I promessi sposi I promessi sposi

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FrankMoles Opinione inserita da FrankMoles    23 Mag, 2016
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Quel guazzabuglio del cuore umano

I Promessi Sposi, opera capitale del Romanticismo italiano e della letteratura mondiale, furono scritti da Manzoni tra 1821 e 1823 col titolo provvisorio Fermo e Lucia, poi mutato in quello definitivo nelle successive edizioni del 1827 e del 1840. Manzoni sceglie la neonata forma del romanzo, senza precedenti in Italia (se si esclude l’Ortis di Foscolo, ancora lontano dalla forma compiuta del romanzo ottocentesco), in quanto è da lui ritenuta la più adatta al suo scopo, ossia narrare il vero dalla prospettiva dei deboli. A tale intento inadeguato gli si era mostrato il teatro: il romanzo infatti, svincolato da canoni tradizionale in quanto di recente diffusione, gli consentiva una maggiore libertà contenutistica e formale, lasciando all’autore il compito di orchestrare la rappresentazione della realtà. La caratteristica principale del romanzo manzoniano è il suo rapporto con la storia: egli scrive infatti un romanzo storico ambientato nella Milano spagnola del Seicento, che tante analogie presentava con la situazione presente della Lombardia asburgica. Il realismo storico dello scrittore è tale che egli introduce nel soggetto d’invenzione dei personaggi storici reali di cui trova notizia nei documenti, quali la monaca di Monza, il cardinale Borromeo o l’Innominato: ciò conferisce ulteriore verosimiglianza al romanzo. Considerate dunque tali premesse, risulta evidente il valore di un romanzo che nella sua polifonia ci fornisce un dettagliato e politematico ritratto della contemporaneità così abilmente mascherata nella finzione letteraria dell’Anonimo manoscritto secentesco.

Ecco dunque presentarsi sulla scena – perché il romanzo assume a tratti movenze e tonalità vicine a quelle del dramma grazie al suo realismo e alla sua verosimiglianza – una sterminata galleria di personaggi atti a fornire l’immagine del mondo visto dagli umili, a cui lo scrittore si associa. Abbiamo quindi il quadrato sistema dei personaggi: a due oppressi (Renzo e Lucia) e ai loro due aiutanti (fra’ Cristoforo e il cardinale Borromeo) corrispondono due oppressori (don Rodrigo e l’Innominato) e i loro due aiutanti (don Abbondio e la monaca di Monza); agli affetti familiari (Agnese, il cugino di Renzo) corrispondono i rapporti vuoti o imposti dai rapporti di forza (i bravi, conte Attilio, conte zio, Azzecca-garbugli); ai due personaggi ecclesiastici d’estrazione popolare (don Abbondio, fra’ Cristoforo) ne corrispondono due d’estrazione nobiliare (la monaca di Monza e il cardinale Borromeo); alla voce dell’anonimo secentesco corrisponde la voce narrante dell’autore, che interviene di continuo dalla sua prospettiva onnisciente ad orientare l’intendimento dei lettori e a gestire con la sua ironia il ritmo e i fili della narrazione; alla realtà storica corrisponde la sfuggente divina Provvidenza.
Tali studiate contrapposizioni sono funzionali ad evidenziare il messaggio manzoniano, rivolto a molteplici ambiti della sua attualità.

Immediato appare l’intento sociale, da cui il romanzo prende dichiaratamente le mosse. La sua scelta di incentrare l’attenzione sulle classi umili è del tutto rivoluzionaria, dal momento che il loro mondo non era finora stato considerato letterariamente degno se non a scopo caricaturale; il motivo di una simile scelta è evidentemente da ricercare nell’intento di dar voce alle masse, asservite agli individuali poteri locali ed effimeri detenuti da signorotti che si collocavano al di là di una legge troppo facilmente manipolabile e nullificata. Questo si riflette, da un lato, nella piaga economico-sociale della povertà, i cui effetti sono esemplificati nella rivolta del pane in cui Renzo rimane coinvolto o nella denunciata miseria del lazzaretto per gli appestati, e dall’altro nella questione politico-morale della giustizia, il cui ordine naturale viene normalmente sovvertito in nome della paura, come ben mostrano l’infido Azzecca-garbugli e il codardo don Abbondio.

Come far fronte a siffatta situazione? Per Manzoni la risposta appare chiara: l’unica via d’uscita è la fede in Dio. L’autore dunque affida alla Chiesa il compito di guida spirituale vicina agli umili per guidare la società al bene pubblico e gli uomini alla salvezza. Ecco dunque troneggiare le figure del tutto positive dell’irreprensibile e autorevole cardinale Borromeo, incarnazione del Bene giunto a pieno compimento, e del pietoso e attivo fra’ Cristoforo, il cui idealismo improntato a romantico titanismo si scontra ed è costantemente bilanciato dalla fede incrollabile, il che lo porta a perseguire in ogni modo il bene. A loro si oppongono radicalmente don Abbondio e Gertrude, il curato e la monaca che hanno tradito la loro missione spirituale rivelando in ciò tutta la loro umana imperfezione: non sono personaggi privi di una coscienza morale o incapaci di amare, sono invece personaggi in cui la fede non ha ancora sopperito ai limiti della loro umanità, da un lato la paura e l’ideologia del quieto vivere e dall’altro la passione amorosa. Per questo motivo essi sono spesso vittime dell’ironia del narratore autoriale, sebbene Manzoni mostri verso di loro anche pietà e comprensione, rivelando una certa compartecipazione nei confronti del loro animo.

Le vicissitudini dei quattro personaggi centrali evidenziano massimamente lo scontro da Manzoni vissuto in prima persona tra reale ed ideale. L’autore condensa il suo personale ed umanissimo conflitto interiore nelle figure di Renzo e Lucia: Renzo, con le sue contraddizioni, col suo impeto istintivo e la sua fede, col suo senso della giustizia terrena contrapposta a quella divina, appare per molti versi una proiezione della personalità scrittore, che infatti mostra sempre empatia nei suoi confronti, esimendosi da qualsiasi giudizio morale complessivamente negativo; Lucia, con la sua perfezione spirituale e la sua bellezza pura e casta, rappresenta l’ideale a cui Renzo tende con struggente amore al pari di Manzoni nei confronti della fede. La forza dirompente di quest’ultima raggiunge il suo apice nella conversione dell’Innominato, evento in grado di spostare gli equilibri a favore del bene. E non poteva d’altronde che essere lui il più portato alla conversione: egli infatti è sempre stato perfetto nel Male, dunque il passo è per lui certamente più semplice che per il mediocre don Rodrigo, in grado di soffocare la sua non troppo forte coscienza morale, o addirittura per il Griso o il conte Attilio, del tutto privi di senso morale e infinitamente piccoli nella loro mediocrità.

E tuttavia neanche lo scioglimento della vicenda conduce a un finale lieto a 360°: le ultime pagine, infatti, gettano sul futuro congiunto dei protagonisti delle ombre che riconducono il tutto alla dimensione della normalità e della quotidianità. Una quotidianità in cui ha larga parte il male e la sofferenza secondo la visione pessimistica di Manzoni rispetto al destino degli uomini. L’autore nega infatti ogni intervento della Provvidenza nelle faccende umane, a differenza dei personaggi che credono ad essa pur non essendo in grado di coglierne l’essenza, anzi adattandola alle loro mentalità, talvolta in assurdi al limite del grottesco su cui il narratore ironizza bonariamente. In questo Manzoni si dimostra erede del razionalismo del movimento illuminista, da cui tuttavia si distacca per la mancanza di fiducia nel progresso: l’uomo è coinvolto negli eventi del mondo, gli umili si trovano costretti a sottostare alla logica della sopraffazione, gli uomini tutti sono costretti a convivere con la loro realtà storica e la loro natura da adattare a dei principi morali universalmente validi. La modernità dell’autore è dimostrata dal fatto che tali aspetti del suo realismo saranno approfonditi dalle correnti successive, a partire dal Verismo.

Le diverse edizioni differiscono non tanto per lo sviluppo narrativo quanto per la lingua: l’autore infatti rivide la sua opera al fine di avvicinare il registro linguistico al fiorentino contemporaneo d’uso comune, in modo da render l’opera accessibile a un pubblico vasto ed eterogeneo con un tono colloquiale, generalmente sobrio e talora vicino a sprazzi di liricità. La coesistenza della sua voce narrante con quella dell’anonimo secentista è ulteriormente significativa: l’autore, infatti, ironizza sullo stile baroccheggiante tipico della scrittura del Seicento, uno stile finalizzato a nascondere il vuoto contenutistico e lontano dal gusto contemporaneo. Le sue scelte linguistiche per l’edizione quarantana saranno determinanti negli sviluppi della lingua italiana: il Manzoni divenne ben presto un’autorità nel campo, con cui era inevitabile confrontarsi sia stilisticamente sia letterariamente. E’ questo uno dei tanti aspetti della fortuna di un romanzo che ha consegnato alla cultura italiana una tale vastità di situazioni ed espressioni divenute proverbiali o personaggi assurti a veri e propri caratteri tipologici per eccellenza da esser necessariamente annoverato tra i più grandi capolavori della letteratura.

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leogaro Opinione inserita da leogaro    13 Luglio, 2015
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Un pilastro della letteratura

Il testo contiene spoiler.

Lombardia, 1628-1630, al tempo della dominazione spagnola. Renzo e Lucia vivono nei pressi del lago di Como. Don Rodrigo, invaghito di Lucia, scommette con il cugino Attilio che riuscirà a possederla e manda due seguaci (“i bravi”) a minacciare don Abbondio affinché non li sposi. Il pavido prete cede e imbastisce delle scuse a Renzo per rinviare il matrimonio. Renzo, però, parlando con Perpetua, intuisce la verità e chiede consigli all’avvocato “Azzecca-garbugli”: questi, compresa l’identità del nemico di Renzo, rifiuta. I tre si rivolgono a fra’ Cristoforo, loro padre spirituale, fervente convertito dopo un fortuito omicidio. Il frate affronta don Rodrigo nel suo palazzo, ma viene cacciato in malo modo. Agnese propone un matrimonio a sorpresa, pronunciando davanti al curato le frasi rituali alla presenza di due testimoni. Intanto, don Rodrigo manda i bravi in casa di Lucia a rapirla, ma non trovano nessuno poiché Lucia, Agnese e Renzo sono da don Abbondio per tentare il matrimonio con l’inganno: ma falliscono, il prete da l’allarme e nel villaggio scoppia il trambusto, tanto che i tre debbono scappare da fra' Cristoforo. Il frate espone il suo piano: Renzo si rifugerà dai cappuccini di Milano, mentre Lucia andrà al convento di Monza. Così, attraversano l’Adda su una piccola barca meditando l'addio ai monti natii. Giunta al convento, Lucia viene accompagnata da Gertrude, la "signora" di Monza: figlia di un feudatario, destinata dalla nascita a entrare in convento, la sua educazione fu tutta orientata a convincerla del desiderabile destino di monaca. Divenuta adolescente, Gertrude dubitò di tale scelta poi, per timore del padre, acconsentì. In convento subì le attenzioni di Egidio, entrando in una relazione che culminò con l’omicidio di una novizia che aveva scoperto la tresca. Renzo entra in Milano durante i tumulti scoppiati per il rincaro del pane; nella folla, egli critica la giustizia che sta sempre dalla parte dei potenti. Tra i suoi ascoltatori vi è uno sbirro in borghese, che lo segue nell’osteria ove Renzo pernotta. Ma Renzo si ubriaca e rivolge nuovi attacchi alla giustizia: l’oste lo mette a letto, poi corre a denunciarlo. Al risveglio, Renzo viene arrestato, ma riesce a scappare approfittando della sommossa e fugge nel bergamasco, nella Repubblica di Venezia, dove suo cugino Bortolo lo ospita e gli procura un lavoro sotto falso nome. Intanto, la polizia fa credere che sia uno dei capi della rivolta; frattanto, Attilio, tramite un potente zio, fa trasferire fra' Cristoforo a Rimini. Don Rodrigo brama Lucia e chiede aiuto all'Innominato, sanguinario signore che da tempo medita sul senso della propria vita; costui fa rapire Lucia, con l'aiuto di Egidio e la complicità di Gertrude, e la fa portare nel suo castello. Lucia, terrorizzata, supplica l'Innominato di lasciarla libera e lo esorta a redimersi. Nella notte, Lucia fa voto di castità alla Madonna perché la salvi, e l’Innominato è preda di rimorsi finché, udendo le campane a festa, scopre che il Card. Borromeo è in visita pastorale nel paese. Spinto dai tormenti, si reca a parlare con il cardinale; il colloquio sconvolge l'Innominato che si converte, impegnandosi a cambiare vita. Per prima cosa libera Lucia, che viene ospitata presso don Ferrante e donna Prassede, due milanesi amici del Cardinale. Scendono in Italia i Lanzichenecchi, mercenari tedeschi nella guerra di successione al Ducato di Mantova, che saccheggiano i paesi e diffondono la peste. Molti, tra cui don Abbondio, Perpetua e Agnese, trovano rifugio nel castello dell'Innominato. Gli errori delle autorità sanitarie, la voluta disinformazione e l'ignoranza superstiziosa della gente fanno sì che la peste diffonda velocemente. Si ammalano anche Renzo, che guarisce, e don Rodrigo, portato al lazzaretto a tradimento. A Milano, la peste falcidia la popolazione, colpendo adulti e bambini, con l’apice nella straziante morte della piccola Cecilia, consegnata alle autorità sanitarie dalla stessa madre morente. Renzo torna al paese per cercare Lucia, ma non la trova: viene indirizzato a Milano, dove apprende che ella è convalescente al lazzaretto. Qui ritrova anche padre Cristoforo, indomito nel servizio sebbene segnato dalla pestilenza, che scioglie il voto di Lucia e invita Renzo a perdonare don Rodrigo, ormai in fin di vita. I fidanzati tornano al loro paese dove don Abbondio, avuta conferma del decesso di don Rodrigo, celebra le nozze. Si trasferiscono infine nel bergamasco, dove Renzo acquista un’azienda tessile e Lucia si occupa dei figli.

Un romanzo che è un caposaldo della letteratura italiana, da cui derivano tantissimi modi di dire entrati nel parlare quotidiano. Personaggi, scavati nel profondo dalla penna ironica del Manzoni; tutti memorabili, con le loro umane incertezze, paure, contraddizioni. Uno stile impeccabile, che stupisce a ogni pagina con un ritmo e una musicalità davvero unica. Sì, ci sono alcune lunghe digressioni, è vero: ma non tolgono valore a un libro che ognuno deve, ripeto deve, leggere almeno una volta nella vita, per intero....meglio ancora se dopo i 20-25 anni, con una maggiore maturità e senza la costrizione scolastica!!

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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    06 Febbraio, 2014
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Sempre attuale

Croce e/o delizia di tanti studenti delle scuole superiori è indubbio che I promessi sposi, al di là dei suoi meriti, sia un’opera conosciuta proprio perché inserita nei programmi d’insegnamento scolastico. Ma perché studiarla, perché questa e non un’altra? Credo che il motivo risieda soprattutto nell’uso esemplare della nostra lingua, un italiano doc potrebbe dire qualcuno, e su questo fatto non ci sono dubbi, perché mai prima d’allora era stato scritto un romanzo avulso da inflessioni di idiomi locali, oppure con un ricorso così particolareggiato e preciso alla grammatica, con una certosina ricerca di termini che per l’appunto dovessero dare luogo a un lavoro impeccabile, un preciso riferimento per chi poi avesse voluto mettere nero su bianco le sue idee in un linguaggio comprensibile e scorrevole per ogni italiano, dal siciliano al piemontese.
Però, l’opera non presenta solo questa valenza, ma è meritevole di lettura e di studio anche per ben altro.
Benché la vicenda si svolga in Lombardia nella prima metà del XVII secolo, allorchè vi dominavano gli spagnoli, e la ricostruzione d’epoca, pur a fronte di un parto di fantasia, sia impeccabile grazie alle accurate ricerca d’archivio propedeutiche e quindi si possa parlare di un romanzo storico, le intenzioni del Manzoni andavano oltre questa storia di un amore fra due giovani tanto ostacolato da un potente. Sono dell’avviso, infatti, che in tal modo l’autore abbia voluto in effetti, camuffando l’epoca, proporre quella a lui contemporanea, fatta di prepotenze e di angherie praticate da chi deteneva il potere nei confronti dei più deboli. E per estensione, ma questo Manzoni non poteva saperlo, finisce con il diventare la trama esempio di tutto ciò che si è sempre verificato e che sempre si verificherà: l’eterna lotta fra il Male e il Bene, il costante contrasto fra chi domina e chi è soggiogato, direi una caratteristica propria dell’umanità, e d’altronde non si spiegherebbe il perché ben pochi detengano la maggioranza assoluta della ricchezza e di conseguenza abbiano in mano le leve del potere.
Sebbene Manzoni abbia rilevato questa peculiarità, la sua religiosità finisce con il permeare il romanzo e senza perciò nemmeno ipotizzare una rivolta dei deboli per liberarsi dei forti fornisce una sua chiave di soluzione del problema di carattere del tutto cristiano, nel senso che occorre avere fede e così la divina provvidenza finirò per mettere a posto ogni cosa. L’esperienza insegna che non è sempre così, ma nulla toglie a questo pensiero, che si richiama altresì alla quasi sempre inascoltata parola del Cristo.
Un’altra caratteristica, che spesse sfugge, è data dal fatto che nel romanzo chi detiene il potere sovente è ben poco preparato per esercitarlo, anzi la capacità appare indifferente alla carica e la carica stessa, che non ha corrispondenti qualità, sembra così funzionare meglio, basandosi solo sull’autorità, sul fatto che si può fare ciò che gli altri non possono fare, gli altri che devono solo temere e stare a capo chino. Questo concetto verrà poi più compiutamente espresso in quel suo capolavoro che è La storia della colonna infame.
Inoltre, è rivoluzionario per l’epoca il fatto che i protagonisti, possiamo anche definirli i nostri eroi, cioè Renzo e Lucia, siano di umile ceto, cioè non appartengano ai nobili, fra i quali anzi spesso s’annidano i tiranni. Non è quindi una storia di principi azzurri, di cavalieri indomiti, ma è la vicenda del povero diavolo che, senza colpe, si scontra con qualche cosa di molto più grande di lui e questa è certamente una grossa novità in un panorama narrativo che tendeva invece a escludere la presenza preponderante di soggetti delle classe più debole.
Spero che queste indicazioni possano essere utili per chi è costretto a studiarlo, ma anche per chi ha voglia di dilettarsi a leggerlo e al riguardo assicuro che la prosa è molto snella, il ritmo azzeccato e che quindi è un piacere scorrere quelle pagine, dalla prima all’ultima, anche sapendo a priori come andrà a finire.
Se giudicarlo un capolavoro può sembrare eccessivo, mi permetto solo di ricordare che le sue caratteristiche sono tali da avere il dono dell’universalità, perché in fondo vicende come quella di Renzo e Lucia, sotto altra forma, sono consuetudine anche altrove e l’analisi dell’uomo in quanto tale è sottile ed oculata, ma posta al lettore in modo semplice e convincente.

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Storia della colonna infame, di Alessandro Manzoni
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Opinione inserita da Marco    10 Dicembre, 2013

Capolavoro della letteratura mondiale

Ho letto il libro dopo 20 anni da quando ne avevo sentito parlare al liceo. Concordo con chi ha rilevato che viene penalizzato dal fatto che è imposto alle superiori, ma d'altronde come poteva essere altrimenti.
La cosa che mi ha più colpito è il ritmo. Ci sono delle pagine in cui il ritmo è furibondo altre in cui corre lento. E poi i paesaggi descritti a seconda dello stato d'animo o dal tipo di carattere del personaggio stesso (vedi la descrizione dell'ubicazione del castello dell'Innominato).
Insomma, dopo anni e anni di letture, dopo anni e anni di chiacchiere da me fatte sulla pochezza della letteratura italiana che opponeva un solo libro come i Promessi Sposi a capolavori stranieri, come l'Innominato faccio abiura di me stesso. "I promessi sposi", a mio avviso, è un capolavoro indiscutibile della letteratura mondiale.

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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    28 Novembre, 2013
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Una passeggiata dinnanzi al Lago di Como

Prima di prenderlo in esame era per me solo e soltanto un librone dalle pagine consunte dal tempo:sto parlando de "I promessi sposi", notissimo pilastro della letteratura classica italiana rimasto accartocciato lì,in quell'angolo remoto della libreria,tanto tempo, troppo! Fino a che -per mia immensa fortuna- il mio dovere da studente mi ha imposto di prenderlo in visione.
Fin dalla prima pagina mi si è aperto un mondo nuovo, diverso, capace di proiettare la mia mente in angoli della letteratura che ancora non avevo avuto occasione- né la voglia- di considerare.
Il classicismo, quei romanzi che tutti decantavano,non erano mai riusciti ad ammaliarmi: chissà perché la mia mente mi aveva sempre reso dubbioso e restio dall'intraprendere un'avventura che pensavo troppo noiosa, vale a dire intraprendere una lettura così impegnativa.
I promessi sposi costituiscono il progetto più impegnativo di Alessandro Manzoni che, proprio mentre stava componendo la tragedia Adelchi,pensò bene di dare "voce" alla sua" letteratura utile" : un'opera innovativa, un'opera grandiosa, un'opera che potesse toccare tutti, dai più eruditi ai meno abbienti col nobile scopo di insegnare, di plasmare le menti del popolo fino a renderle consapevoli dei punti deboli della società italiana Seicentesca. E tutto ciò respirando la storia.
Oltre ai contenuti che rendono questo un Romanzo Storico per antonomasia, ciò che più colpisce- SOLO LEGGENDO,PERO',CON UNA DOVUTA ATTENZIONE- è sicuramente la varietà dei personaggi.
Durante la lettura si assiste a una cesellatura delle personalità più variegati e multiformi, con descrizioni dirette e,talvolta, indirette. Ed è proprio questa una delle tante capacità di Manzoni: descrivere attraverso le azioni, attraverso i comportamenti inducendo il lettore più attento a inquadrare i personaggi valutandone ed interpretandone i comportamenti. Personaggi molto interessanti: dai più deboli ai più petulanti ; da quelli impulsivi a quelli votati al raziocinio; dagli OPPRESSI agli OPPRESSORI.
E tutto questo- storia,passione,patti, punti d'onore,inganni..- è tenuto insieme da una lingua magistrale,un'agile strumento di comunicazione ottenuto da un'efficace utilizzo del fiorentino della classe media, cosparso,qua e là, di qualche latinismo e francesismo. Ma ciò che più mi ha colpito più di ogni altra cosa, forse per la mia attenzione durante la lettura, è la densità di significato di cui ciascun verso è carico. Insomma una lettura che oserei definire INDISPENSABILE oltre che piacevole SE AFFRONTATA CON UNA CERTA ATTENZIONE E PREPARAZIONE.
Buona lettura!

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coppa96 Opinione inserita da coppa96    10 Aprile, 2013
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sopravvalutato

In genere professori ed esperti di letteratura omaggiano questo libro quale "capolavoro della letteratura italiana". Leggendolo tuttavia ci si trova davanti ad un romanzo scritto in un italiano indubbiamente impeccabile, i personaggi sono tuttavia artificiosi. In particolare Lucia secondo la quale per risolvere un problema bisogna aspettare la grazia divina senza fare assolutamente nullla.

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gigi8790 Opinione inserita da gigi8790    30 Settembre, 2011
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Il romanzo fondamentale della letteratura italiana

Devo premettere che non sono affatto d'accordo con le altre opinioni, pur rispettandole. Io mi domando se non merita il voto massimo Manzoni, allora a chi darlo?
Il problema di questo romanzo, a mio avviso, è quello di essere adottato nelle scuole, causa della grande avversione degli studenti italiani. Io stesso ho dovuto rileggerlo all'università per capirne la bellezza e la maestosità.
A parte la storia di Renzo e Lucia, appassionante, Manzoni è capace di creare tutto un mondo letterario in grado di farci percepire le varie sfaccettature della personalità umana, sempre in bilico tra il bene e il male; si da vita a personaggi memorabili come l'innominato, don Abbondio, padre Cristoforo, la monaca di Monza.
Da un punto di vista stilistico il linguaggio Manzoniano segna una tappa epocale per la prosa italiana, ma allo stesso tempo mantiene la musicalità tipica del secolo precedente.
Manzoni inserisce in modo esemplare i personaggi in una realtà storica ben identificabile, la peste del 1629-1630, e lascia un documento fondamentale per comprenderne gli sviluppi e le sofferenze. In tal senso possiamo parlare non solo di romanzo storico, ma anche di romanzo sociale.
Nel viaggio di Renzo e Lucia c'è tutto: l'amore, l'odio, la gelosia, il sopruso, il perdono, il cambiamento, la fede (una fede sincera che raggiunge il culmine con la conversione dell'innominato).
Un romanzo fondamentale per la nostra letteratura che bisogna leggere, bene, almeno una volta nella vita.

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Lady Libro Opinione inserita da Lady Libro    08 Mag, 2011
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Parere che naviga nell'indecisione....

Non saprei esattamente esprimere un mio parere riguardo questo libro: da una parte mi è piaciuto, ma dall'altra proprio no. Proverò a spiegarmi: sul fatto che sia un capolavoro non ci sono dubbi, Manzoni era uno scrittore bravissimo che ammiro molto e la storia narrata in questa sua opera prima per antonomasia è davvero bella. Avevo letto questo libro l'anno scorso, durante il primo anno di liceo: me l'avevano assegnato come compito, ma uno dei miei desideri era appunto quello di provare a leggere "I promessi sposi", così leggere questo libro, più che una costrizione, per me era un piacere. Infatti, quando iniziai a leggerlo, non riuscivo a staccare gli occhi dal libro: la storia (a tratti divertente, a volte drammatica) mi aveva veramente coinvolta e non vedevo l'ora di sapere come continuasse. Lo giudicavo un libro bellissimo. Purtroppo, però, con l'arrivo della seconda superiore, arriva anche il solito professore rompiscatole che fa studiare, analizzare, rispondere alle domande, fare verifiche e interrogazioni sul librone di turno (in questo caso "I promessi sposi"). In parole povere: dopo tutte queste interrogazioni e verifiche sul romanzo, il mio piacere si è trasformato in avversione. "I promessi sposi" non mi piacevano più. La scuola me lo aveva reso odioso, pesante, antipatico e noioso. E adesso che è trascorso un bel po' di tempo ancora non so se il libro mi piaccia o no: mi è rimasto sia il piacere della lettura nato in me la prima volta, ma mi è rimasto anche l'odio trasmessomi dalla scuola. A mio parere le scuole non dovrebbero obbligare gli alunni a studiare questo romanzo: la lettura di un libro dev'essere una scelta personale e libera. L'obbligo, si sa, a volte crea piccoli o grandi rancori. Manzoni non pensava di certo che il suo romanzo sarebbe diventato oggetto di insegnamento in tutte le scuole d'Italia. (Chissà poi che la scuola non s'inventi degli pseudo-significati fatti per torturare gli studenti a cui l'ignaro Manzoni non pensava nemmeno... Questo me lo sono sempre domandata....)

A parte ciò, devo assolutamente dire una cosa: non mi è mai piaciuto il personaggio di Lucia: si spaventa con nulla, è una santerellina che fa venir voglia di andare al bagno (non dico a far cosa), è un'irritante e intollerabile moralista e fifona incapace di far la benchè minima azione con le sue manine di pastafrolla.... Per me è il personaggio più odioso del libro. Renzo e Lucia, poi, sono personaggi totalmente passivi che non lasciano di certo il segno... Giovanni Verga li definirebbe "i vinti". Meravigliosi personaggi, invece, per me sono l'Innominato, la monaca di Monza e anche fra Cristoforo: le storie della loro vita, dei loro cambiamenti a livello interiore e delle loro gesta sono fra le parti più belle del libro. Loro sì che hanno una personalità forte, degna di essere ricordata e celebrata. Ognuno di loro, in fondo, come un bruco che diventa crisalide e poi farfalla, subisce una metamorfosi. Chi in bene chi in male, ma questi personaggi sono assolutamente indimenticabili. Mi piace molto anche don Abbondio: la sua vigliaccheria e il suo modo di fare me lo rendono simpatico.

In sostanza: se qualcuno mi chiedesse "Ti sono piaciuti "I promessi sposi"?" io risponderei "Sì e no".

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faye valentine Opinione inserita da faye valentine    04 Gennaio, 2011
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Il pozzo di San Patrizio

Un grande classico che fa riflettere, sorridere e appassiona. La vicenda tormentata di Renzo e Lucia, il codardo Don Abbondio, lo spaccone Don Rodrigo con i Bravi, i suoi scagnozzi, lo sfuggente Innominato, l'ammaliante Monaca di Monza e tutti i personaggi che li circondano sono diventati ormai dei "tipi", dei personaggi entrati nell'immaginario comune e nella cultura di tutti noi. Sono stereotipati e a loro si fa riferimento anche nel parlare quotidiano.
Al di là degli intenti politici, al di là della denuncia sociale, al di là della pioggia purificatrice e al di là della Provvidenza divina, quel che lo rende un romanzo non solo storico, ma adattabile alla nostra epoca e alla nostra cultura è proprio questo: il suo saper essere una sorta di pozzo di San Patrizio, inesauribile in quanto a citazioni, proverbi, personaggi. E quando un romanzo storico fornisce, oltre ad un quadro dell'epoca di riferimento, anche una chiave di lettura della società al lettore contemporanea, per interpretarla e per viverla, allora, secondo me, ha raggiunto il suo scopo.

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A chi apprezza i Classici complessi, a chi ha avuto l'opportunità di approcciarlo a scuola, a chi ha una buona padronanza della lingua italiana.
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Ginseng666 Opinione inserita da Ginseng666    04 Gennaio, 2011
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I misteriosi disegni della Provvidenza...

Nonostante i preconcetti e i pregiudizi di alcuni lettori, questo libro mi ha sempre affascinato...
Mi sono accostata a questa lettura quando facevo ancora le Medie, e la forzatura non ha comunque influenzato il mio giudizio...
A quel tempo ne fecero anche una vivace trasposizione televisiva che apprezzai notevolmente, poichè era attinente e fedele al libro...
Chissà a cosa pensava il Manzoni quando ha creato il personaggio di Don Abbondio, caricatura triste di un prete non certo con il cuor di leone, disposto a tutto pur di conservare la sua fittizia esistenza in questo mondo...e Renzo il mancato sposo, reso folle dal rifiuto del suo parroco che dice di non poterlo sposare e poi si chiude vigliaccamente in casa, e Lucia la quasi mistica sposina la cui genuina fede viene messa a dura prova...
Tra fughe e inganni, la storia si snoda durante la peste di Milano, e l'autore inserisce il lato grottesco dell'umana natura, il terrore...che rende i milanesi visionari, in quanto attrubuiscono il morbo pestifero alle figure fantasiose e immaginarie degli "Untori"...
Ma, nonostante tutte queste tribolazioni, e i rovesci di fortuna, le avversità numerose come le piaghe dell'Egitto, tutto poi si sistema...è la Provvidenza la vera protagonista di questa storia, la Provvidenza che con una mano dà e con l'altra toglie...la Provvidenza che sa cavare il bene dal male e che ricolma alla fine i due poverelli di abbondanza di benedizioni e di un focolare allietato da molti figli...
Da leggere o da rileggere per coloro che l'avessero già visionato..
Lo stupore della vita presentata dal Manzoni ha sempre il suo fascino..
Saluti.
Ginseng666

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darkala92 Opinione inserita da darkala92    03 Gennaio, 2011
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Vecchio e contemporaneo

Leggere il romanzo de "I Promessi Sposi" di Manzoni è, da un lato, dare uno sguardo molto preciso della società seicentesca, ma è dall'altro lato rendersi conto di come la situazione sia maledettamente contemporanea. I bravi, il re spagnolo, il curato Don Abbondio sono TUTTI personaggi che hanno corrispettivi nel nostro mondo, nel XXI sec.

Interessante è stato il discorso riguardo la peste: la mentalità acquisita dai personaggi e dalla gente di Milano, i metodi utilizzati per liberarsi dei cadaveri e dell'atmosfera perfettamente percepibile della situazione mostrata. Da semplici pagine si poteva sentire il lezzo dei corpi abbandonati, le urla dei sopravvissuti. Tanta tenerezza e compassione, ma tanto odio per la mentalità contadina che si stava diffondendo, impossibile però non comprenderne i motivi.

Un classico da leggere sia per cultura personale ovviamente, ma sia per dare uno sguardo al mondo di ieri (affatto fittizio) per poterlo confrontare con quello odierno.

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