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La noia
 
La noia 2022-08-20 10:10:43 Calderoni
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
Calderoni Opinione inserita da Calderoni    20 Agosto, 2022
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Sesso e denaro, le chiavi della realtà

La prosa di Alberto Moravia è la migliore del nostro Novecento. Limpida e pulita, mai una parola in più del dovuto, mai una subordinata da rileggere per comprendere il senso del periodo. Il cosiddetto «grigiore» moraviano lo si ritrova ormai maturo anche ne La noia. Quando si legge l’autore romano, non bisogna attendersi picchi entusiastici, enfatici o retorici; si ha però la certezza di trovare una precisione descrittiva degli ambienti e degli stati d’animo fuori dal comune. La noia non è il primo romanzo di Moravia da leggere perché bisogna prima entrare in sintonia con la prosa dell’autore. Non a caso è un volume apparso nel 1960, ben trentuno anni dopo Gli indifferenti; per questo bisogna avvicinarsi a La noia dopo aver già sperimentato un Moravia pregresso e giovanile.
Compiute queste doverose premesse circa lo stile e le tempistiche, ne La noia si ritrova la summa della riflessione moraviana. È un romanzo potente, snervante e molto complicato. Meglio che in ogni altro libro si comprende come per Moravia le chiavi per entrare dentro la realtà siano due: il sesso e il denaro. In un modo o nell’altro si ritrovano entrambi gli elementi ne Gli Indifferenti o ne La Romana, ma è Dino, protagonista de La noia, a essere il perfetto concentrato delle riflessioni sul sesso e sul denaro. Questo romanzo si fonda su un sostanziale paradosso: il protagonista è un pittore ma smette di dipingere al primo rigo del libro e la sua tela disposta al centro dello studio in via Margutta a Roma rimarrà bianca fino all’ultima pagina. Si parla di un pittore che non dipinge più, che ha rifiutato di dipingere per un senso esistenziale di noia, ovvero di incomunicabilità con la realtà e i suoi contenuti. «L’aspetto principale della noia era l’impossibilità di stare con me stesso, la sola persona al mondo, d’altra parte, della quale non potevo disfarmi in alcun modo» scrive al termine del prologo Dino, la voce narrante.
Dino non è solo nel romanzo. Interloquisce con due presenze femminili: la ricca madre e Cecilia, giovane minorenne che frequentava il palazzo di via Margutta per posare nuda nei quadri di un anziano pittore, il Balestrieri. Proprio il Balestrieri è uno dei due personaggi maschili insieme all’attore Luciani. Se le figure femminili sono in scena e si confrontano quotidianamente con Dino, invece i due uomini sono assenti: Balestrieri muore all’inizio della vicenda durante uno dei tanti, tantissimi rapporti sessuali con Cecilia, mentre Luciani, successivo amante di Cecilia, quando la ragazza aveva già iniziato a frequentare Dino, è sempre dietro le quinte e si manifesta soltanto attraverso il racconto di Cecilia, le domande di Dino e le sue elucubrazioni.
Colei la quale prende pagina dopo pagina il sopravvento all’interno della narrazione è proprio Cecilia. Il motivo è semplice: diventa talmente avvolgente da capovolgere completamente l’esistenza di Dino, il cui tempo e le cui azioni dipendono a doppia mandata da Cecilia. «Era lei a possedermi ed io a essere posseduto, benché, poi la natura, per i suoi fini, illudesse lei e me del contrario. Così, pensai, ero un uomo finito: non soltanto non avrei mai più dipinto ma anche mi sarei distrutto nell’inseguimento di questa specie di miraggio che pareva sorgere dal grembo di Cecilia come dalle sabbie di un deserto» afferma un esausto Dino ormai prossimo a tentare il gesto estremo. Il vero problema risiede nella volontà di Dino di possedere la ragazza. Tenta in ogni modo: carnalmente, con il denaro, con una proposta di matrimonio. Tuttavia, i fallimenti si susseguono puntuali uno dietro l’altro tanto da spingere Dino a schiantarsi volontariamente con la macchina contro un platano. Solo a quel punto si ridesta e probabilmente (lascia lo stesso narratore il dubbio) comprende il proprio errore: «E, insomma, io non volevo più possederla bensì guardarla vivere, così com’era, cioè contemplarla». In quel letto d’ospedale durante la degenza ritrova quella sintonia con la realtà e forse potrà tornare anche a dipingere.
In questo turbato crescendo Cecilia, come detto, si eleva, senza fare nulla per farlo, a regina incontrastata del volume. Due aggettivi la catalogano: misteriosa e inafferrabile. Ha condotto alla morte Balestrieri, che prima di Dino era rimasto intrappolato nel corpo metà adulto e metà adolescenziale della giovane, e rischia di provocare la stessa fine in Dino. È definita senza cuore, falsa, interessata dalla vedova di Balestrieri; la stessa madre di Cecilia dice che «non è affezionata a nessuno», tanto che decide ugualmente di partire per due settimane con Luciani a Ponza sebbene il padre sia sul punto di morte dopo una lunga malattia. Eppure, nonostante questo, ha un fascino tale e una capacità di darsi che la rendono irresistibile agli occhi dei vari amanti (dal primo fidanzato Tony al primo amante Balestrieri, giungendo poi a Dino e a Luciani). «Era sempre, per così dire, pronta al rapporto sessuale, appunto come una macchina ben nutrita di combustile, è sempre pronta a funzionare» evidenzia Dino, ma guai a portare il discorso su di sé («quando veniva al discorso su di lei, era invece paragonabile a un’ostrica chiusa e tenace che tanto più stringa le proprie valve quanto più ci si sforza di disserrarle»). Le sue risposte sono sempre vacue, piatte, ma i suoi comportamenti sono studiati. Cecilia è un personaggio sfuggevole che non cerca di entrare in sintonia né con Dino né tanto meno con il lettore, che anzi è portato quasi ad agitarsi di fronte alla sua impassibilità e al suo darsi. È programmata in modo semplice e sembra priva di sentimenti; proprio per questo risulta misteriosa e inafferrabile, quasi senza scrupoli tanto da presentarsi da Dino il giorno della morte di Balestrieri oppure di partire per Ponza con il padre in fin di vita. «Non era in grado di pensare che ad una cosa sola per volta, quella che era più vicina e immediata e che le piaceva di più» analizza con un po’ di ritrovata lucidità Dino.
Ma siccome Moravia non si fa mancare niente anche la madre di Dino è costruita in modo alquanto incisivo. È la classica donna dell’alta borghesia romana con la villa in Via Appia; organizza ricevimenti e cura le finanze di famiglia dopo aver fatto scappare il marito e aver fatto allontanare il figlio. È una donna scrupolosa, attenta soltanto al denaro. Proprio con quest’ultimo prova a riportare tra le mura della sua villa il figlio, da sempre restio ad accettare l’idea di essere ricco ma consapevole del fatto che non potrà mai definirsi povero. E in tal senso Dino cede al denaro tanto amato dalla madre e lo spende per possedere Cecilia. Madre e figlio quindi si richiamano: la madre prova a impadronirsi del figlio attraverso il denaro, così come Dino prova a fare con Cecilia. È dunque chiaro che da questa sommaria analisi siamo di fronte a un romanzo realmente complicato, dai mille volti che lascia riflettere il lettore molto a lungo dopo la parola fine.

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Esaustiva recensione, Andrea. Anch'io penso che Moravia sia un grande narratore. Recentemente ho letto la bella doppia biografia "MoranteMoravia" e ho constatato il legame biografia/letteratura , per me non così scontato per questo autore.
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