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I segni della bufera
"Ma perché questo, Efix, dimmi, tu che hai girato il mondo: è da per tutto così? Perché la sorte ci stronca così, come canne?» «Sì», egli disse allora, «siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento.» «Sì, va bene: ma perché questa sorte?» «E il vento, perché? Dio solo lo sa.» «Sia fatta allora la sua volontà», ella disse chinando la testa sul petto: e vedendola così piegata, così vecchia e triste, Efix si sentì quasi un forte". La situazione dell'uomo è precaria come quella delle sottili canne che, sferzante dalla forza impetuosa del vento, rischiano di venirne stroncate. L'essere umano, fragile e insicuro, è costantemente in balia di eventi avversi che la vita immancabilmente pone sulla sua esistenza, a cui lui, per quanti sforzi faccia, non riesce ad opporsi. Tutto ciò che può fare è affrontare con rassegnazione la tempesta, piegandosi, barcollando, adattandosi nella speranza di non uscirne spezzato. Tre sorelle, Ruth, Ester e Noemi, ultime rappresentanti di una importante famiglia ormai decaduta, i Pintor. Efix, un servo fedele e devoto, custode di un piccolo pezzo di terra da cui, tra fatica e stenti, viene fuori lo stretto indispensabile per tirare avanti. Un piccolo paese di montagna dell'entroterra sardo in cui tutti si conoscono, dove la vita ruota sempre intorno agli stessi luoghi e agli stessi personaggi, in un costante e invariabile equilibrio che niente e nessuno sembrano capaci di disturbare. Finché un giorno, annunciato da una lettera, giunge dal continente colui che riuscirà a mettere scompiglio nella famiglia Pintor e nell'intera comunità rurale. Giacinto, figlio di Lia, la quarta sorella, fuggita anni prima dall'isola in cerca di un destino migliore. L'arrivo del giovane scatenerà una bufera che lascerà segni funesti e incancellabili del suo passaggio, rivangando vecchie storie che covavano da decenni sotto la cenere, legando intorno al collo delle zie l'implacabile cappio dell'usura, promettendo per poi disattendere, disonorando senza provvedere al riscatto, pentendosi per poi ricadere nelle stesse tentazioni. Verista nella forma, decadentista nei contenuti, superlativa per il suo valore letterario, quest'opera, la più famosa e apprezzata delle tante regalateci del premio Nobel Grazia Deledda, si abbatte con forza sull'animo del lettore, straziandolo con la potenza delle emozioni e ammaliandolo con la qualità della scrittura e con il fascino delle dettagliate descrizioni. Un viaggio nelle comunità rurali di inizio 900, dove, a dispetto del vento di cambiamento che soffia sulle grandi città, permangono i vecchi costumi, le antiche servitù, gli incancellabili privilegi della nobiltà contadina. Dove vigono ancora spaventose superstizioni, dove gli ultimi non possono che restare ultimi e la loro unica possibilità di riscatto sembra quella di affrontare la vita come un lungo calvario in cui la sofferenza sarà il lasciapassare per una vita ultraterrena migliore. "Donna Ester, ricordandosi che gli piacevano i fiori, spiccò un geranio dal pozzo e glielo mise fra le dita sul crocefisso: in ultimo ricoprì il cadavere con un tappeto di seta verde che avevano tirato fuori per le nozze. Ma il tappeto era corto, e i piedi rimasero scoperti, rivolti come d'uso alla porta; e pareva che il servo dormisse un'ultima volta nella nobile casa riposandosi prima d'intraprendere il viaggio verso l'eternità."
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Federica