama, ma un universo sconfinato di uomini che lottano contro la realtà, e che tentano di ripararsi sotto i colpi della vita, attraverso l’alterigia, l’indifferenza, la ricchezza e il potere. Psicologie complesse sembrano intrecciarsi seguendo il fluire si una penna capace di incidere nella roccia viva pensieri pulsanti. Come una scultura incompiuta che sembra volersi liberare dalla roccia, quella tensione espressiva che sembra poter esplodere e combattere contro la gelida immobilità dei minerali. Corpi incatenati alla realtà, alla loro origine, che si conformano alle norme condivise piombando spesso in contraddizioni vistose, talmente pressanti da sgretolare certezze, da obliterare la speranza nel disfacimento interiore. Sono personaggi che nascondono un malessere psicologico e che la penna di Dostoevskij sembra scavare con piglio umano, ma implacabile. Strumento perfetto è il bagliore fulgente del Principe Myskin, un lampo accecante che penetra nelle profondità del cuore, della mente, e che sembra almeno per un momento dissolvere le ombre del pensiero per trasformare qualsiasi interlocutore in un bambino capriccioso, in un essere sofferente, in una donna puntigliosa. Il principe Myskin è un uomo che penetra nell’abisso dell’animo, terribilmente e pericolosamente puro in un mondo in cui la libertà è subordinata ai vincoli sociali e l’apparenza è religione. E’ una società in cui la compassione indiscriminata sembra annullarsi nella dimensione dell’idiozia.
Ma il principe è davvero idiota? Sì per la società russa che lo identifica come uno stupido, un bambino ingenuo di cui si criticano gli atteggiamenti, ma di cui non si può non ammirare la bontà. Il candore dell’ingenuità. Il principe è un uomo impreparato alla vita, la cui logica, dettata dal cuore, e quindi naturale inclinazione, è quella di soffrire insieme agli altri, di accecare nel bianco splendore della sua dolcezza il dolore che grava su chi lo circonda. E’ una semplicità quasi disumana, al limite dell’irritante, e qualche volta si pensa “che idiota!”. Forse sarebbe più giusto dire “fuori posto”. Il principe Myskin è un Dio mancato, un essere quasi privo di volontà, che sembra seguire una moralità rigida mai discussa, mai dubitata: la moralità della misericordia. Una misericordia quasi eterea e per questo incapace di liberare gli altri dalle catene della società, che la pietà stessa del principe non può conoscere senza il rischio di macchiarsi dei peccati, della corruzione degli altri. Un novello Gesù che deve sacrificarsi. Non per gli altri, ma per curare se stesso.
Una galleria di personaggi scolpiti nei dettagli più profondi riflette gli effetti dello “splendore della bellezza”, quell’aiuto disinteressato che soltanto il principe sembra poter offrire.
U capolavoro che offre una lente per osservare la realtà con altri occhi, un messaggio rivoluzionario che può segnare profondamente una mente, il quale cova in un universo appena distante dal lettore, pronto per essere colto , per passare di mano in mano attraverso i secoli. Nel principe Myskin si concretizza paradossalmente la figura dell’uomo buona, un personaggio dall’atteggiamento dilatato sino all’estremo e che si rivela inadatto per la missione che sembra dover compiere: salvare, con la sua bellezza, il mondo.
Ma è un uomo in cui non si annida il male e che dunque non può capirlo se non attraverso congetture le quali, seppur acute, restano ammantate da quel velo di luce soffusa che sembrano soltanto apparentemente cacciare le ombre dell’animo umano, per poi ricrearle come sbarre gotiche che imprigionano quel briciolo di umanità che le aveva quasi sconfitte.
Non si può annichilire il male senza conoscerlo, non è lo “splendore della bellezza” che salverà il mondo, bagliore di cui il principe è la naturale incarnazione, ma la compassione, la capacità di provare pietà (non in senso dispregiativo) per gli altri, indiscriminatamente. Il mondo sarà salvato dalla disponibilità degli uomini di macchiarsi delle colpe e delle sofferenze dei simili, di condividerle in loro e sopportare insieme agli altri il pericoloso fardello.
Dostoevskij insegna a guardare il mondo. Una società che definisce la compassione Idiozia per non doverla soppesare. E il principe Myskinè un lampo che trasforma le malvagità umane in “febbre celebrale”. Nessuno lo comprende. Tranne Nats’ja, a lui simile, gli estremi di una fragilità che conduce inevitabilmente alla distruzione. Quello di Dostoevskij non è un messaggio si speranza, ma di amara critica.
Cerchiamo la bontà, ma al suo cospetto chiudiamo gli occhi. E' forse un'idiozia?
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Commenti
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@Federica: Mi hai dato l'imput, è stat una recensione ragionata!
@Syd: Te lo consiglio anturalmente!
@Marcella: Un professore di filosofia? Wow, quanti complimenti e in effetti è un putno di vista personalissimo, questi testi bisogna cercare di renderli anche un po' nostri!
Antonella: molto acuta, è vero, è una recensione generosa!
@Alesasndro: grazie!
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