Dettagli Recensione
C'è sempre qualcuno che è più uguale degli altri
Quando ho preso in mano questo libro sapevo di avvicinarmi ad un capolavoro della letteratura mondiale e mi sono accostata alle sue pagine con timore reverenziale. La fama che precede “La fattoria degli animali” è stata sempre, per me, motivo di allontanamento causa probabile delusione. E sono felice nel constatare che certi libri, se gli si è data la definizione universale di ‘classico’, un motivo ci sarà.
La trama è nota a tutti, anche ai bambini che frequentano le elementari, ma è cosa buona e giusta ricordarla: in una fattoria dell’Inghilterra gli animali – stanchi delle vessazioni di un padrone totalitario e ubriacone – si ribellano e acquistano il controllo dell’azienda agricola, decidendo di non avere padroni e di dividere equamente i prodotti della terra. Se vi riecheggia Marx nelle orecchie, non preoccupatevi. Ma qualcosa va storto, e anche la rivoluzione più ‘libertaria’ che esiste si trasformerà presto in dispotico regime.
Il testo è una potente satira allegorica del totalitarismo sovietico di stampo staliniano, verso cui il disprezzo di Orwell si era indirizzato e aveva preso forma da esperienze di vita reale (aveva lottato infatti nella guerra civile spagnola proprio contro gli stanilisti). La triste vicenda – credo di non svelare a nessuno niente di nuovo – si conclude con la celebre frase “le creature di fuori guardavano dal maiale all'uomo, dall'uomo al maiale e ancora dal maiale all'uomo, ma già era loro impossibile distinguere fra i due”, che sottolinea l’idea portante dell’opera, e che cioè nessun ideale comunista, nessuna utopia – neanche quella più nobile – può realizzarsi pienamente.
Ciò che più mi ha colpito è la caratterizzazione dei personaggi: ognuno di essi incarna un personaggio storico ben preciso (chi Stalin, chi Marx, chi Trotskij, ecc..) ed è proprio il fatto che gli animali siano dei simboli, nonostante buona parte di essi – a partire da Napoleone – sia corrotta e crudele, l’essere animale ne esce positivamente, proprio perché incarna difetti e pregi (ma quali?!?) di uomini. Con la consapevolezza che gli animali sono migliori dell’essere umano.
Nel genere che incarna, la distopia, lo ritengo un libro superbo, addirittura superiore a “1984”, forse per la sua feroce schiettezza nell’allegoria. Forse perché è un libro che si articola su più livelli: la lettura è facile e scorrevole ma per apprezzarlo occorre leggere tra le righe. Forse perché, nonostante sia stato scritto nel 1937, ho letto di me, di chi sta leggendo questa recensione, dei miei tempi e della mia Italia in malora. Forse perché ho letto della totale abolizione (e chissà, poi, se sono mai esistiti veramente) degli ideali di uguaglianza, libertà e fratellanza, dato che “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”; ideali che, del resto, non mi rappresentano in quanto cittadina dello Stivale.
Se l’amarezza non vi spaventa, andate a comprare questo libro e fatelo vostro, assaporatene ogni scena e custoditene gelosamente gli insegnamenti che ne trarrete. Se invece vi spaventa la lettura di un’opera modellata a immagine e somiglianza di una favola, ma che vi svelerebbe inquietudini e prevaricazioni, andate a comprare lo stesso questo libro. Perché la vita non è una favola, la vita è realtà. Amara realtà.
E tutti dobbiamo esserne consapevoli.