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La casa in collina
 
La casa in collina 2021-07-22 08:17:01 Calderoni
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
Calderoni Opinione inserita da Calderoni    22 Luglio, 2021
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L’impossibile vivere

Il turbamento esistenziale di Corrado, professore di materie scientifiche nato nella valle del Belbo ma trasferitosi per lavoro a Torino e sulle sue colline, riflette l’angoscia e la vergogna di Cesare Pavese per la mancata partecipazione attiva alla Resistenza partigiana. È un romanzo sulla solitudine e sul senso di colpa di un uomo. Per sedici capitoli su ventitré la vicenda si svolge tra la grande città Torino e le colline del Pino, poi si passa a un collegio di preti presso Chieri e infine, attraverso un viaggio che si può a tutti gli effetti definire fuga, si approda nelle terre d’origine di Corrado, dove il protagonista si ricongiungerà con la sua famiglia. I luoghi aperti dominano su quelli chiusi, anche se è particolarmente significativa l’opposizione tra la casa borghese di Elvira e della madre, dove Corrado alloggia fin da prima dello scoppio della guerra, e l’osteria delle Fontane, punto di ritrovo di Fonso, Giulia, Cate e Dino. Da una parte infatti prevalgono dialoghi scarni e frettolosi, dall’altra invece scene corali e polifoniche. Per la quarantenne Elvira il suo ospite rappresenta un’opportunità per togliersi l’etichetta di zitella. Lo coccola e lo accudisce, resta in pensiero per lui quando non rientra allo scoccare degli allarmi bomba. Gli trova il posto presso il collegio di preti a Chieri quando avverte che Corrado sulle colline del Pino è ricercato dai nazi-fascisti, avendo presenziato alle serate dell’osteria delle Fontane. Tuttavia, le premure di Elvira non vengono apprezzate dal protagonista, un uomo che non attendeva altro che un evento traumatico come la guerra per certificare il suo dramma personale. Appena prima del ribaltamento governativo italiano del luglio 1943, Corrado ritrova sulla propria strada un’ex fidanzata, Cate. È una figura fortissima, che si trasforma nella coscienza del protagonista ma non lo condanna mai. È leggera con lui, sebbene gli comunichi sempre la verità senza fronzoli (“Sai tante cose, Corrado e non fai niente per aiutarci”). È uno specchio che riflette la solitudine nella quale si ritrova Corrado, attorniato solamente da un cane nei suoi lunghi vagabondaggi sulle colline torinesi (il cane, tra l’altro, si chiama Belbo e richiama i luoghi natii del protagonista). Cate ha con sé un figlio, Corradino, che per diminutivo diventa Dino. Già dal nome, però, si crea un legame inscindibile tra Corrado, Dino e appunto Cate. È lo stesso protagonista, che narra in prima persona quelle vicende, a chiedersi se Dino possa essere suo figlio. Ripensa al suo passato, calcola quanti anni sono trascorsi dalla sua relazione con Cate e quanti anni ha Dino. Prova ad avvicinarsi a questa figura che gli assomiglia dal punto di vista somatico. Tenta di fargli da maestro e cerca di amarlo, ma come sempre non riuscirà ad amarlo nel profondo, perché a Corrado manca quella determinazione necessaria affinché un sentimento potente ed esaltante come l’amore possa travolgerlo. Ecco, dunque, spiegato perché nel collegio di Chieri Dino diventa più un pericolo che un ragazzo da proteggere per Corrado. Il giovane viene mandato a Chieri dopo che la madre è stata presa dalle forze nazi-fasciste insieme agli altri frequentatori dell’osteria delle Fontane, ma “Dino poteva far da pista e tradirmi, e l’idea che ormai fosse solo al mondo non riuscivo a pensarla, mi pigliava sprovvisto”. Proprio per tale motivo, l’acutissima Cate durante i mesi precedenti non si era illusa nemmeno un momento di confessare eventualmente a Corrado che Dino potesse essere suo figlio, perché, conoscendolo a fondo, sapeva di non poterlo caricare di una responsabilità che non sarebbe stato capace di reggere. Alla fine, anche Dino si unisce alla guerriglia partigiana e rende ancor più amara la solitudine di Corrado. Nei dolori del protagonista si riassumono quelli esistenziali dell’autore Cesare Pavese. Sotto forma di romanzo, lo scrittore piemontese parla delle sue angosce durante la Seconda guerra mondiale. È una testimonianza viva e toccante quella che ci restituisce Pavese in un romanzo dai tratti fortemente autobiografici. La forza della penna di Pavese emerge straordinaria nelle descrizioni delle colline, che rappresentano il suo habitat naturale. Attraverso gli affreschi collinari, Corrado è in grado di esprimere i suoi sentimenti, le sue paure, i suoi turbamenti e anche le sue ambizioni di serenità. Si respira la collina, la si vede di fronte e la si indaga in modo approfondito anche grazie a Belbo, perché come sostiene Corrado, per conoscere a fondo un bosco non si può prescindere dall’aiuto di un cane. Tra le tante descrizioni una più di altre mi ha colpito, la seguente: “Un po’ di vapori, di nebbia ogni mattina, poi un sole dorato. Era novembre e ripensavo a quel fuggiasco di Valdarno, se c’era arrivato. Ripensavo a tutti gli altri, ai disperati, ai senzatetto. Fortuna che il tempo teneva. La collina era bella, mostrava ormai la terra dura, polverulenta, nuda. Nei boschi d’incontravano giacigli scricchiolanti di foglie”. Anche Corrado, come detto, diventa un fuggiasco, che reclama semplicemente “un letargo, un anestetico, una certezza di esser bene nascosto”. Non chiedeva, infatti “la pace del mondo, chiedevo la mia”. Nel viaggio odissea di ritorno a casa s’imbatte in immagini di morte, quella morte che sconvolge tutto, compresi i luoghi della giovinezza del protagonista. Il fuoco e la politica che sotto forma di guerra travolgono il mondo e il timore più grande è sentire a proposito del proprio paese “è bruciato”. La casa in collina non è, dunque, un semplice romanzo sulla guerra, ma è una riflessione a tutto tondo sull’esistenza. Un paio di riflessioni meritano di essere lette, rilette e puntualizzate. La prima: “Chi lascia fare e s’accontenta, è già un fascista”. La seconda: “Ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione”. Ogni altra parola è superflua di fronte a considerazioni così argute ed elevate.

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Commenti

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Bella recensione, Andrea.
Un breve romanzo di alta qualità. Ho trovato bellissima l'ultima parte, con la riflessione sui morti di guerra. Se pensiamo al clima culturale italiano dell'epoca, Pavese ha dimostrato parecchio coraggio.
In risposta ad un precedente commento
Calderoni
22 Luglio, 2021
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Grazie Emilio. Concordo con te. L'ultimo capitolo, quando ormai è a casa nella valle del Belbo da alcuni mesi, è un manifesto molto coraggioso a guerra appena conclusa.
Confesso che da La luna e i falò, iniziato e forse finito (non ricordo) anni e anni fa, non sono più riuscita a leggere Pavese. Ho letto di lui, del suo carattere schivo, dai ritratti fatti da Natalia Ginzburg in qualche opera di lei. Comunque va riletto adesso che ho una nuova consapevolezza di lettrice, più elementi di valutazione.
In risposta ad un precedente commento
Calderoni
23 Luglio, 2021
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Pavese non è semplice da leggere. Confesso che tutti i suoi romanzi li ho letti e li ho quasi subito riletti perché solo così si possono cogliere alcuni aspetti che nell'immediato restano nascosti
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