Dettagli Recensione
Gli anni si fanno sentire....
Ci sono classici che dopo secoli rimangono stabili sul podio dei capolavori e anzi, acquisiscono ancora più fascino, mentre esistono altri romanzi in cui il termine "classico" è indice non della bellezza dell'opera, ma della patina antica che lo ricopre.
L'isola del tesoro, di Stevenson, getta l'ancora nella seconda categoria e una volta letto rimane l'immagine pomposa di un libro famosissimo che naviga su un mare piatto, senza increspature. Non solo a livello d'azione, ma anche a livello di approfondimento psicologico.
Ora, non che si possa sempre pretendere uno tsunami che movimenti il libro ( anche se volte un rbaltamento totale, in un libro di avventura, non sarebbe male) ma qui manca qualsiasi increspature e soltanto ogni tanto compare un'onda. Magra, anzi, magrissima consolazione.
Cosa che stupisce se si considera l'enorme materiale su cui l'autore sviluppa la trama: un tesoro nascosto, un'isola misteriosa, tradimenti, naufragi, bende sugli occhi, tranelli, pappagalli spioni, un cattivo degno di nota (sì, ma calante) , gambe di legno, insubordinati e molto altro.
E chi sta già gridando, dall'albero maestro (scusate, ma conoco solo questo di una nave, quindi accontentatevi anche dell'imprecisione, se c'è ) non "Terra! Terra!" ma "Banalità, Banalità" non ha tutti i torti anche se (un po' di dissenso non guasta) il libro è scritto nell'Ottocento ed è stato il capostipite di un genere che avrà grande fortuna nel corso della letteratura, con risultati migliori.
Certamente non si vuole sminuire l'importanza letteraria dell'opera, ma il peso dei decenni, anzi, secoli, si fa sentire. UN po' distante, (e se si considera che il testo è scritto in prima persona l'impressione accennata è grave), incapace di vivacizzare l'azione e di creare una suspense apprezzabile. E se Stevenson si salva un po' disseminando qua e là qualche virtuosismo, la piacevolezza ne risente e molto.
Manca quel piglio di pura avventura che ha fatto la fortuna di altri romanzi, chella prosa incalzante che non fa distogliere gli occhi dal libro. Qui al massimo un appasisonato di navi può trovare pane per i suoi denti, viste le logorroiche descrizioni, in cui, io, povero lettore (oh me tapino) si è perso.
Un avventura finita male questo romanzo, anzi, appena iniziata. L'innovazione resta, così come gli anni, ma qui, a parte la critica morale (l'avarizia, il tradimento, l'amicizia, il coraggio eccetera e la critica alla scoietà, che fa capolino in alcuni punti) e qualche combattimento marittimo e non, la patina dell'Ottocento si avverte e nè il conenuto nè lo stile riescono a sollevare un romanzo le cui premesse vengono ampiamente tradite.
Ma uno tsunami, quando serve, non c'è mai? Al diavolo l'ancora, vado alla deriva.
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Commenti
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Bravo Dany, come sempre!
E poi i cattivi devono fare una fine da cattivi! almeno nei romanzi...
Ho puntato sull'ironico perchè il primo non mi ha nè fatto riflettere nè mi ha detto nulla e dovevo in qualche modo riempire il vuoto...
Roberto, hai ragione, è banale per noi di oggi, ma diamo una sbirciatina anche all'epoca, su Stevenson si sono basati gli altri ed è per questo che gli ho dato 3
Insoddisfacente, giusto Anna, proprio insoddisfacente, alla fine sembra solo di aver perso tempo, ringraziando il cielo non è lunghissimo!!
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Ho apprezzato molto la similitudine tra ritmo del libro e moto delle onde perchè molto azzeccata con il tema dell'opera!!!!!
In conclusione: Bravo!!!!!!!!!!!!!!!!!!