Il fu Mattia Pascal Il fu Mattia Pascal

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Calderoni Opinione inserita da Calderoni    04 Gennaio, 2022
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"Vivo per la morte e morto per la vita"

Romanzo fondativo del Novecento italiano. Lettura imprescindibile. Gli schemi narrativi tradizionali vengono definitivamente abbandonati (in primo luogo gli schemi veristi, sotto i quali l’autore si era formato) e nasce il nuovo romanzo d’introspezione. La tesi di Luigi Pirandello è che il paradosso dei casi umani è nella vita e non è frutto della sua invenzione. Il narrare del Mattia Pascal è strutturato a partire dal personaggio, dalla sua parola, sul suo linguaggio, sulla sua visione del mondo. Del resto, Mattia è «maschera nuda» nel momento stesso in cui decide di prendere a narrare la propria bizzarra vicenda. Mattia trova la propria realizzazione soltanto diventando personaggio di una messa in scena di vita e di morte. È incredibile che un personaggio dichiari finita la propria esistenza quotidiana, per vivere solo nell’esistenza approssimativa di protagonista del racconto. Siamo di fronte a un eroe di romanzo che ha smarrito il proprio tempo e quindi deve raccontare le proprie morti per ritrovare il tempo perduto, per narrare esperienze decantate dalla distanza, dall’alterità e dallo spazio.
Si tratta dell’emblematica storia del diffuso disagio esistenziale che accompagna l’essere umano europeo all’ingresso del Novecento. Accettare il suicidio, dopo che sono stati gli altri a decretare la tua morte mentre eri soltanto andato altrove per qualche giorno, sembra la liberazione per Mattia, appare «la libertà una vita nuova!»; bastano, però, poche righe (e poche ore) e Mattia si sente «paurosamente sciolto dalla vita», superstite di se stesso, sperduto, in attesa di vivere oltre la morte. Ci si può forgiare una seconda volta da zero senza più il fardello o la sicurezza di un passato? La risposta tribolata di Mattia (poi Adriano Meis) è negativa e si tramuta in un secondo suicidio, questa volta architettato da sé e non indotto dalle constatazioni altrui. Non si può rimanere per sempre «forestieri della vita», perché se si osserva l’esistenza da spettatori estranei può apparire senza costrutto e senza scopo. Si rischia il paradosso: «Io sono ancora vivo per la morte e morto per la vita».
Come evidenzia Nino Borsellini, Pascal, Meis, Malagna, Pomino, Paleari, Papiano costruiscono l’onomastica pirandelliana, argutamente allusiva, che nel romanzo crea un reticolo di assonanze, di rimandi, di significati parzialmente riposti. E sono nomi e cognomi dalla forte potenza semantica; sono tracce di destini, quando non marchi caricaturali. Quando si legge Il fu Mattia Pascal non può mancare una riflessione relativa proprio a quest’aspetto.
Le due celeberrime premesse del romanzo, inoltre, introducono il lettore nelle «storie di vermucci», ormai da considerarsi come nostre. Come dice Pirandello, «dimentichiamo spesso e volentieri di essere infinitesimali per rispettarci e ammirarci a vicenda, e siamo capaci di azzuffarci per un pezzettino di terra o di dolerci di certe cose che [...] dovrebbero parerci miserie incalcolabili». L’introspezione di Mattia è notevole, già dalle scene del casinò. «La vanità umana non ricusa talvolta di farsi piedistallo anche di certa stima che offende e l’incenso acre e pestifero di certi indegni e meschini turiboli» è una frase che trovo particolarmente calzante e veritiera, come molte altre che si susseguono nel romanzo, tipo questa: «C’inganniamo così facilmente! Massime quando ci piaccia di credere in qualche cosa...».
Non si può restare indifferenti nemmeno di fronte alle elucubrazioni sulla scuola teosofica del signor Anselmo Paleari, padre di Adriana e suocero di Terenzio Papiano, nonché padrone della casa in via Ripetta a Roma dove troverà rifugio Adriano Meis. Colpisce, ed è molto figlia dei primi anni del Novecento, la considerazione di Anselmo su Roma: «I papi ne avevano fatto un’acquasantiera; noi italiani ne abbiamo fatto, a modo nostro, un portacenere». Un’affermazione che però non si può assolutamente definire anacronistica, pensando alle polemiche che riguardano la Roma d’oggi.

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SaRA8993 Opinione inserita da SaRA8993    15 Dicembre, 2020
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DOPPIA IDENTITA'

Grande classico italiano della corrente verista del ‘900.
Pirandello con la sua magistrale bravura, ci trasporta in una storia che al tempo la critica aveva giudicato come inverosimile a dimostrazione che a volte la realtà a volte supera la fantasia. Questo fatto viene spiegato dallo stesso Pirandello alla fine, rivendicando il suo diritto di abbandonarsi nella fantasia della scrittura senza tralasciare però alcuni particolari presi d'ispirazione nella vita reale.
Mattia Pascal è il personaggio perfetto di questo romanzo introspettivo che tratta argomenti come la morte, la religione, lo spiritismo, la solitudine, il dolore, la follia, l’ingegno e l’astuzia, la disperazione; un uomo, Mattia Pascal appunto, che scopre della sua morte da un giornale sul treno, in viaggio di ritorno a casa e profondamente amareggiato e arrabbiato perché né sua moglie, ne nessun altro, si è accorto che il cadavere suicida non era lui, decide di assecondare la notizia e di cambiare identità, uccidendo Mattia Pascal e diventando Adriano Meis.
Costruendosi una nuova identità era necessario non solo cambiare il suo aspetto ma anche ricostruire quella vita passata farlocca cercando di rispondere a quelle ipotetiche domande che gli avrebbero potuto fare, senza tralasciare nessun particolare. Ma ben presto quella vita fittizia che si era costruito si dimostrò soffocante e non riuscendo più a sopportare quella condizione di anonimato che lo incatenava, decide di inscenare il suo suicidio. E’ la sua seconda morte. Questa volta però di Adriano Meis.
Tornato nel suo paese da Roma dove si era stabilito presso una famiglia affittacamere, si riappropria dell’identità di Mattia Pascal, vivo di nuovo dopo due anni, rancoroso e pieno di rabbia verso la moglie, la suocera e gli amici tutti che lo credettero morto ma pronto a rincominciare, non prima aver fatto visita alla sua tomba che recava il suo nome affibbiato a qualche altro sciagurato a cui è stata rubata l’identità. Dopo lo smarrimento di non sapere più chi fosse egli stesso, ora si riconobbe.
Magistrale, potente e divertente, irriverente con tantissimi punti di riflessione.
Adorabile la metafora del lanternino della speranza spiegata nel tredicesimo capitolo, che se acceso costantemente dentro di noi, illumina tutto il buio intorno.
Diciotto capitoli di pura maestria. Consigliato.

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Anna_ Opinione inserita da Anna_    29 Novembre, 2020
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Vana ricerca, vana illusione.

Vana ricerca, vana illusione.

Mattia Pascal, protagonista e narratore del romanzo, ad un certo punto della sua vita, ha la possibilità di lasciarsi tutto alla spalle: la sua giovinezza dissipata, un matrimonio infelice (una famiglia-prigione rispetto alla famiglia-nido di origine), una suocera arcigna e insopportabile, l'oppressione dei creditori dovuta all'avido Malagna, a cui la madre aveva ingenuamente affidato l'amministrazione dei beni di famiglia: "Come una cieca, s'era abbandonata alla guida del marito, rimastene senza, si sentì sperduta nel mondo".

Proprio quando, ormai, non ha più alcuna speranza di realizzare una vita più felice e autentica, il caso, infatti, comincia a sorridergli.
Viene prima una vincita al gioco a Montecarlo, poi, la notizia del ritrovamento di un cadavere, lì nella gora della Stia, a Miragno, nei giorni in cui, stanco di quella vita e addolorato per la perdita degli affetti a lui più cari, era fuggito lontano da casa; chiunque egli sia, in quel morto, la moglie Romilda e la madre di lei, la vedova Pescatore, forse non senza malafede, riconoscono lui.
E allora perché non profittarsi del favore del caso? Quel morto è la sua seconda occasione (chi non ne vorrebbe una?) per fare le scelte giuste, essere finalmente se stesso, condursi verso una vita più vera.
"Io dovevo acquistare un nuovo sentimento della vita, senza avvalermi neppure minimamente della sciagurata esperienze del fu Mattia Pascal... Procurerò di farmela più tosto con le cose che si sogliono chiamare inanimate, e andrò in cerca di belle vedute, di ameni luoghi tranquilli. Mi darò a poco a poco una nuova educazione... sicché, alla fine, io possa dire non solo di aver vissuto due vite, ma d'essere stato due uomini".

Nasce così, nel nome e gradualmente nell'aspetto, un uomo nuovo, Adriano Meis.
"Recisa di netto ogni memoria in me della vita precedente,... l'anima mi tumultuava nella gioia di quella nuova libertà".
Ma Adriano Meis ha un passato frutto della fantasia e, poco a poco, quella libertà gli rivela ogni suo disinganno.
"Chi sono io? Che rappresento in questa casa?"
Adriano Meis vorrebbe un cane e una casa tutta sua ma non può averli, si innamora ma non può sposarsi, gli rubano del denaro ma non può difendersi: Adriano Meis cade anch'egli nella rete di nuove limitazioni, assurdità, e di relazioni che non può vivere fino in fondo perché la sua identità anagrafica non è riconosciuta dalla società. Rassegnato, il protagonista decide allora di far morire Adriano Meis, inscenandone il suicidio, onde consentire all'altro, Mattia Pascal, di ritornare alla vita.

"Dovevo rinnestarmi alle mie radici sepolte... Folle! Come mi ero illuso che potesse vivere un tronco reciso dalle sue radici?... Folle!... M'era parsa quella la liberazione! Sì, con la cappa di piombo della menzogna addosso!"

Ma a Miragno la situazione è diversa da quella che lui crede: la moglie si è risposata e nessuno si ricorda di lui; decide di non far valere i suoi diritti legali sulla moglie, non torna entro quella forma in cui un tempo si era chiuso, entro quelle forme (maschere di figlio, marito, amico, bibliotecario) attraverso cui si è definiti dagli altri e la società consente di vivere. E egli non vive.

Troviamo nel romanzo i temi cari a Pirandello: apparenza verso realtà (per cui la verità non è mai una soltanto), la solitudine dell'uomo e il suo bisogno di evadere da una società che impone delle maschere, l'inutile ribellione alla forma perché al di fuori della gabbia delle convenzioni sociali non c'è vita ma solo esclusione, l'incidenza del caso sulla vita.

Mattia Pascal, infatti, si ribella ma null'altro gli è concesso che una parentesi di illusoria felicità; morto due volte, morto e vivo allo stesso tempo, vittima della sua inettitudine e del suo desiderio di una nuova vita. Da persona reale quale è all'inizio del romanzo, egli diventa un uomo vuoto, da persona è divenuto personaggio: gli rimane solo, alla fine, il veder vivere e il lasciarsi vivere all'ombra della sua unica certezza, egli è il "fu" Mattia Pascal.

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68 Opinione inserita da 68    18 Settembre, 2020
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Doppia vita

...”:Giacché, ormai, io sono morto per ben due volte, la prima per errore, la seconda sentirete “...

Mattia Pascal, un giovane uomo costretto a fare i conti con un passato e un presente controversi, affranto e sfinito dagli accadimenti, la morte dell’ adorata madre e dell’ unica figlioletta, dopo la recente perdita dei beni aviti.
Un giorno decide di congedarsi dalla vita e di costruirsi un nuovo io, d’altronde che cosa può capitargli di peggio di quello che sta soffrendo, sopraffatto da una noia che lo sta mangiando dentro?
Vorrà essere il solo artefice del proprio destino, una vita nuova, niente moglie, suocera, debiti, legami, finalmente libero, una sfortuna fortunata, senza il fardello del proprio passato, una nuova educazione da acquisire con amore e pazienza tanto da potere affermare non solo di avere vissuto due vite, ma di essere stato due uomini.
Ecco il nuovo che avanza, Adriano Meis, la costruzione di un altro io, un’ invenzione ambulante calata nella realtà, un mondo fantastico in cui vivere.
Vivrà con se’ e di se’, quasi esclusivamente, liberato delle umilianti afflizioni della prima vita, senza nome e passato, solo relazioni superficiali. Un altro io, anche all’ apparenza, occhiali, niente barba, capelli lunghi, costruito per gli altri, un modo per non toccare se’ stesso.
Ma basta poco per sentirsi stanco di quel girovagare solo e muto, convivendo con il desiderio istintivo di avere un po’ di compagnia, di vivere libero senza poterlo essere, e se negli oggetti si investe una parte di se’ e l’ anima e’ formata dai propri ricordi, la cruda verità riporta un Adriano Meis che rimarrà per sempre un forestiero della vita.
Una esistenza afinalistica da spettatore solo sperduto tra la gente, trasformato in un filosofo, estraneo agli altri e a se’ stesso.
Ma, in fin dei conti, chi vorrebbe essere realmente, Adriano Meis o Mattia Pascal, in un reiterato monologo con se’ stesso, senza libertà, morto per finta, nella speranza di diventare un altro?
Eccolo, suo malgrado, scaraventato nel cuore dell’esistenza, un bacio, una giovane donna da amare ma inaccostabile a chi non può in alcun modo dichiararsi e provarsi vivo, ma di che uomo si tratta? Non è che l’ ombra di un morto, ancora vivo per la morte e morto per la vita, accompagnato da noia e solitudine.
Di Mattia Pascal poco rimane, un cuore che non può amare e una verità che gli pare incredibile, una favola assurda, un sogno insensato, un’ ombra simbolo e spettro della propria vita.
Ha vagato seguendo un’ illusione oltre la morte e, già morto, non deve più uccidersi, ma porre fine a quella folle e assurda finzione che per ben due anni lo ha torturato e straziato,
quell’ Adriano Meis condannato a essere un bugiardo, un vile, un miserabile.
Non gli resta che una morte congelata e condivisa per due giorni, fare il morto non è una bella professione, ma una compagnia ingombrante e gravosa soprattutto quando gli altri si sono rifatti una vita.
La realtà lo porrà al cospetto della propria tomba, la tomba di un morto ancora vivo, o di un vivo ritenuto morto, sopravvissuto a se’ stesso, al di fuori di una legalità e all’ interno di una comunità che lo considera ancora morto, nonostante tutto, lui che voleva solo vivere, costretto a una nuova dimensione del presente, il “ fu Mattia Pascal”.
I temi del romanzo sono noti, permane un senso di inquietudine e angosciosa presenza di un’ anima piccolo borghese che cerca una fuga impossibile e improbabile, che si assenta, attende, osserva, vive, rimugina, rimpiange, ritorna, un viaggio che inizia laddove finisce e riprende laddove lo si era lasciato, cacciato dapprima da se’ stesso, poi dalla società, acclimatata in una legalità che oltrepassa l’umano sentire.
Realtà e apparenza, la frammentazione dell’io, la fuga da una società invivibile, il dialogo con se’ stesso e le proprie molteplici facce, una solitudine poco condivisa e condivisibile, l’ attesa di una vita nella speranza di viverla, bloccata dal proprio non essere, e da un desiderio che non potrà mai compiersi.

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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    07 Aprile, 2018
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Rapporto controverso

Ho un rapporto controverso con questo libro. Mi venne assegnato ai tempi delle superiori come lettura estiva: a quel tempo ignoravo ancora quanto l'amore per la letteratura mi avrebbe travolto di lì a pochi anni, ma non fu quello il momento in cui scoccò la scintilla. Ancora oggi (con un pizzico di rancore), do a "Il fu Mattia Pascal" la colpa per il fatto che questo amore sia nato quando gli studi scolastici erano ormai finiti da un pezzo.
Da lettore abbastanza navigato, adesso, ho deciso di concedergli una seconda occasione, per capire se il mio "odio" fosse dovuto soltanto alla mia giovane età. Bene, adesso che l'ho riletto posso dire che sì, l'ho apprezzato più di allora, ma che comunque non la reputo una lettura adatta a un giovanissimo: non se si vuole far nascere in lui l'amore per la lettura. Lungi da me criticare il modus operandi dell'educazione italiana, ma nel mio caso, l'opera pirandelliana non ha assolutamente funzionato; qualcosa di sbagliato dev'esserci, considerato che poi sono diventato un lettore accanito, che ha letto opere anche molto più impegnative de "Il fu Mattia Pascal".
Mettendo da parte questo discorso, posso dire che Pirandello ha uno stile tutto suo, perfettamente riconoscibile, e che è giustamente considerato uno dei migliori autori italiani. Devo ammettere però, che forse io e lui non collimiamo alla perfezione, perché pur riconoscendo l'indiscutibile valore e l'originalità di questa storia, non riesco proprio ad amarla.

Mattia Pascal è un giovanotto che è nato negli agi, grazie alla fortuna accumulata da suo padre, venuto però a mancare prima del tempo. A riempire il vuoto lasciato dal padre ci sarà il Malagna, uomo scellerato che farà la propria fortuna "amministrando" quella dei Pascal, mandandoli in rovina. Mattia è un personaggio controverso fin dall'inizio, dandoci subito un assaggio di quelli che saranno i tormenti e lo sdoppiamento al centro della scena. Sposerà avventatamente Romilda, una donna della quale è innamorato il suo amico Pomino, ma ben presto il suo matrimonio si rivelerà del tutto infelice; complice il suo libertinaggio giovanile, la freddezza improvvisa della sua nuova moglie e una suocera assolutamente insostenibile. A far traboccare il vaso saranno la morte della cara madre e quella delle sue due figlie, gemelle. Questo lo porterà a una fuga a Montecarlo, dove giocherà alla roulette vincendo un mucchio di soldi. Pronto a rientrare a casa reso forte dalla sua nuova ricchezza, accade un evento che cambierà tutto: un uomo si è buttato nel mulino di una sua proprietà, la Stìa, e verrà riconosciuto dai suoi parenti proprio come Mattia Pascal. Dunque tutti credono che il povero Mattia sia morto e quest'ultimo, più vivo che mai, crederà che questo evento sia un incredibile colpo di fortuna che gli permetta di farsi una nuova vita. Mattia assumerà l'identità di Adriano Meis, felice di poter ricominciare, ma gli eventi che lo travolgeranno non saranno rosei come crederà in principio.

"Il che vuol dire, in fondo, che noi anche oggi crediamo che la luna non stia per altro nel cielo, che per farci lume di notte, come il sole di giorno, e le stelle per offrirci un magnifico spettacolo. Sicuro. E dimentichiamo spesso e volentieri di essere atomi infinitesimali per rispettarci e ammirarci a vicenda, e siamo capaci di azzuffarci per un pezzettino di terra o di dolerci di certe cose, che, ove fossimo veramente compenetrati di quello che siamo, dovrebbero parerci miserie incalcolabili."

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GPC36 Opinione inserita da GPC36    05 Mag, 2015
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Le poche certezze dell’identità umana

Un romanzo che si racchiude fra le due minicertezze di un personaggio, esempio di inettitudine: l’incipit “Una delle poche cose, anzi la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal” ed il finale “Caro mio … io sono il fu Mattia Pascal”.
In mezzo il percorso di vita di un uomo che trova, in circostanze fortuite, la possibilità di liberarsi del peso della propria squallida condizione di vita e di assumere una nuova identità, vista come momento liberatorio, come conquista, salvo poi scontrarsi con l’impossibilità di dare alla nuova “maschera” una pienezza esistenziale. Il nuovo “io” è in realtà come un’ombra che lo segue, che “aveva un cuore, ma non poteva amare; aveva denari, ma chiunque poteva rubarglieli; aveva testa, ma per pensare e comprendere che era la testa di un’ombra”.
Dopo un’immersione in anni lontani nella lettura di Pirandello con le “Novelle per un anno” avevo staccato, omettendo proprio il romanzo in cui si trova tutta l’essenza del suo pensiero: il contrasto tra la realtà e l’illusione, tra il volto individuale e la maschera sociale; l’umorismo inteso come “sentimento del contrario” (la scelta che avrebbe dovuto dare la libertà a Mattia Pascal ha in realtà liberato la moglie da cui voleva staccarsi, mentre lui è rimasto prigioniero della nuova identità); il senso dei limiti della percezione umana della realtà universale, inserita nel contesto del romanzo con la “filosofia del lanternino”, esposta da Anselmo Paleari, il padrone di casa di Pascal/ Meis, la cui presenza consente allo scrittore il modo per inserirsi nel racconto, fatto in prima persona dal protagonista, con proprie considerazioni.
Lo stile brillante, di gran pregio, si unisce alla profondità del pensiero, alla lucida provocazione (non siamo come l’albero … a noi uomini è toccato un triste privilegio, quello di sentirci vivere), all'argomentare sottile. Il contesto ambientale è appena accennato, quasi claustrofobico, mentre la narrazione è focalizzata sulla tormentata psicologia di Mattia Pascal. Il risultato è un’opera fondamentale della letteratura, un romanzo la cui analisi ha generato un’enorme bibliografia di saggi critici.

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Opinione inserita da Wasp98    14 Settembre, 2014

Pura Arte...

Per la mia prima recensione non ho scelto un semplice libro, bensì un capolavoro a dir poco superlativo. Un libro saturo di una filosofia così elevata da aver influenzato un po' la mia visione del mondo. Ho molto apprezzato la trama, ben articolata e avvincente, che ricorda, in alcuni tratti, quella de "il conte di montecristo". Devo ammettere che all'inizio non mi ha coinvolto pienamente ma poi mi ha rapito, facendomi calare nella realtà del povero Mattia Pascal che ha avuto l'opportunità di poter ricominciare tutto da capo per ben due volte. Il sarcasmo domina incontrastato e devo ammettere che non mi è affatto dispiaciuto anzi mi ha quasi affascinato. Voto finale? Di certo il massimo nella mia scala di giudizio. Riassunto in una parola: Arte...

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Ale96 Opinione inserita da Ale96    18 Agosto, 2014
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L'ombra di una vita

Immaginate che la Fortuna vi abbia fatto un dono immenso. Dopo anni e anni di sopportazione, di incertezza, di delusione e amaro in bocca, vi viene data la possibilità di cominciare da capo. Ripartire da zero. Potrete ricreare la vita che vorrete senza commettere più gli errori e le stupidità che ancora vi fanno arrossire. Senza dimenticare il bel gruzzoletto che la sorte, incredibilmente sorridente, vi ha fatto trovare in tasca. “Che vorremmo di più?”, penserete tutti, “Siamo gli uomini più fortunati e felici della terra. La libertà! La libertà di scegliere, di condurre una vita come vogliamo noi e non come ce l'hanno imposta (direttamente o indirettamente) gli altri. Finalmente abbiamo in pugno la nostra esistenza!”. Ma siete sicuri? Pensate veramente che quella che chiamate libertà sia veramente tale? Vi siete accorti che il mondo è rimasto sempre lo stesso, con le sue convenzioni, le sue maschere, i suoi asfissianti ritmi? Né siete cambiati voi. Potrete farvi chiamare con un altro nome e trasferirvi in un'altra città, ma rimarrete sempre quelli che siete con i vostri dubbi e le vostre incertezze. Ben presto vi accorgerete che la libertà che avete tanto elogiato si rivelerà essere noia, solitudine, abbandono. Quella famosa libertà vi impedirà di vivere. E allora come vorrete rimediare al pasticcio che avete combinato! Non vi sto prendendo in giro, ve lo assicuro. Ho un testimone: Mattia Pascal, l'uomo dalle tre vite.

Mattia Pascal è un uomo semplice, scioperato, pieno di dubbi e incertezze. È uno come noi, forse un po' più sfortunato. Ha dovuto vedere il dissesto del proprio patrimonio famigliare. Tutte le case, i poderi, le terre nella sua bella Miragno sono ormai in mano ai creditori. Il povero Mattia si è trovato a vivere in una misera casetta con una moglie che non ama più e una suocera bisbetica. I debiti e i lutti lo perseguitano. Trova un po' di pace solo nell'odore stantio della semi-abbandonata biblioteca del suo paesello ma presto questa si trasforma in tedio. Mattia vuole fuggire, fuggire da quell'esistenza deludente e alla fine lo fa. Va a Nizza dove vince una ragguardevole cifra. “Scialato”, decide di tornare a casa ma durante il ritorno legge sul giornale una notizia sconvolgente: “Mattia Pascal trovato morto nella gora del mulino della Stia. Suicidio”. Ripresosi dallo shock iniziale, cambia treno. È il primo passo della sua nuova vita. Mattia Pascal ormai è il passato, Adriano Meis è il presente. Si trasferisce a Roma, dove potrà finalmente godere della sua nuova libertà ma ben presto si renderà conto del contrario....

Luigi Pirandello dà vita a una idea molto originale con uno stile semplice, chiaro, lineare. L'umorismo e l'ironia fanno da padroni. Un umorismo che snellisce e allo stesso tempo rinvigorisce la profondità concettuale. Un'ironia che rende la lettura frizzante, agile, estremamente scorrevole senza offuscarne il carattere paideutico. Lo stile pirandelliano sostituisce quel miele sui bordi del cucchiaio di lucreziana (e tassiana) memoria che attenua l'amarezza della medicina perché tra sorrisi e canzonature ci vengono presentati temi filosofici, esistenziali,metaletterari di non poca importanza. Abbiamo quindi “il buco nel cielo di carta” che ha permesso il passaggio dalla tragedia antica a quella moderna, da Oreste a Amleto e la “lanterninosofia” che ci viene sbattuta in faccia in tutto il suo relativismo, senza dimenticare la critica serrata alla società del consumismo sfrenato, del finto progresso, del movimento senza fine. Come potrebbe l'uomo non estraniarsi e perdere se stesso con tutte le distrazioni, i ninnoli, le futilità del mondo della scienza e delle macchine? Infatti non è dalla lampadina elettrica che si estrae l'olio per la nostra anima, per il nostro lanternino che dà colori e sfumature all'universo di cui siamo partecipi. Con tutti questi macchinari e catene di montaggio diventiamo degli automi senza personalità. Diventiamo delle maschere deprimenti che nascondono e tacciono. E che è una vita senza emozioni, comunicazione, senza trasparenza, senza insomma vita? Niente. Finiamo per essere ombre di defunti che benedicono la morte fisica dopo anni e anni di morte spirituale.

Pietra miliare della lettura italiana da leggere assolutamente. Buona lettura!

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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    29 Mag, 2014
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ACRONIMO

Il desiderio di fuggire, sparire, cambiar vita. Chi non
Lo ha mai provato almeno una volta? Si

Fa attrarre da questa prospettiva Mattia, un
Uomo che, sposando Romilda, è costretto a convivere con

Marianna Pescatore, l’odiata suocera. Dopo una vincita
A Montecarlo, Mattia apprende d'essere morto: su un giornale.
Troppo facile approfittare dell'equivoco e realizzare il desiderio di sparire! Si
Trasferisce a Roma sotto
Il nome fasullo di
Adriano Meis. Un nuovo amore e gli eventi

Però propalano che l’identità fittizia è
Anche prigionia. E impossibilità di vivere. Un simulato
Suicidio consentirà a Mattia-Adriano di tornare a Miragno
Come bibliotecario, senza essere riconosciuto... L’opera
Anticipa nel 1904 i temi cari a Pirandello:
“La vita o si vive o si scrive, io non l'ho mai vissuta, se non scrivendola.”

Bruno Elpis

Mezzo secolo dopo, nel 1954, Thomas Narcejac e Pierre Boileau scriveranno “D’entre les morts” (1954), opera che ispirò il film “Vertigo – La donna che visse due volte” (1958) di Hitchcock: “C’è ancora un’ultima cosa che devo fare, e poi sarò libero dal passato” (John Ferguson/James Stewart nel film di Hitchcock).

Quella di Pirandello è la storia de “l’uomo che morì tre volte” e affronta il tema dei ruoli sociali e dei vincoli rigidi entro i quali scorre la vita: “La vita è un continuo movimento e cambiamento, e la forma è una specie di sistema sociale, di legge esterna, in cui l'uomo cerca di fermare e di fissare la vita; per questo l'uomo è prigioniero di queste forme, di questi schemi sociali in cui si rinchiude o da se stesso o per opera della società.”

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Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
..."Dentre les morts". A chi ha visto Vertigo (La donna che visse due volte) di Alfred Hitchcock.
A chi voglia iniziare la lettura dell'opera di Pirandello cominciando con un'opera rappresentativa, a chi ne voglia proseguire la lettura, a chi desideri rileggerlo...
Consigliato a tutti.
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silvia t Opinione inserita da silvia t    29 Mag, 2014
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Il fu Mattia Pascal

Il fu Mattia Pascal – Luigi Pirandello

La forza di questo romanzo sta nell'idea di fondo: una seconda possibilità, una seconda vita che possa essere perfetta; lontano da tutto ciò che l'ha resa un inferno, dai ricordi, dai doveri, dalle responsabilità.
Mattia Pascal conduce una vita fatta di un incedere lento e stanco, in cui il ricordo di un'infanzia agiata non può scomparire e perpetuarsi un'esistenza, quella attuale, fatta di espedienti e di insoddisfazioni familiari: una donna che non ama più, una suocera che odia, due figlie morte piccole.
L'atmosfera in quella casa. In quel paese, in quella biblioteca in cui lavora è pesante, come la polvere che avvolge i vecchi libri che nessuno legge profonde come i solchi lasciati su di essa sono le cicatrici del suo animo; i suoi sbagli, la sua accidia, la sua totale mancanza di buon senso ha portato in un soffio tutto questo.
Il pensiero costante è la fuga, da tutto, da tutti, lontano, in un altro mondo.
La colpa al distino, alle avversità, alla poca esperienza: un'altra vita porterebbe solo benessere e scelte giuste...forse!
Così la sorte che tutto ascolta e che si diverte da sempre con gli uomini decide di giocar con Mattia, creando le premesse affinché questo avvenga e Mattia diventa Adriano, Mattia muore, Adriano vive.
Con uno stile moderno, asciutto, un lessico ricco ed evocativo questa seconda vita è raccontata con ironia, l'atmosfera si rarefà, la speranza, la luce, il futuro radioso e privo di ostacoli si profila davanti ai suoi occhi, ma nessuno può relegare la propria essenza in un angolo, nessuno può recidere le proprie radici e soffocare il proprio orgoglio, non cercare un riscatto, non dimostrare la propria superiorità.
Così il racconto si fa metafora si qualcosa di più: l'uomo schiavo del proprio destino dal quale non può fuggire e non può esimersi.
Nonostante il piano narrativo sia semplice e lineare, il fraseggio varia al variare delle situazioni, più fosco, con tinte scure all'inizio, solare e ritmico nella parte centrale, lento e ambrato nel finale.
Pirandello scrive nei primi anni nel novecento, contemporaneo di D'Annunzio, non ne segue le orme, sceglie di raccontare l'uomo nella sua forma più profonda, di raccontare le tribolazioni dell'animo più che un modello di perfezione elaborando i concetti della nascente psicoanalisi.
IL romando, in conclusione è uno di quelli che lasciano il segno, sia per l'originalità del soggetto che per la scelta stilistica, che risulta ancora attuale, ma soprattutto per la grande forza evocativa, per come le immagini raccontate si materializzano, come i volti e le loro modificazioni divengono visibili.
Lettura non solo consigliata, ma fondamentale per comprendere il meraviglioso percorso della nostra bella letteratura di inizio secolo.

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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    28 Marzo, 2014
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Tre vite per una felicità

Se non ci impressionano i paradossi temporali, allora tocca ammettere che Mattia Pascal ha già la risposta a una “spaventosa” domanda che Milan Kundera, nel suo libro più famoso, porrà molti decenni dopo: “Che valore ha la vita dell'uomo, se la prima prova è già la vita stessa?”.
Perché Mattia Pascal di vite ne vive addirittura tre!
La prima inizia con un'infanzia e un'adolescenza agiate, per merito delle fortune accumulate dal padre. Ma prosegue con una giovinezza difficile (in quanto, morto suo padre, quelle fortune vengono metodicamente sottratte da un amministratore dei beni di famiglia avido e infedele) e si conclude con un matrimonio per certi versi casuale e sicuramente sfortunato, che vedrà anche la morte delle due gemelle avute con la moglie Romilda.
E' a questo punto – in virtù di una casualità che a volte la vita sa giocare – che Mattia Pascal decide di approfittare di una convergenza di eventi imprevisti, e diventa tutt'altra persona, il signor Adriano Meis... mentre la memoria del buon bibliotecario Pascal viene seppellita in un misurato funerale di paese, nelle spoglie di altra persona mai identificata.
La seconda vita di Mattia inizia ai tavoli del casinò di Montecarlo, e prosegue nella casa delle famiglie Paleari-Papiano, dove troverà asilo (dietro pagamento di pigione, s'intende). In questa casa gira una serie di personaggi – a volte quasi macchiette – tra cui la tremebonda e delicata Adriana, una ragazza per bene che deve sopportare dabbenaggine (del padre, Anselmo Paleari) e angherie (dello zio, Terenzio Papiano). A tener testa a quest'ultimo, uomo di melliflua insidiosità, si parerà proprio Adriano Meis, scopertosi imprudentemente innamorato della fragile bellezza di Adriana, e tuttavia necessitato a fare i conti con il suo più grande limite: quello di essere una persona mai nata, senza una storia alle spalle. Saranno un furto e un invito a duello a far vacillare definitivamente la speranza di Mattia di costruirsi una nuova vita, e a far “precipitare” in un fiume quel che resta della breve esistenza di Meis.
Così, in una terza esistenza originata da rabbia e voglia di regolare i conti, risorge Mattia Pascal, stavolta determinato ad essere se stesso, sia nel registro ammuffito dell'ufficio anagrafe che nelle proprie intime aspirazioni, sino allora deluse.

La grandezza di questo romanzo – magari non il migliore, ma di sicuro il più noto di Luigi Pirandello – è in una mirabile fusione.
Da una parte, la bellezza di uno stile leggiadro nel suo essere (solo in apparenza) colloquiale, che fa della lettura di questo libro un piacere purissimo. Uno stile che, dalle pagine iniziali, è la prima cosa che si percepisce, come sia un cerimoniale di accoglienza per il lettore.
Dall'altra, il racconto della condizione umana, della consapevolezza del suo significato relativo (“Noi anche oggi crediamo che la luna non stia per altro nel cielo, che per farci lume di notte, come il sole di giorno, e le stelle per offrirci un magnifico spettacolo. Sicuro. E dimentichiamo spesso e volentieri di essere atomi infinitesimali per rispettarci e ammirarci a vicenda, e siamo capaci di azzuffarci per un pezzettino di terra o di dolerci di certe cose, che, ove fossimo veramente compenetrati di quello che siamo, dovrebbero parerci miserie incalcolabili“). Ma, nonostante tutto, anche del disperato tentativo di sfuggire alle leggi che regolano l'esistenza.
A volergli trovare un difetto, il libro sembra avere una flessione stilistica nella parte centrale, ma il perché è facile da rintracciare: il Mattia che riesce cinicamente a ironizzare sulle sue disgrazie senza via d'uscita, non può invece farlo quando quella via intravede. Non si può ridere senza ritegno della propria speranza. Il racconto di come essa naufraghi, allora, rende il tutto più pesante, e maledettamente incompiuto.
Ah, dimenticavamo Kundera e la sua perentoria affermazione...
Potrebbe avere ragione e torto insieme, a seconda di come si interpreti l'ammonimento di don Eligio Pellegrinotto (il prete presso il quale Mattia Pascal troverà, alla fine, rifugio): “Fuori dalla legge e fuori di quelle particolarità, liete o tristi che sieno, per cui noi siamo noi, caro signor Pascal, non è possibile vivere”.

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casilda Opinione inserita da casilda    24 Luglio, 2013
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Individuo, società e identità.

Questo romanzo è indicato, in genere, come quello che segna l’inizio della seconda fase dell’opera pirandelliana, perché tratta il problema del rapporto tra individuo e società e, con esso, il problema dell’identità.

Il protagonista ha dinanzi a sé un’occasione unica, che è quella di cambiare la propria identità e liberarsi, così, dai legami scomodi che ad essa sono collegati. Ma nel momento in cui decide di cogliere questa occasione non può ancora prevederne e valutarne le conseguenze.

È una lettura molto scorrevole, piena anche di eventi imprevisti e colpi di scena e piuttosto divertente, grazie a un linguaggio semplice e a uno stile diretto. La semplicità stilistica, tuttavia, non deve ingannare. Il romanzo è per il lettore fonte di profonde riflessioni.

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Pirandello
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martino81 Opinione inserita da martino81    30 Marzo, 2013
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l'arte del vivere

Un presunto suicidio in un canale di un uomo che di nome fa MATTIA PASCAL.
Il cadavere estratto viene riconosciuto dalla moglie,il corpo viene seppelito.Peccato che il corpo non e' il suo,quello di Mattia e allora che si fa?Lui legge la notizia sul giornale,capisce che può rifarsi una nuova vita,liberarsi della moglie e
della suocera,rinascere, lasciando credere che veramente quel cadavere fosse il suo.Proprio lui che mai aveva pensato di simulare un suicidio per liberarsi di loro.E allora si comincia dal nome,lo cambia.Diventa Adriano Meis.Si costruisce un passato,una sua storia,una provenienza credibile nella sua mente e decide di partire per Roma.Qui comincia la nuova avventura conoscerà Adriana della quale si innamorerà ma ci vorrà poco per capire che l'amore che nutre per lei non lo porterà lontano visto che la sua identità e' fittizia, non puo sposarsi.D'altronde se ne accorge anche quando non può denunciare
un ladro.Anche in questo contesto lui non e' nessuno per la legge,non esiste.Inizia a capire che non e' libertà la sua,ma quella di sua moglie.Lui era vivo per la morte e morto per la vita.E allora che si fa?
Decide di ritornare a casa riprendersi la sua vita e sua moglie, ritornare Mattia Pascal.Ma quando torna tutto e' diverso.Sua moglie non ha tardato a rifarsi una nuova vita,a sposarsi e a mettere su famiglia.Lui è di troppo.Tornerà comunque a vivere da sua zia e a dormire nello stesso letto dove morì sua madre andando ogni tanto ad omaggiare la sua tomba dove lo avevano "sepolto".E quando qualcuno gli chiede chi e' lui risponde
IL FU MATTIA PASCAL.
E' il secondo libro che leggo di Pirandello dopo Uno Nessuno Centomila e devo dire che questo mi risulta almeno alla pari come valore umano.Un libro fantastico,che consiglio di leggere a tutti perchè ci immedesimiamo nel protagonista facilmente,respiriamo il suo stupore,le paure,la sua libertà,le sue delusioni e ci fa capire che il nostro stare al mondo,incerto o certo che sia,e' gia un arte di per se'.

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AndCor Opinione inserita da AndCor    13 Febbraio, 2013
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La possibilità (concreta?) di una seconda vita

Tanti sanno che questo è il romanzo che ha reso celebre Pirandello, ma pochi sono a conoscenza del fatto che il personaggio di Mattia Pascal nasca in un periodo davvero complicato della sua vita.

Innanzitutto, è da sottolineare la novità pirandelliana nel porre un "anti-eroe" come protagonista: si tratta del cosiddetto inetto, ossia quell'individuo incapace e apatico che tenta di fuggire da una vita grama con la speranza di spiccare definitivamente il volo.
Una vera e propria fuga dalla realtà che segna metaforicamente la crisi del Verismo e del Positivismo, con il nativo di Girgenti che non fa nulla per nascondere il suo "cattivo occhio" verso la città, considerata il controverso risultato finale del progresso scientifico.

La famiglia come nido e prigione, l'importanza del caso, l'inettitudine e la crisi d'identità sono le tematiche di una struttura narratologica circolare in campo a un vero e proprio romanzo di "anti-formazione", nel quale si muovono Mattia e Anselmo Paleari, alter ego dell'autore, tra capoversi di filosofia moderna, spunti ironici e religione.

Il tentativo di "porsi al di fuori della vita" non è mai stato così drammaticamente difficile.

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L'esclusa;
Sei personaggi in cerca d'autore;
Enrico IV;
Così è, se vi pare;
Uno, nessuno e centomila.
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Gruesty Opinione inserita da Gruesty    26 Settembre, 2012
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La maschera come crisi interiore dell'io

Nella letteratura italiana il poeta che più di tutti ha trattato in modo approfondito e critico il tema della maschera è stato è stato in assoluto Pirandello. Questo tema, che avevo deciso di portare come tesi alla maturità di questo anno assieme ad altri autori del Novecento, si trova proprio all'interno di questo libro. La visione pirandelliana del mondo è strettamente legata ad una concezione vitalistica della realtà, la quale è un flusso continuo, un divenire di stati in perenne trasformazione. Tuttavia l'uomo è soltanto una parte di questo flusso e tende a cristallizzarsi in una forma ben distinta, convinto di essere "uno". In realtà la personalità a cui il soggetto dà vita è soltanto un'illusione che scaturisce dal sentimento oggettivo che l'individuo ha del mondo, tanto che perfino gli altri gli assegnano "centomila" forme, al di sotto delle quali non vi è "nessuno". Mattia Pascal, come accade anche al protagonista di "Uno, nessuno, centomila", risente di questa influenza, di questa visione che porta Pirandello a creare una storia degna di essere definita capolavoro. Grazie alla fortuna del caso, Pascal ha la possibilità di lasciarsi alle spalle una vita che non gli apparteneva e non lo appagava, e sempre il caso gli permette di crearsene una nuova. Chi non ha mai ammesso di aver sognato di togliersi di dosso la propria vecchia vita come se fosse un vecchio abito malridotto? Ognuno di noi, compreso lo stesso Mattia, il quale diventa Adriano Meis, l'uomo che aveva voluto sempre essere, felice e lontano da guai della famiglia, che lo scrittore definisce come una "trappola". Essa obbliga l'uomo a indossare delle maschere, le quali non gli concedono di esprimere il proprio essere, provocando, di conseguenza, un senso di smarrimento nei personaggi pirandelliani. Pertanto il pessimismo dell’autore diventa totale, in cui l'unica via di salvezza consiste nella fuga dalla realtà attraverso l'immaginazione e la follia. È ciò che cerca di fare il protagonista, di scappare dalla propria vita immaginandosi in una nuova personalità. Adriano, allegro nella sua nuova identità, presto si accorge però di quanto quella nuova maschera gli stia molto stretta: egli non è in grado di staccarsi totalmente dalla vita sociale, risente dell'impossibilità di comunicare in modo intimo con altre persone, perfino di non potersi innamorare nuovamente di una donna, in quanto la nuova condizione in cui si trova lo conduce a vivere estraniato dal resto del mondo, come un "forestiero della vita". Perciò, al povero Meis, non resta nient'altro che rinunciare al suo sogno di essere libero dai legami e dalle forme imposte dalla società e di ritornare alla sua vecchia vita. Adriano, anzi Mattia, si sente perso e spaventato difronte a qualcosa di instabile, necessita di tranquillità e capisce che l'unico modo per sopravvivere e non venire sopraffatto dalle incertezze consiste nell'indossare, per l'appunto, una maschera dietro alla quale si può nascondere. Nel complesso è sicuramente un libro che deve essere letto, nonostante il linguaggio un po' complesso, in quanto porta il lettore a riflettere, a mettere in moto la sua coscienza interrogandosi sulla sua vita, porta l'io ad una vera e propria crisi interiore.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    28 Febbraio, 2012
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Si può mai essere veramente liberi?

Succede a volte che, insoddisfatti della propria vita, si senta il bisogno di cambiarla radicalmente, di andarsene lontano, assumere un' altro nome e magari un aspetto diverso. Mattia Pascal non pensava a questo quando si è allontanato da casa per qualche giorno, voleva solo godersi un po’ di tempo lontano dall' assillo dei creditori e dalle angherie di moglie e suocera. Invece ecco che gli si presenta l' occasione di ricominciare da capo: durante il viaggio di ritorno da Nizza, dove ha vinto una cospicua somma al gioco, il protagonista apprende da un giornale che per errore è stato dato per morto. Decide di approfittare dell' occasione per lasciarsi alle spalle una vita insoddisfacente ed essere finalmente libero, con un' altra identità, lontano dal suo paese e con un bel gruzzoletto in tasca. Così assume il nome di Adriano Meis e si trasferisce a Roma. Ma si può veramente parlare di libertà quando non si ha nemmeno un documento che provi la nostra esistenza, che ci permetta di avere una casa, una famiglia o semplicemente un cane? Si può passare il resto della vita a mentire sul proprio passato, a dover rinunciare al vero amore o anche alla soddisfazione per un torto subito? I temi trattati in questo libro sono quelli cari a Pirandello: la precarietà dell' uomo, le tante maschere che le convenzioni sociali ci costringono a portare, l' ineluttabilità del destino. Ma in particolare lo scrittore siciliano mette in evidenza l' impossibilità di avere una vita veramente libera se si rimane fuori dalla società, dalle sue leggi e dai suoi schemi. Nonostante il linguaggio un po’ datato il libro si legge con grande piacere e interesse, grazie al buon ritmo, alla grande ironia e agli argomenti che sono tuttora di grande attualità. Molto bella nel finale la parte dedicata alla visita di Mattia alla sua tomba. In sostanza un bel libro, che, con grande umorismo, apre gli occhi sulla condizione dell' uomo che, oggi come allora, appare tutt’ altro che felice.

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macchiolina Opinione inserita da macchiolina    01 Febbraio, 2012
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Verità e verosimiglianza

Non mi piace Pirandello. Troppo lontano lo stile, antico il percorso di vita.E non è questione di epoca:ci sono scrittori del suo periodo che trovo davvero attuali sia nei contenuti che nella forma. Sentite però che genio questo vecchietto: -"La vita, per tutte le sfacciate assurdità, piccole e grandi, di cui beatamente è piena, ha l'inestimabile privilegio di poter fare a meno di quella stupidissima verosimiglianza a cui l'arte crede suo dovere obbedire. Le assurdità della vita non hanno bisogno di parer verosimili, perchè sono vere. All'opposto di quelle dell'arte che, per parer vere, hanno bisogno di esser verosimili." Beh, meglio di così non lo si poteva dire.

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Nadiezda Opinione inserita da Nadiezda    21 Novembre, 2011
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Grande Pirandello

È la storia di Mattia Pascal, un uomo che si sente imprigionato in difficili rapporti familiari ed afflitto dai dissidi coniugali e dai debiti, un giorno come un altro, si vede offrire la possibilità di fingersi morto, infatti, nelle acque di un vecchio mulino viene ritrovato il cadavere di un suicida, al quale viene attribuita la sua identità.
All'inizio egli, prende l'identità falsa di Adriano Meis, sembra essere eccitato dall’idea della nuova libertà, riuscendo a mantenersi con una cospicua vincita al casinò di Montecarlo, ma quando si ritrova solo ed annoiato dai viaggi, prende l'iniziativa e si innamora di Adriana e patisce alcuni torti, inoltre capisce l'impossibilità di vivere fuori dalle leggi.
Scopre, infatti, che "fare il morto non è una bella professione".
Decide di farla finita anche con la nuova identità, simulando il suicidio di Adriano Meis nelle acque del Tevere.
Non gli rimane che tornare nei paesi d'origine, Oneglia e Miragno, scoprendo che nessuno lo riconosce più; persino il fratello Berto reagisce inizialmente con la paura non appena se lo trova davanti.
Malgrado siano passati soltanto due anni, la moglie si è risposata con Pomino, un amico d'infanzia di Mattia; hanno avuto già una bambina, conducono una vita normale e tutto sommato serena.
Arrivato con propositi di vendetta, Mattia Pascal ben presto li abbandona, lascia che la moglie e l'amico vivano in pace la loro nuova vita coniugale e si riprende il vecchio posto alla biblioteca. Ogni tanto va persino al cimitero a visitare la propria tomba, deponendovi pure dei fiori.
Il romanzo è molto coinvolgente, ma l’unica cosa che alla fine riusciamo a vedere, è che non ci sono certezze nella vita, che la vita è un’assurdità ed una grande pazzia.

Consiglio questo libro a persone di qualsiasi età, non solo a chi frequenta ancora la scuola, ma anche a chi ha un po’ di tempo libero e vuole sfruttarlo al meglio.

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Classici italiani
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Opinione inserita da Zahi    18 Agosto, 2011

Un caso strano

Mi sembra di rilevare che Pirandello nel romanzo abbia voluto mettere in evidenza l'enigma dell'uomo. E' dentro di noi che si gioca la partita e il gioco è duro e implacabile.
L'avversario sfugge alla nostra conoscenza ma opera sopra le nostre teste sia che lo chiamiamo caso, fato, destino o demiurgo.
La realtà e la verità ci sfuggono, sono inconoscibili.
La struttura del romanzo è formata da quattro parti narrative ben distinguibili: a)vita di Mattia Pascal fino ai due/tre anni di matrimonio, b)andata a Montecarlo, grossa vincita alla roulette e decisione di farsi credere la persona trovata annegata al suo paese per liberarsi della moglie, della suocera e dei creditori, c)vita errante in Italia e in Germania come Adriano Meis, alloggiamento a Roma e fatti fino alla messa in scena del suicidio, d) ritorno a casa e finale.
Il cast dei personaggi secondari è affollato e caleidoscopico, con diverso rilievo e approfondimento psicologico in funzione della loro permanenza in scena attorno al protagonista. E' rappresentata tranne pochi casi (la madre, Adriana, il principe napoletano) un'umanità meschina, carica di vizi e priva di virtù.
Il livello umoristico è costantemente presente nell'intreccio narrativo, ma raramente è portato in primo piano.
I dialoghi sono veri, efficaci, taglienti, si inseriscono magistralmente nel flusso narrativo, condensando e facendo esplodere gli eventi.

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Kafka, Gogol, Bulgakov
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Lida Opinione inserita da Lida    28 Luglio, 2011
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Interessante

Decisamente una bella lettura. Il protagonista, Mattia Pascal, ritrovatosi a vivere un matrimonio obbligato e molto triste, decide di evadere dalla propria quotidianità ma quando deciderà di tornare la sorte cambierà i suoi piani. Realizzando che, nonostante la breve assenza di sole due settimane, un cadavere ritrovato nel suo Paese venne identifacto come suo e che egli stesso risulta ormai morto agli occhi dei più, decide che quella è la sua occasione per ripartire da zero. Nessun debito, nessun conosente, nessuna moglie da sopportare. Presto però realizzerà che essere morti per il mondo può essere un modo per non avere responsabilità ma può anche essere il più triste dei destini. Mattia non può più avere legami con nessuno, non può neanche possedere materialmente degli oggetti che vadano al di là degli abiti e poco più perchè, per avere qualsiasi cosa, che sia un divano, una casa, un conto in banca o un nuovo amore, bisogna disporre di una identità. Identità che lui non potrà mai possedere realmente senza venire allo scoperto e rivelare il suo segreto. Ma nessuno può vivere in completa solitudine e questo porterà Mattia ad agire. La storia è ben elaborata, mai noiosa o banale ed il finale a mio parere inimmaginabile. Lo consiglio.

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dmcgianluca Opinione inserita da dmcgianluca    10 Febbraio, 2011
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capolavoro

La recensione di un lettore comune come me non è certo utile a nessuno, è solo un pensiero che volevo esternare. Pirandello è uno dei pochi italiani ad aver vinto il Nobel per la letteratura ed in questo libro mostra, quasi senza sforzo, tutto il suo talento.
Volendo fare un analogia con il canto è come Giorgia, la famosa cantante: quando si esibisce raggiunge certe tonalità a dir poco sovrumane, ed in viso non mostra alcuno sforzo, quasi che fosse come bere un bicchier d'acqua. Pirandello fa lo stesso: racconta una storia di un uomo comune, invisibile, normale, ma le implicazioni riflessive del lettore sono infinite e le emozioni che ne conseguono sono particolarissime. Il linguaggio è quello dei primi del novecento, per cui un po' di sforzo ci vuole, ma il bello è anche questo. Non stiamo leggendo un romanzo (senza nulla togliere) d'avventura di un Follet o di un Jeffrey Deaver, o di Smith, gente che, per quanto sia talentuosa, sforna romanzi a go-go; stiamo leggendo un premio Nobel.
Bello.

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Fermìn90 Opinione inserita da Fermìn90    10 Febbraio, 2011
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la perdita dell'identità

Il fu Mattia Pascal è il romanzo di Pirandello che preferisco; in esso l’autore opera una completa distruzione delle certezze umane , tanto che il protagonista imprigionato nella "trappola" di una famiglia insopportabile e di una misera condizione sociale, cerca di costruirsi una nuova identità. Ma questo suo tentativo non va a buon fin e dunque è costretto ad adattarsi alla condizione di "forestiero della vita" che contempla il mondo dall'esterno, con la consapevolezza di non essere più nessuno. Di essere appunto il fu Mattia Pascal. Frammentazione dell’io , perdita delle certezze assolute dell’uomo … temi cari al decadentismo di cui Pirandello è uno dei nostri più genuini rappresentanti.
Interessante è lo stile usato dall’autore , che mescola sapientemente tragicità e ironia consentendoci di abbozzare un sorriso di comprensione sulla (difficile) situazione umana: il cosiddetto umorismo pirandelliano.

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a chi ama il decadentismo italiano , e il tema della frammentazione dell’io. Consigliato anche a chi ha letto e amato Italo Svevo.
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Manem Opinione inserita da Manem    14 Ottobre, 2010
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La propria identità non ha prezzo!

Un classico italiano! Sul filone del gioco delle maschere tutto pirandelliano. l'Idea è molto carina e curiosa allo stesso tempo! Perdere la propria identità per fatti accidentali e sapere sfruttare questi eventi per cambiare vita! Cogliere l'attimo insomma! Da qui iniziano le avventure di Mattia. Ma presto si accorgerà che vivere senza identità è drammatico!
Certo, il linguaggio è quello dell'ottocento e talvolta la storia fatica a scorrere soprattutto quando lui si trova nella casa a Roma. Comunque veramente molto bello. Grande Pirandello: ci regala sempre situazioni talmente strane che sono al limite del paradosso.

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Indigowitch Opinione inserita da Indigowitch    14 Luglio, 2010
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Un uomo in fuga da se stesso

E'uno di quei classici che ho letto ai tempi del liceo e l'ho trovato piacevolissimo, per nulla ostico.
Da un punto di vista critico-letterario, la storia si inserisce in un filone individuabile in opere come "La coscienza di Zeno" di Svevo o "L'étranger" di Camus, che ci pongono dinanzi a un protagonista maschile privo di particolari qualità,piuttosto mediocre e lontano dalla dicitura di "eroe".
E' un uomo come tanti, non particolarmente bello, non particolarmente brillante, che si ritrova in un matrimonio poco felice, con una moglie e una suocera decisamente pesanti.
Quando gli si para davanti l'occasione di evadere dal deludente ménage familiare, il protagonista si dà per morto e modifica radicalmente il proprio aspetto fisico per poter passare inosservato.
La sua fuga lo porterà a vivere esperienze rocambolesche, spesso divertenti, e a venire a contatto con gente di ogni tipo, anche bizzarra, come il proprietario della pensione dove alloggerà per un po', il vecchio Paleari.
Nell'evolversi della storia, ci si rende conto di come la ricerca della libertà da parte del protagonista si riveli effimera e illusoria, e di come, per quanto ci si possa lasciare alle spalle persone e luoghi, non si riesce mai a fuggire da se stessi.
Consiglio caldamente la lettura a chi conosce già Pirandello e anche a chi vuole avere un primo approccio con l'autore.
Penso che la modernità della storia sia evidente, perché da sempre l'uomo ha desiderato di poter vivere tante esistenze, di poter uscire almeno per un po' dal personaggio che recita da tempo e da un costume che inizia a diventare logoro e stretto.
L'anelito alla libertà, all'emancipazione dai ruoli che la società impone è un tema sempreverde, che trascende i limiti di epoca e costume.
E' un romanzo che risente anche dell'amore di Pirandello per il teatro, e l'accostamento teatro-vita è più che mai presente in una delle scene più belle, il discorso del vecchio Paleari al protagonista.
Da leggere.

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La coscienza di Zeno di Svevo
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chicca Opinione inserita da chicca    14 Luglio, 2010
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il fu mattia pascal

Quest'opera, tra le più note scritte da Pirandello, viene pubblicata per la prima volta nel 1904, per i canoni letterari del tempo fu di una modernità sconvolgente. Trovo che ancora oggi, a più di un secolo di distanza,sia dal punto di vista della forma sia per quanto riguarda il contenuto, si possa definire questo classico della letteratura italiana ancora attuale, non per niente si intende per classico un libro che anche a distanza di anni,mantiene inalterata la sua carica innovativa e la sua seduttività. Ma veniamo al contenuto: Mattia Pascal si trova per caso al casino di Montecarlo, dove vince una notevole somma di denaro. Durante il tragitto per tornare a casa legge sul giornale la notizia del proprio suicidio e allora immediatamente, senza riflettere troppo sulle conseguenze,adottando il nome di Adriano Meis, decide di assecondare lo scambio di persona, ed inizia a girovagare per l'Europa e per l'Italia, in seguito si stabilisce a Roma . Ma al destino non si comanda e tantomeno lo si può costruire su misura, così la libertà tanto agoniata si trasforma per Adriano in un boomerang, egli infatti si accorge che la mancanza di riconoscimento sociale lo priva anche della propria identità più profonda. Pirandello in questo romanzo concepisce la realtà come una formalità, non è importante che una cosa sia vera, basta che possa esserlo, come Mattia che non è morto realmente ma tornando a casa scopre che è stato velocemente dimenticato e si trova nella triste situazione di aver comunque perso tutto.

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katia 73 Opinione inserita da katia 73    04 Luglio, 2010
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Il fu Mattia Pascal

Un libro scritto un secolo fa ma la trama l'ho trovata decisamente moderna. E' la storia di qust'uomo che dopo aver vinto una grossa cifra al casino scappa per fuggire da una vita che non gli piace più in cui si sente intrappolato, e cercherà, con poco successo, di crearsi una nuova identità. Per chi come me non legge i classici è faticoso perchè se la trama l'ho trovata moderna lo stesso non posso dire dello stile di scrittura i tempi verbali al passato e un modo di scrivere a cui non sono abituata hanno reso la lettura un pò pesante ma è sicuramente un libro che consiglio.

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silvia71 Opinione inserita da silvia71    06 Mag, 2010
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Il fu Mattia Pascal

Il tema centrale del romanzo è quello della perdita di identità. Mattia ,uomo inetto e sconfitto dalla vita, si finge morto per scappare da una realtà familiare e sociale che lo opprime.
Per questo,Mattia Pascal diventa il testimone dell'assurda condizione di uomo prigioniero delle maschere sociali di marito,padre,figlio che coprono la sua vera identità.
Con quest'opera Pirandello rappresenta la crisi esistenziale e storica dell'uomo moderno, mostrandoci il contrasto tra illusione e realtà e l'incapacità di quest'ultimo di poter essere in toto artefice del proprio destino;tutto ciò alternando umorismo e amarezza,comicità e tragedia.
La lettura di questo cardine letterario non è semplice poichè la lingua risulta abbastanza distante dalla nostra(ricordiamo che è stato scritto nel 1903), tuttavia lo consiglio perchè è carico di significati profondi che donano un notevole arricchimento culturale.

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classici della letteratura
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