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Lettera al padre
 
Lettera al padre 2012-09-10 19:16:55 Venenix
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Venenix Opinione inserita da Venenix    10 Settembre, 2012
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E tutto è cenere.

"[...] invece io mi sono sempre rifugiato nella mia stanza, tra i libri, con amici esaltati, in idee stravaganti, sfuggendoti"

Così Kafka si definisce, si limita, in una lettera scritta al padre nel novembre del 1919.
Di solito quando si parla di Franz Kafka, le persone cominciano a guardarsi intorno imbarazzate cercando disperatamente di fuggire e di allontanare la conversazione. E, tra le persone colte, di solito, quando si cita Kafka, subito la mente elabora un pensiero: scarafaggio. Sì, è un po' come il gioco dei collegamenti: se io vi dico Dumas, tutti pensano a "Il Conte di Montecristo"; se dico Verga, tutti pensano a "I Malavoglia"; e se dico Kafka, tutti pensano giustamente "La Metamorfosi".
Ma Kafka non è quell'uomo dal grande talento, quell'uomo criptico, misterioso e forse anche un po' svitato. In Lettera al Padre, Kafka rivela chi essere veramente: un figlio che non riesce a riconoscere il volto del proprio padre.

"Ad ogni modo eravamo così diversi e in questa diversità così pericolosi l'uno per l'altro, che se fosse stato possibile prevedere il reciproco comportamento del bambino nella sua lenta crescita - io - e dell'uomo maturo - tu - si sarebbe dovuto dedurne che mi avresti semplicemente schiacciato senza lasciare traccia di me"

Il padre di Kafka è un uomo rigoroso, non ama che il figlio frequenti amici strani e che affoghi nelle sue idee stravaganti e di cattivo gusto, l'orgoglio e l'onore della famiglia è ciò che più conta. Peccato che il piccolo Franz voglia avvicinarsi al padre. Con il passare degli anni, il padre si fa sempre più schivo, sempre più lontano, talmente tanto lontano da riuscire solo più a riconoscerne la sagoma sfocata. Franz lo dice già subito, all'inizio della lettera: non dimostrava verso di lui sentimenti malvagi, odio o disgusto o addirittura insofferenza... ma freddezza, estraneità, ingratitudine.

"Già era sufficiente a schiacciarmi la tua sola immagine fisica. Ricordo, ad esempio, quando ci spogliavamo nella stessa cabina. Io magro, debole, sottile, tu forte, alto, imponente. Anche dentro la cabina mi facevo pena, non solo davanti a te, ma davanti al mondo intero, perché tu eri per me misura di tutte le cose".

Nonostante tutto, però, Franz continua imperterrito e in modo quasi incessante di ricordare a sé stesso e al mondo che sta cambiando attorno a lui, l'affetto che prova per quell'estraneo che si fa chiamare padre. Franz continuerà a ricordarlo a tutti, per tutta la sua vita letteraria: ci saranno citazioni ne Il Processo, in cui la figura dello zio che vuole mettere sopra a tutto [anche il benessere del proprio nipote] l'orgoglio e l'onore della famiglia ricorderà inesorabilmente quella del padre; ci saranno citazioni ne La Metamorfosi, il padre che non vuole far uscire il figlio diventato scarafaggio perché tutti si metterebbero a ridere e renderebbero ironica, quasi assurda e demenziale la vicenda.

Il bello di questo libro non è solo il modo in cui Franz Kafka si scopre delle sue vesti di scrittore criptico e strambo per certi aspetti, ma il momento in cui si scopre che dietro la maschera di Franz Kafka ci sia il volto di tutti noi. Tutti possiamo rispecchiarci in lui durante la lettura, tutti possiamo scorgere la figura di suo padre allontanarsi, diventare un estraneo.

Kafka riuscirà effettivamente a trovare il coraggio per consegnare la lettera alla madre affinché la dia al padre, ma tutto questo sarà inutile: la letterà gli verrà restituita senza che il padre l'abbia mai letta. Da questo punto in poi, quello che sentirà Kafka sarà sempre e solo un immenso senso di colpa.

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