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“Cecità che allora mi pareva chiaroveggenza”
Chi più del narratore della Coscienza di Zeno è inattendibile? Probabilmente nessuno, perché questo narratore è il vero emblema dell’inattendibilità; di lui non ci si può fidare. L’autobiografia, contenuta nel memoriale pubblicato per ripicca dal Dottor S., come si comprende dalla Prefazione dell’opera, è tutta un gigantesco tentativo di autogiustificazione da parte di Zeno che vuole dimostrarsi innocente da ogni colpa nei rapporti con il padre, con la moglie Augusta, con l’amante Carla, con l’amico/rivale/socio d’affari Guido. In realtà, in ogni pagina traspaiono i suoi impulsi reali che sono regolarmente ostili e aggressivi. Non sono però da intendersi come menzogne; sono piuttosto degli autoinganni determinati da processi profondi e inconsapevoli, con i quali Zeno cerca di tacitare i sensi di colpa che tormentano il suo inconscio. Per tutto il romanzo ogni gesto e ogni affermazione del protagonista rivela in trasparenza un groviglio complesso di motivazioni ambigue, sempre diverse o addirittura opposte rispetto a quelle dichiarate consapevolmente. La realtà oggettiva dei fatti, che si può solo intravedere dietro le mistificazioni dello Zeno narratore e personaggio, si incarica spesso di farci dubitare delle motivazioni da lui adottate. Per cui Zeno appare avvolto da un alone di ironia “oggettiva”, alla quale però si deve aggiungere il distacco ironico con cui Zeno guarda il mondo che lo circonda. La sua “malattia” si contrappone alla cosiddetta “normalità” degli altri, i quali vivono nella loro pretesa di “sanità”, soddisfatti e incrollabili nelle loro certezze. Grazie alla sua “malattia” Zeno è inquieto ma disponibile alle trasformazioni; sperimenta le più varie forme dell’esistenza ed esplora l’affascinante originalità. I “sani”, invece, sono cristallizzati in una forma rigida, immutabile.
L’altra assoluta novità che Italo Svevo propone nel suo capolavoro è l’impianto narrativo. L’autore abbandona il modulo ottocentesco, ancora di matrice naturalistica, e propone la particolare forma a episodi autonomi, ognuno dei quali costruisce una sorta di stazione a ritroso che dal passato si dirige verso il presente di volta in volta incamerando gli elementi di quella che precede. Non vengono perciò presentati gli eventi nella loro successione cronologica lineare; si adotta il cosiddetto «tempo misto». La ricostruzione del passato operata da Zeno si raggruppa intorno ad alcuni temi fondamentali, a ciascuno dei quali è dedicato un capitolo. Eventi contemporanei possono essere distribuiti in più capitoli successivi, poiché si riferiscono a nuclei tematici diversi e, inversamente, singoli capitoli, dedicati ad un particolare tema, possono abbracciare ampi segmenti della vita di Zeno. Si continua ad andare avanti e indietro, seguendo la memoria del protagonista. I celeberrimi temi trattati sono: il vizio del fumo e i vani sforzi per liberarsene (17 pagine); la morte del padre (22); la storia buffa del proprio matrimonio (68); il rapporto con la moglie Augusta e con la giovane amante Carla (84); la storia dell’associazione commerciale con il cognato Guido Speier (93). In ultima posizione pone un capitolo dedicato alla psicoanalisi, nel quale Zeno sfoga il proprio livore contro il Dottor S. e racconta la propria presunta guarigione, giustificata dal fatto che ormai è divenuto l’uomo più affidabile della famiglia Malfenti e un uomo di successo in ambito commerciale (25 pagine). Come si può notare, escludendo l’ultimo capitolo che è una sorta di diario personale di Zeno in cui dichiara le motivazioni che l’hanno portato ad abbandonare la psicoanalisi, i capitoli divengono sempre più lunghi ed è evidente una certa sproporzione nella distribuzione del materiale.
In ognuno di questi capitoli ci sono frasi che colpiscono e inducono ragionamenti di vario grado. La mia personale selezione è la seguente. Primo capitolo: «Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand’è l’ultima». Tra l’altro mi sembra che nell’ultimo brano di Marco Mengoni si faccia, a distanza di cento anni, ancora riferimento a quest’aspetto sveviano («Fosse l'ultima notte che abbiamo, sai / Io con tutte le altre la cambierei»).
Secondo capitolo: «Ricordo che cercai di mettere nelle mie mani, che toccavano quel corpo torturato, tutta la dolcezza che aveva invaso il mio cuore. Le parole egli non poteva sentirle. Come avrei fatto a fargli sapere che l’amavo tanto?». Sarà anche inattendibile, ma in questo passaggio Zeno è commovente e rappresenta tutti coloro che si trovano al capezzale di un caro.
Terzo capitolo: «Ancora adesso sto ammirando tanta cecità che allora mi pareva chiaroveggenza». Quante volte ci capita di voltarci indietro e di sorride della nostra versione di noi stessi di qualche anno addietro?
Quarto capitolo: «Anche una propria occhiata si ricorda quanto e forse meglio di una parola: è più importante di una parola perché non v’è in tutto il vocabolario una parola che sappia spogliare una donna». La potenza di uno sguardo sa andare oltre a tante parole, sa essere più efficace e veritiero.
Quinto capitolo: «Quando si viene colti nel sogno è difficile di difendersi. È tutt’altra cosa che arrivare alla moglie freschi freschi dall’averla tradita in piena coscienza». Giustificazione ineccepibile, da Zeno Cosini.
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Commenti
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Sicuramente un romanzo innovativo per la letteratura italiana dell'epoca. Ho trovato alcune parti bellissime, altre anche un po' noiose. Qualche leggera sforbiciata gli avrebbe giovato.