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La conoscenza del bene
L' avvicinarsi a testi dell'altezza di Anna Karenina incute nel lettore una sorta di timore, o meglio, di reverenziale rispetto. Non solo per la fama di questo libro, ma anche per la paura di non riuscire ad arrivare alla fine. Perché leggere Anna Karenina è come scalare una montagna, e bisogna sudare.
Inizi. Fiducioso ti addentri, muovi i primi passi. Tenti di prendere confidenza con il terreno. Con l'ambientazione dell'opera, una Russia aristocratica che supera le ricostruzioni storiche per la sua vivacità. Inizi a sfogliare le prime pagine: gli occhi si devono abituare all'ambiente nuovo, al passare in rassegna lettere, parole, frasi e capitoli; le mani iniziano a tastare il terreno, a toccare le pagine; la mente, un po' confusa, cerca i primi appigli. E in questa ricerca si trovano i personaggi, alberi che con le loro radici sostengono il terreno e dominano la società; tronchi da cui si diramano intricatissimi rami. Rapporti personali. E ti avvicini, per non essere solo. E osservi le cortecce, plasmate dalla natura, modellate da una forza, ancestrale, che è lo stile netto, lineare e neutro dello scrittore, stile che delinea caratteristiche e inclinazioni di una élite boriosa.
Continui la scalata, sfogli le pagine. E vedi due alberi, possenti, che si stagliano verso l'alto cercando di allontanarsi dai vincoli sociali, dall'apparenza e dalla convenienza dell'aristocrazia. Lo sguardo si perde nel cercare la cima di queste piante, cima che rasenta il cielo. Guardi meglio e scopri che questi alberi sono Anna e Levin. E capisci che non sono poi così diversi.
Prosegui. Ancorato a questi alberi, e tutto il resta sembra contorno. La scalata all'inizio è ripida, ma poi si addolcisce sempre di più. E allora inizi a correre. Corrono gli occhi, corre la mente. Le mani fremono, e si arrampicano, sfogliano, per raggiungere la cima, la fine. Mentre cammini fiducioso, seguendo la via di Levin e Anna, vedi il paesaggio mutare, all'ipocrisia succedono l'amore, il dolore, la tristezza, la gioia, il matrimonio, il divorzio, l'adulterio. Il verde della campagna e il grigio della città. Ti lasci guidare da una forza arcana, lo stile di Tolstoj, che ti manovra senza incertezza. Ti fidi e ti abbandoni, ti culli nei dialoghi, divertenti o eruditi, nella critica feroce e sublime alla società, alla cultura.
Continui. E poi all'improvviso ti fermi. Tutto è nero. E' la morte. Ed è doveroso inchinarsi, fermarsi, riflettere. Ma in questo Nulla c'è una piccola luce, un tarlo minuscolo: la fede. Non sai come finirà, e allora prosegui.
Il grigio e il verde si alternano, la campagna di Levin, il suo matrimonio felice, il suo disprezzo per l'ipocrisia aristocratica; la città di Anna, il disprezzo nei suoi confronti, il suo dolore per una società che l'esclude perché lei ha saputo incarnare ciò che l'aristocrazia teme di più: la verità. Quella di Anna è una denuncia spietata e così diviene il capro espiatorio ideale. E nessuno si cura della sua sofferenza, la compassione si sottomette al giudizio, alle apparenze.
Continui, vedi la vetta, sei quasi in cima. MA all'improvviso uno di quei due alberi che si stagliavano contro il cielo, cade. Era tropo alto e aveva radici troppo deboli. E ti stupisci che l'altro non cada e cerchi il motivo. Allora ti ricordi d quella piccola luce nella morte: la FEDE. Capace di salvare dalla perdizione. Dal suicidio. Sei dispiaciuto, ma manca poco alla vetta. Corri. Sudi. Fatica. Rabbia. Vedi tutto con la coda dell'occhio: sai di perderti molto. MA la vetta è lì, non puoi indugiare.
Arrivi. Stanco. Soddisfatto, cullato dalle parole, dalle frasi. DA Tolstoj. Ti sporgi timidamente e guardi. Nebbia. Ti sforzi. Nebbia. Ti arrabbi. Nebbia. Non puoi far nulla per penetrare nel fondo di questo libro. La scalata, la fatica ti sembra ora inutile. Poi ti concentri e guardi di nuovo. Nebbia rarefatta. E vedi confusamente la vita, la morte, la conoscenza del bene, vai al di là di Anna, di Levin, raggiungi la Fede. Per chi crede e per chi non crede. Vorresti vedere di più. Pensi di meritartelo. Ma c'è sempre la nebbia. Allora capisci che la vera ricchezza l'hai persa mentre correvi e vedevi tutto di sfuggita.
Scendi. Ma ti riprometti di tornare, di scalare di nuovo. Con più attenzione. Senza correre. Ma sai che anche se non correrai la nebbia ci sarà comunque. E' la nebbia che genera interpretazioni.
Forse, alla fine, l'unica cosa sbagliata era il titolo. Anna Karenina. Troppo e troppo poco. Questa scalata e questo romanzo sono molto di più: una parabole straordinaria di vita, la conoscenza del bene.
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Commenti
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Un episodio mi è rimasto impresso particolarmente: quando Lenin stava riflettendo di quale delle tre sorelle era destino che sì innamorasse... A quel punto mi stavano per cadere le braccia.
Questo per farti capire quanto adesso non sia il periodo. Forse per leggerlo dovrei aspettare un fidanzamento nella speranza che mi addolcisco un po' altrimenti non vedo soluzioni...
Grazie per il commento... Almeno così posso sperare che non sarà una delusione totale:/
Bravissimo, continua così!!! :))
@cuspide 84: Grazie! Sì sì, devi leggerlo, è un'esperienza unica, almeno per me che prima di questo avevo letto, di classico, soltanto altri due libri, ma questo mi è piaciuto decisamente di più e aspetto, in ogni caso, la tua recensione!
Bravo, bravo e ancora bravo!!
P.S. non sono assolutamente affettato con questi complimewnti; te li meriti tutti!!!!!!!!!!! :)
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Perché dopo 100 pagine mi sono ritrovata annoiatìssima ad ascoltare i discorsi al ristorante di due uomini che mangiano ostriche (ed di cui non ricordo neanche il nome)?
Perchè non riesco a provare empatia per questi personaggi?
Perché solo a me la maggior parte dei discorsi mi è sembrata... Come se l'autore fosse impacciato, titubante, non sapesse cosa scrivere?
Sinceramente a questo punto penso che il problema sono io, altrimenti non riesco a spiegarmi come un libro che ha ammaliato tutti a me non scenda.
Comunque bellissima recensione, poetica. Molto meglio leggere questa che il libro per quanto mi riguarda!