Dettagli Recensione
Il vento è la sorte
Grazia Deledda, premio Nobel per la letteratura nel 1926, incarna quella che nel corso degli anni è stata la maggior parte della letteratura italiana: una letteratura profondamente legata al contesto autoctono (in questo caso sardo) e che mira a descriverne le peculiarità e i cambiamenti in determinati periodi storici. Il tipo di letteratura che personalmente non amo: lo dico subito, a scanso di equivoci. Sebbene la Deledda riesca abbastanza bene a scandagliare la psicologia dei suoi personaggi (soprattutto, in questo caso, del servo Efix) e offra uno stile piuttosto evocativo che in certi tratti mi ha ricordato il mio amato Cormac McCarthy (ma badate, in certi tratti), "Canne al vento" è comunque visceralmente legato alla terra in cui è ambientato e alle dinamiche che muovono il contesto sociale della campagna sarda. Questo legame, sebbene sia caratterizzante, rende l'opera molto soggetta al gusto del lettore, sebbene la Deledda abbia il pregio di andare più in profondità nell'animo umano e dare un pizzico di "universalità" al suo lavoro. Questo è probabilmente l'aspetto che più ho apprezzato del romanzo (e che probabilmente è una caratteristica dell'autrice che si è rivelata decisiva nell'assegnazione del Premio Nobel) ma in mancanza del quale ci troveremmo di fronte a una produzione che lascerebbe un po' indifferenti. Quest'universalità, tuttavia, chiama in gioco una spiritualità che al lettore moderno potrebbe apparire un po' obsoleta: ci offre uno sguardo su un lato dell'essere umano che il lettore potrebbe non sentire troppo vicino. Mentre il cammino d'un Siddhartha è pregno anche dei dilemmi e delle contraddizioni dell'uomo moderno, il cammino d'espiazione di Efix ha un carattere molto legato alla spiritualità del protagonista, una spiritualità non legatissima agli aspetti terreni, estremamente metaforico sebbene venga concretamente condotto dal servo.
Un po' invecchiato male, a mio parere; ma mai come in questo caso la percezione soggettiva è importante, dunque date alla mia opinione e alle mie parole il dovuto peso.
Al centro della storia, come abbiamo detto, c'è Efix: un servo che si occupa del "poderetto" delle sue tre padrone. In origine le sue padrone erano quattro, ma una di loro, una notte, decise di sfuggire alla rigida autorità del padre (che morì poco dopo), si sposò ed ebbe un figlio, lasciando alle sue tre sorelle "zitelle" un sentimento di rancore e abbandono. Questa donna, Lia, ai tempi del racconto è già morta e così suo marito, e infatti lo sconvolgimento che darà seguito agli eventi è proprio l'annuncio dell'arrivo di Giacinto, il figlio di Lia. Le tre sorelle reagiscono in maniera molto diversa tra loro, ed Efix ne sarà entusiasta, vedendo in quest'evento quel che potrebbe sconvolgere la vita grigia delle sue tre amate padrone. Avrà ragione, ma solo leggendo il romanzo si potrà capire in che senso.
Un romanzo che a mio parere va letto e discusso, perché sebbene non ne sia entusiasta può lasciare largo spazio al confronto e all'analisi congiunta.
"«Si, siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Siamo canne, e la sorte è il vento.»
«Si, va bene: ma perché questa sorte?»
«E il vento, perché? Dio solo lo sa.»"
Commenti
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dissento parzialmente da quanto dici. Ho riletto piuttosto recentemente questo libro e l'ho apprezzato ancor più che in prima lettura avvenuta parecchio tempo fa.
Ciò che ho trovato notevole, oltre alla bellezza della scrittura, è proprio il connubio tra dimensione 'locale' e senso di universalità.
Personalmente cerco di collocarmi fuori da tutte le mode e le strettoie e ristrettezze dei condizionamenti dei tempi, che ritengo effimeri e limitativi. Per cui in letteratura cerco proprio la bellezza e la profondità, che mi pare volino al di sopra di essi. E qui m'è parso di averle trovate.
un saluto, con rispetto e amicizia.