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"Vivo per la morte e morto per la vita"
Romanzo fondativo del Novecento italiano. Lettura imprescindibile. Gli schemi narrativi tradizionali vengono definitivamente abbandonati (in primo luogo gli schemi veristi, sotto i quali l’autore si era formato) e nasce il nuovo romanzo d’introspezione. La tesi di Luigi Pirandello è che il paradosso dei casi umani è nella vita e non è frutto della sua invenzione. Il narrare del Mattia Pascal è strutturato a partire dal personaggio, dalla sua parola, sul suo linguaggio, sulla sua visione del mondo. Del resto, Mattia è «maschera nuda» nel momento stesso in cui decide di prendere a narrare la propria bizzarra vicenda. Mattia trova la propria realizzazione soltanto diventando personaggio di una messa in scena di vita e di morte. È incredibile che un personaggio dichiari finita la propria esistenza quotidiana, per vivere solo nell’esistenza approssimativa di protagonista del racconto. Siamo di fronte a un eroe di romanzo che ha smarrito il proprio tempo e quindi deve raccontare le proprie morti per ritrovare il tempo perduto, per narrare esperienze decantate dalla distanza, dall’alterità e dallo spazio.
Si tratta dell’emblematica storia del diffuso disagio esistenziale che accompagna l’essere umano europeo all’ingresso del Novecento. Accettare il suicidio, dopo che sono stati gli altri a decretare la tua morte mentre eri soltanto andato altrove per qualche giorno, sembra la liberazione per Mattia, appare «la libertà una vita nuova!»; bastano, però, poche righe (e poche ore) e Mattia si sente «paurosamente sciolto dalla vita», superstite di se stesso, sperduto, in attesa di vivere oltre la morte. Ci si può forgiare una seconda volta da zero senza più il fardello o la sicurezza di un passato? La risposta tribolata di Mattia (poi Adriano Meis) è negativa e si tramuta in un secondo suicidio, questa volta architettato da sé e non indotto dalle constatazioni altrui. Non si può rimanere per sempre «forestieri della vita», perché se si osserva l’esistenza da spettatori estranei può apparire senza costrutto e senza scopo. Si rischia il paradosso: «Io sono ancora vivo per la morte e morto per la vita».
Come evidenzia Nino Borsellini, Pascal, Meis, Malagna, Pomino, Paleari, Papiano costruiscono l’onomastica pirandelliana, argutamente allusiva, che nel romanzo crea un reticolo di assonanze, di rimandi, di significati parzialmente riposti. E sono nomi e cognomi dalla forte potenza semantica; sono tracce di destini, quando non marchi caricaturali. Quando si legge Il fu Mattia Pascal non può mancare una riflessione relativa proprio a quest’aspetto.
Le due celeberrime premesse del romanzo, inoltre, introducono il lettore nelle «storie di vermucci», ormai da considerarsi come nostre. Come dice Pirandello, «dimentichiamo spesso e volentieri di essere infinitesimali per rispettarci e ammirarci a vicenda, e siamo capaci di azzuffarci per un pezzettino di terra o di dolerci di certe cose che [...] dovrebbero parerci miserie incalcolabili». L’introspezione di Mattia è notevole, già dalle scene del casinò. «La vanità umana non ricusa talvolta di farsi piedistallo anche di certa stima che offende e l’incenso acre e pestifero di certi indegni e meschini turiboli» è una frase che trovo particolarmente calzante e veritiera, come molte altre che si susseguono nel romanzo, tipo questa: «C’inganniamo così facilmente! Massime quando ci piaccia di credere in qualche cosa...».
Non si può restare indifferenti nemmeno di fronte alle elucubrazioni sulla scuola teosofica del signor Anselmo Paleari, padre di Adriana e suocero di Terenzio Papiano, nonché padrone della casa in via Ripetta a Roma dove troverà rifugio Adriano Meis. Colpisce, ed è molto figlia dei primi anni del Novecento, la considerazione di Anselmo su Roma: «I papi ne avevano fatto un’acquasantiera; noi italiani ne abbiamo fatto, a modo nostro, un portacenere». Un’affermazione che però non si può assolutamente definire anacronistica, pensando alle polemiche che riguardano la Roma d’oggi.
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Mi permetto intanto di segnalarti una specie di biografia molto interessante e ben documentata, che mi è molto servita per conoscere l'autore, tanto che la definirei quasi imperdibile : "Il gioco delle parti: vita straordinaria di L. Pirandello" , di M. Collura.