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Divina Roma!
Primo della trilogia dei cosiddetti romanzi della rosa insieme a "L'innocente" e a "Trionfo della morte", "Il piacere" è uno di quei libri che richiederebbero fiumi d'inchiostro e su cui si potrebbe discutere a lungo. Fu un vero successo editoriale quando venne pubblicato, mentre oggi sembra trascurato, se non addirittura intenzionalmente evitato a causa dei pregiudizi ormai ben radicati nei confronti della figura del suo autore (pure su questo i fiumi d'inchiostro non mancherebbero).
Eppure, per chi ama la scrittura dannunziana, "Il piacere" è un romanzo dal fascino indiscutibile che si conserva intatto anche nel caso in cui lo si rilegga a distanza di tanti anni, come ho fatto io.
Gabriele d’Annunzio, nella giusta considerazione della sua arte e dell’epoca cui apparteneva, rimane un grande maestro di stile nella poesia così come nella prosa. Mirabile la caratterizzazione dei personaggi, voluttuose le descrizioni delle alcove degli amanti, impietose quelle dell’aristocrazia di fin de siècle, decadente e annoiata dalle proprie miserie morali.
Al pari del giovane esteta Andrea Sperelli, Roma è l’altra grande protagonista di queste pagine con le sue piazze e fontane, i suoi palazzi storici, le vedute dal Pincio, i suoi tramonti e le notti d’infinite malinconiche stagioni, la struggente bellezza dei paesaggi dell’anima… Divina Roma!
Chi li cerca, può trovarli ancora lì, quegli stessi luoghi (come, per esempio, Palazzo Zuccari in prossimità di Trinità dei Monti), sebbene appesantiti dal tempo e dai frastuoni dell’oggi, ma pur sempre immersi nella poesia della città eterna.
Un romanzo, a mio avviso, da riscoprire.
"Il verso è tutto. Nella imitazione della Natura nessuno strumento d’arte è più vivo, agile, acuto, vario,moltiforme, plastico, obbediente, sensibile, fedele. Più compatto del marmo, più malleabile della ce-ra, più sottile d’un fluido, più vibrante d’una corda, più luminoso d’una gemma, più fragrante d’unfiore, più tagliente d’una spada, più flessibile d’un virgulto, più carezzevole d’un murmure, più terri-bile d’un tuono,il verso è tutto e può tutto. Può rendere i minimi moti del sentimento e i minimi mo-ti della sensazione; può definire l’indefinibile e dire l’ineffabile; può abbracciare l’illimitato e pene-trare l’abisso; può avere dimensioni d’eternità; può rappresentare il sopraumano, il soprannaturale,l’oltramirabile; può inebriare come un vino, rapire come un’estasi; può nel tempo medesimo posse-dere il nostro intelletto, il nostro spirito, il nostro corpo; può, infine, raggiungere l’Assoluto."
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Dell'autore m'è venuta voglia di rileggere "Notturno" e "La città morta" , due testi che mi erano piaciuti molto.