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Il Maestro e Margherita
Una decapitazione; una testa che cade: questo l’inizio del libro. Quale testa viene recisa dal tram che passa, la testa di chi? La testa di qualcuno che non crede, dunque un miscredente. La domanda che si pone è in cosa non si crede e perché. Bulgakov risponderà in maniera indiretta ma precisa, nel corso di tutto il romanzo e delle infinite peripezie, anche temporali, che propone. Ci si può sperdere in quelle peripezie e in quei tempi diversi, ma la risposta ci raggiungerà comunque alla fine, per ricordarci che la domanda esiste: quale testa è caduta e perché? La risposta sarà del tutto sorprendente.
In realtà quella testa non è stata affatto tagliata; dovrebbe esserlo. Dovrebbe perché è la testa del potere, della burocrazia che ottunde, della cecità indotta e violentemente tramandata che non consente di vedere oltre regole cogenti che accecano, della stupidità e della rigidità che non sa parlare altro che linguaggi preimposti, svuotati di ogni significato esistenziale e che dunque non parlano. Quella che dovrebbe cadere è una testa con una lingua muta e un cervello spento, che non riconosce l’arte, la letteratura, il teatro, la libera espressione creativa. Che tenta di costringere all’interno di maglie uncinate che soffocano ma non riescono, comunque, a zittire. Il diavolo in persona, dunque l’irrazionale, l’antitesi assoluta di quella rigidità, renderà giustizia, e popolando il mondo di streghe e incredibili avvenimenti, che colpiranno senza sosta i burocrati ciechi e muti, riporterà nel mondo l’incredibile, la fantasia, l’irriducibile libertà del creare.
Questo il romanzo. E la risposta? Il diavolo non può abitare il mondo; ricorda che c’è, ma non è tutto. Dovremo preservarne l’espressione, concedere spazio al suo linguaggio alieno, altrimenti, nell’antitesi di un dialogo difficile, troppo spesso impossibile, tra libertà e costrizione, significato e insignificanza, l’unico esito non potrà essere altro che l’oblio.