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Tornare a se stessi, faticoso e necessario
Si tratta delle pagine di un diario giovanile datate novembre 1774- febbraio 1775, quelle scritte in francese, aprile-giugno 1777, quelle scritte in italiano: una ventina di giornate complessivamente, di queste, due con la sola data, un’altra con la dicitura “Nulla che vaglia d’essere scritto”.
Alfieri ha venticinque anni e sono gli anni del consolidamento della sua vocazione letteraria e della redazione delle prime tragedie. Nella stessa “Vita” parla di queste pagine diaristiche come di un esercizio di studio di se stesso anche se lo specchio nel quale si guarda è ancora offuscato da un’incapacità di analisi nonostante il suo costante anelito al miglioramento personale.
Sono raffigurate tutte le oscillazioni di un animo giovanile colto nell’incertezza che accompagna la scelta: abbandonarsi agli istinti e compiacere gli altri o arrovellarsi e scontrarsi con la propria intimità per domandarsi chi si è realmente e chi si vuole diventare. Tornare a se stessi è sempre più faticoso, soprattutto se si è consapevoli che la propria condotta di vita sta coltivando solo il vuoto.
Malinconia, tedio e dissolutezza sono le sue compagne, i mostri da combattere: perenne dunque la condizione giovanile che talvolta rischia di naufragare con siffatta compagnia!
Un giovane come tanti che sbaglia e poi si pente perché dotato del dono prezioso della riflessione, capace di capire che lo studio e la scrittura sono per lui, anche se in maniera imbarazzante quasi totalmente proteso alla fama, valide alleate per combattere il suo peggior nemico: se stesso.
Incline all’ozio, in perenne disavanzo culturale, con una tremenda paura della morte e del limite, consapevole di essere in fondo come tutti gli altri essere umani e incapace di accettarlo. Uno di noi.
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