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In principio era la noia
"In principio, dunque, era la noia, volgarmente chiamata caos. Iddio, annoiandosi della noia, creò la terra, il cielo, l’acqua, gli animali, le piante, Adamo ed Eva; i quali ultimi, annoiandosi a loro volta in paradiso, mangiarono il frutto proibito. Iddio si annoiò di loro e li cacciò dall’Eden; Caino, annoiato d’Abele, lo uccise; Noè, annoiandosi veramente un po’ troppo, inventò il vino; Iddio di nuovo annoiato degli uomini, distrusse il mondo con il diluvio; ma questo, a sua volta, l’annoiò a tal punto che Iddio fece tornare il bel tempo. E così via. I grandi imperi egiziani, babilonesi, persiani, greci e romani sorgevano dalla noia e crollavano nella noia; la noia del paganesimo suscitava il cristianesimo; la noia del cattolicesimo, il protestantesimo; la noia dell’Europa faceva scoprire l’America; la noia del feudalesimo provocava la rivoluzione francese; e quella del capitalismo, la rivoluzione russa." Per quanto i ricordi di Dino possano andare indietro nel tempo, nella sua memoria la noia è sempre stata presente nel suo animo. Sarà che il giovane ha passato l'adolescenza sotto la cupa cappa del fascismo, regime che creò un clima di incomunicabilità ideale per generare e coltivare questo tipo di sentimento che per il protagonista non è, come dice il vocabolario, quel senso di insoddisfazione, fastidio, tristezza derivante dall'ozio o dalla monotonia. Per lui la noia è un sentimento di lontananza dalle cose e dalle persone, un'assenza di qualsiasi tipo di legame che rende inutile, vana, l'esistenza di oggetti, esseri umani, eventi di qualsivoglia specie. Un vero e proprio male di vivere che lo attanaglia da sempre, che rende sterile ogni rapporto umano, con la famiglia, con gli amici, con le donne con cui si trova a sfogare l'urgenza sessuale senza riuscire ad instaurare un minimo di comunicazione. Incapace di trovare un diversivo a questa sua condizione, nauseato dalla ricchezza e dal lusso nel quale la madre lo fa vivere, Dino va via di casa, accontentandosi di un piccolo mensile, di un'auto scalcinata, di uno studio fatiscente che gli fa anche da abitazione, nel quale prova a fuggire alla sua condanna esistenziale buttandosi a capofitto nella pittura. Neanche l'arte, tuttavia, lo aiuta nel suo intento. È proprio quando decide di abbandonare le velleità di pittore, tuttavia, che incontra la persona che, per prima e senza un perché, riesce a scalfire il muro eretto dal suo male oscuro: Cecilia. Un incontro casuale, una ragazzina a prima vista insignificante, una situazione torbida, sembrano essere il solito diversivo destinato in breve tempo ad essere risucchiato dal vortice implacabile della noia. Dino non è attratto da Cecilia, al massimo ne è vagamente incuriosito. Il loro rapporto si basa sul sesso e sulle domande con cui l'uomo tempesta la donna con incalzante voracità, a cui lei risponde con laconici monosillabi, frasi inespressive, evasivi silenzi. È convinto che ben presto il demone che lo assilla metterà fine a questa stupida storiella. Eppure non è così, più va avanti la relazione, più la ragazza si dimostra ambigua, inafferrabile, fallace, più la noia tarda ad arrivare. Per il giovane si tratta di un fatto nuovo e inspiegabile, che gli ispira lo stesso timore di un test per cui non si ritenga preparato, di una prova che non si senta in grado di affrontare. Cecilia è lì, vera, tangibile, reale, e finché resterà così la noia, che in Dino nasce quando cose e persone perdono concretezza, interesse, in altri termini diventano irreali, non si manifesterà sottraendolo a questo inquietante esame. Solo sentendo di possederla pienamente, non soltanto in senso fisico, ma anche mentale, sentimentale, spirituale, potrà trasformarla in qualcosa di astratto, immateriale, evanescente, e annoiarsi finalmente di lei, riscattandosi da questa schiavitù. Come si fa, tuttavia, a possedere un essere sfuggente, volubile, enigmatico come Cecilia? "Appena lei compariva sulla soglia dello studio, dimenticavo i miei propositi di freddezza, la gettavo sul divano e lì la prendevo, senza aspettare che si spogliasse, senza neppure darle il tempo, come lei stessa diceva con una punta di infantile compiacimento, di respirare. Era la solita illusione maschile di raggiungere il possesso in un sol colpo e senza parlare, con il rapporto fisico, che mi spingeva a questa furia. Ma subito dopo l’amore, vedendo Cecilia restare più inafferrabile di prima, mi accorgevo del mio errore e mi dicevo che se volevo possederla davvero, non dovevo spendere la mia energia in un atto che del possesso aveva soltanto le apparenze." Ambientato in un contesto capitolino postbellico borghese, amorale, ipocrita, pseudo intellettuale, il romanzo di Moravia si concentra sul concetto di incomunicabilità tanto caro all'autore e sempre fortemente attuale. Pochi personaggi, tutti odiosi, delineati benissimo dal punto di vista psicologico, poche ambientazioni per lo più accessorie alla trama, pochi colpi di scena ed eventi degni di nota, un incedere lineare spesso interrotto da divagazioni di carattere riflessivo, caratterizzano una storia incentrata per lo più sull'aspetto introspettivo, sul malessere che attanaglia l'uomo moderno e che troppo spesso lo fa sentire avulso dal mondo che lo circonda, alienato dalla realtà, incapace di comunicare con i suoi simili, con gli oggetti, perfino con se stesso. Come Dino, l'uomo si trova faccia a faccia con quella tela bianca che rappresenta la vita, e come il protagonista non sa cosa farci: potrebbe imbrattarla di pennellate che non potranno che risultare brutte, volgari, inespressive; potrebbe tagliarla, ridurla a brandelli, bruciarla; potrebbe lasciarla bianca, restando ad osservarla quale eterno monito alla sua incapacità di afferrare la realtà. Dino ricorda un po' l'Humbert di Nabokov (Lolita) per l'avidità sessuale nei confronti di un'adolescente, il Rodrigo di Buzzati (Un amore) per la morbosa forza del sentimento, il Roquentin di Sartre (La nausea) per il disagio esistenziale legato al rapporto con le cose e con le persone. Moravia definì questa sua opera "un romanzo d'amore", ed è forse questo sentimento ad essere il vero protagonista del libro, non soltanto il mezzo attraverso il quale affrontare il tema del male di vivere, ma il solo ed unico rimedio ad esso, la sola arma in grado di sconfiggere la noia.
Indicazioni utili
"Un amore" di Buzzati
'Lolita" di Nabokov