Dettagli Recensione
Semplicemente un capolavoro
Un grande capolavoro della letteratura propone sempre molteplici temi e presenta diverse chiavi di lettura. Il Gattopardo va annoverato tra i grandi capolavori del '900 italiano e a questa regola non fa eccezione.
Anzitutto, il declino di una società descritto con ironia graffiante e a volte persino feroce. L' aristocrazia feudale siciliana, dopo secoli di cristallizzato e incontrastato dominio, si vede soppiantare dall'emergere di una borghesia cittadina più lesta ad accodarsi ai vincitori in casacca rossa. Questa borghesia, che in fondo ambisce soltanto a farsi aristocrazia essa stessa, morde le caviglie ai potenti di prima, ma ben presto ne erediterà, oltre agli averi, pure i difetti. La celebre massima secondo la quale "tutto deve cambiare affinche' nulla cambi" ha valenza se inteso con gli occhi e i tempi lunghi della Storia, ma per ogni epoca, esistono vincitori e vinti, esaltati e umiliati quasi che il placido incedere della umanità sia in realtà frutto di continue turbolenze.
Sullo sfondo, Tommasi di Lampedusa pone l'atavico immobilismo della gente di Sicilia: un popolo dormiente incapace di cambiare perché intimamente convinto della propria superiorità. Come i loro predecessori, i piemontesi, ne' primi ne' ultimi invasori di quelle terre aride, falliranno nell'intento di portarvici una qualsivoglia modernità.
A questi temi si aggiungono e si intrecciano in un perfetto affresco storico impietose descrizioni dei cronici mali italici, delle giravolte opportunistiche di chi lesto sale sul carro dei vincitori, della meschina vanagloria dei nuovi potenti, dell'ipocrisia dei finti rivoluzionari.
Ciò che pero' più ho amato in questo romanzo è la raffinatissima analisi psicologica dei personaggi.
In primis del principe di Salina. In lui l'indole di uomo "astratto" combatte contro la necessità di adempiere ai compiti di uomo sociale. Assai più attratto dalle immutabili leggi degli astri, dalle profondità del sapere matematico, dalla violenza delle albe siciliane che accompagnano le solitarie battute di caccia, il principe sa di non poter sottrarsi alle pene del vivere sociale. Quale noia nel presiedere le dinamiche degli affari o nel risolvere logoranti beghe familiari; quali sofferenze nell'assistere al trito teatrino dei giochi politici o nel partecipare a sciocche feste di società, quale orrore nel non riconoscersi nei propri simili! Il principe è uomo solo e la sua solitudine malinconica, in cui l'immagine della morte si fa via via più amica, ha un che di eroico.
Padre Pirrone è altra figura chiave del racconto. Unico a cogliere appieno la natura malinconica del principe, la descrive di fronte a un compaesano addormentato, in uno dei passi memorabili del romanzo A differenza dell'omologo Manzoniano, Padre Pirrone è anello di congiunzione tra due mondi brutalmente separati: quello astratto dell'aristocrazia imbelle e indolente e quello plebeo ove il lavoro abbruttisce e la miseria incattivisce.
Lo scaltro e volgare Don Calogero, prototipo del "nuovo" che avanza, il dinamico e ambizioso Tancredi, l'arrivista Angelica, cui tutto si perdona grazie alla incomparabile bellezza sono funzionali alla narrazione e, seppure tratteggiati con inarrivabile eleganza, lasciano meno il segno.
A questi si aggiungono personaggi minori perfettamente incasellati in un affresco sociale di grande efficacia: Don Ciccio Tumeo, la cui volontà è tradita nel segreto dell'urna del plebiscito per l'annessione, il pomposo generale Pallavicino feritore di Garibaldi sull'Aspromonte, il timido burocrate piemontese Chevallier la cui ingenuità soccombe di fronte al disincanto del Principe ... e tanti altri ancora.
Discorso a parte merita Concetta: figlia del Principe, la giovane si vota al nubilato dopo essersi vista respinta da Tancredi. Se c'e' un simbolo della fine di un epoca, della disgregazione di un classe sociale, vittima di se stessa prima ancora che del nuovo che avanza, esso va ricercato in questa triste figura di zitella orgogliosa che finisce i suoi giorni a contemplare false reliquie accumulate per la cappella privata. Le enormi casse verdi contenenti la dote per un matrimonio mai celebrato, custodiscono tracce e cimeli di un mondo che si dissolve tra polverosi ricordi. Quale errore aver escluso quest'ultimo capitolo nella pur bellissima trasposizione cinematografica di Visconti!
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Commenti
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grazie. Leggo anch'io le tue recensioni con le quali mi sento spesso in sintonia.
Sono d'accordo che gli episodi del viaggio notturno del Principe con padre Pirrone e quello un po' stucchevole degli amanti tra le stanze del palazzo siano tra i meno riusciti.
Riguardo alla visita di Padre Pirrone alla famiglia, il capitolo in realta' si divide in due. La seconda parte (quella del matrimonio riparatore) coi suoi risvolti macchiettistici (alla Camilleri ..) e' sicuramente sacrificabile. La prima parte e' invece secondo me di assoluto valore. Quel dialogo impossibile tra il prelato e gli amici di un tempo ... il sonno che vince l'anziano erborista che invece di por fine alla conversazione da ancora piu' linfa al soliloquio di Padre Pirrone ... ed il finale con l'erborista che si avvia alla raccolta delle erbe .....sono passaggi molto belli. Senza quel passo risulta poi difficile inquadrare Padre Pirrone. Detto che questo tagliarli per una reduzione scolastica ci puo' stare
A presto
Luigi
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Anch'io ho molto apprezzato questo breve romanzo, ancor più in rilettura su un'edizione 'per la scuola' della Feltrinelli con alcuni sapienti tagli di digressioni non essenziali e non molto belle : ne è uscito un libro meraviglioso. ( Le parti sottratte sono : la visita di Padre Pirrone alla propria famiglia ; il viaggio notturno del Principe con Padre Pirrone in città ; il perdersi di Angelica e Tancredi in alcune stanze del palazzo).