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L’immobilismo meridionale e l’immutabilità di una
Romanzo capolavoro dello scrittore catanese Federico De Roberto, I viceré (1894) racconta la storia di una antica famiglia nobile, imparentata coi Viceré spagnoli, gli Uzeda, principi di Francalanza, nel passaggio dal mondo borbonico a quello sabaudo.
L’opera si apre con la morte della matriarca Teresa Uzeda, vedova di Consalvo VII,
“principe di Francalanza e Mirabella, duca d'Oragua, conte della Venerata e di Lumera, barone della Motta Reale, Gibilfemi ed Alcamuro, signore delle terre di Bugliarello, Malfermo, Martorana e Caltasipala, cameriere di S. M. il Re (che Dio sempre feliciti)”
e della numerosa famiglia di figli, nipoti, cognati e cognate che accorrono per la lettura del testamento. Nel corso della narrazione lo scrittore ci farà conoscere da vicino la storia e il carattere dei vari Uzeda, maschi e femmine, indistintamente. Lo sviluppo narrativo prosegue in gran parte in maniera lineare con qualche flashback, ma senza appesantire la scorrevolezza della trama.
De Roberto racconta la storia di una famiglia potente, di origine feudale, che si integra, non senza difficoltà, nel nuovo regime istituzionale creato dall’Unità d’Italia. Interessante documento dell’epoca, I viceré testimoniano l’impossibilità di mutare sostanzialmente le forme, le modalità con cui si esercita il potere in una società cristallizzata come quella siciliana. Nella parte conclusiva del romanzo, il “principino” Consalvo, ultimo degli Uzeda, si dedica all’ascesa negli incarichi politici fino a rappresentare la Regione in Parlamento e va a fare visita alla zia Ferdinanda, la zitellona, con cui aveva prima litigato, poiché lui dalle idee più democratiche e lei baluardo delle tradizioni e dei vecchi privilegi.
Emblematiche le parole di Consalvo rivolte alla zia:
“Vostra Eccellenza vede che sotto qualche aspetto è bene che i tempi siano mutati!...(…) rammenti tutte le liti tra parenti, pei beni confiscati, per le doti delle femmine... Con questo, non intendo giustificare ciò che accade ora. Noi siamo troppo volubili e troppo cocciuti ad un tempo. (…)Vostra Eccellenza riconoscerebbe subito che il suo giudizio non è esatto. No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa.»
Nulla è cambiato e niente cambierà: l’immobilismo meridionale diventerà un leit motiv di altre opere e di altri autori siciliani dopo De Roberto.
Un romanzo di ampio respiro, che narra la storia di una intera famiglia, dei suoi componenti, alcuni degni di ammirazione, altri degni di disprezzo per l’attaccamento al denaro e per la viltà: una descrizione dura, impietosa a volte, in cui prevalgono i motivi atavici del potere, dell’interesse, dell’egoismo individuale, della gelosia e anche della follia ancestrali.
Un classico eclissato da altri titoli più famosi, ma imprescindibile.