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Povero Pirandello
Perché Pirandello ebbe bisogno di scrivere questo scomodo romanzo, apparso per i tipi Quattrini di Firenze, nel 1911? Perché cercò di coinvolgere anche Ugo Ojetti in questa operazione antipatica dedicandogli il libro? Perché non si fermò nemmeno di fronte al rifiuto di Treves che cercava di fargli capire come fosse poco opportuno pubblicare un romanzo che alludeva, nella figura del marito, a Palmiro Madesani, consorte-manager di Grazia Deledda? Perché, ancora, di fronte al rifiuto del Treves, divenne ancora più paranoico nei riguardi della scrittrice sarda, pensando che cercasse di boicotarlo? Gli epistolari rimandano a questi fatti, tacciono però i moventi.
Si potrebbe pensare che Pirandello fosse geloso della fama della Deledda, che vedesse in Madesani una figura insulsa, negli ambienti letterari della Roma di inizio Novecento non era certo l’unico a pensarla così, o che semplicemente nello sfogare un sentimento comprensibile perse la bussola, rendendosi conto forse troppo tardi del fatto che sarebbe potuto risultare molto antipatico o che avrebbe potuto ferire gli interessati. Fatto sta che non permise una seconda ristampa e che, se la morte non lo avesse colto appena quattro mesi dopo quella della Deledda, forse le sue carte avrebbero restituito più del tentativo di rifacimento al quale stava lavorando e che aveva come nuovo titolo “Giustino Roncella nato Boggiòlo”.
Perché leggerlo allora se lo stesso Pirandello forse lo misconosceva? Semplice, è finemente e puramente pirandelliano e se riusciamo a trascendere dal pretesto compositivo, perdonando questo limite tutto umano, abbiamo modo di godere di uno dei suoi migliori drammi.
Silvia Roncella, scrittrice agli esordi, schiva e trapiantata a Roma dalla natia Taranto, è sposata con Giustino Boggiòlo che da modesto impiegato si trasforma nel suo agente letterario mentre lei non tiene il passo a una società modaiola, frivola, pressante, che sente molto distante da sé. Ben presto il marito non percepisce più le esigenze della moglie e la trasforma in una macchina produttrice di soldi mentre la donna matura in sé un sentimento di totale estraneità nei suoi confronti. Il successo del suo primo dramma “La nuova colonia” ( sarà poi il titolo di un’opera pirandelliana) coincide con il suo travagliato primo parto che la mette in pericolo di vita mentre il marito è a teatro a godere il successo di tanto lavoro. La frattura di Silvia Roncella dalla vita e dal marito diventa definitiva, cessa di scrivere, non si cura del figlioletto, fino a quando non escogita una via di fuga da questa prigione e matura un necessario affrancamento.
All’interno della narrazione principale la coppia Madesani-Deledda è riconoscibile ma non si può certo dire che la loro traiettoria di vita abbia avuto punti di contatto con questo tipico dramma pirandelliano nel quale sottotraccia, in una narrazione secondaria, è nascosto il dolore di Pirandello uomo e marito, penosamente afflitto dalla malattia mentale della moglie Antonietta Portulano. Non solo, è palese che la prospettiva assunta dalla voce narrante sia benevola nei confronti della donna vittima del marito e delle sue mire, tutto è raccontato secondo la sua prospettiva con partecipazione viva e sentita del suo disagio psicologico. Chi, meglio di lui, d’altronde? Si può dunque perdonare a Pirandello questo scritto? Lascio al lettore la decisione, intanto ne consiglio la lettura.
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Un caro saluto,
Manuela
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