Dettagli Recensione
Uno studio pacato sull’animo umano
Una straordinaria indagine sulla psicologia umana. Ciò rende Se questo è un uomo un memoriale differente rispetto agli altri. Primo Levi non ha voluto aggiungere nulla di nuovo sulla crudeltà dei lager nazisti, non ha voluto formulare nuovi capi d’accusa nei confronti dei suoi torturatori. Ha, invece, voluto andare più a fondo per provare a capire le cause che hanno condotto l’essere umano ad un esperimento sociale tanto terribile come quello dei campi di concentramento e di sterminio. L’autore, perciò, vuole condurre uno studio pacato, privo di odio, sull’animo umano. Ne esce un quadro ricco di spunti. Lo stile è lineare ed è completamente assente la retorica. Come dice in una recensione del 1948 Italo Calvino (Se questo è un uomo era uscito nel 1947 nella collana di saggi della casa editrice Da Silva di Torino), nella scrittura di Levi ci sono: la potenza delle immagini, l’acutezza psicologica e la sobrietà. I fatti narrati, come evidenzia lo stesso Levi, sono tutti reali e sono stati vissuti in prima persona da Levi presso il campo di lavoro di Monowitz, vicino ad Auschwitz. Levi è sopravvissuto all’orrore nazista. È stato salvato dai suoi studi da chimico, da una buona dose di fortuna, come egli stesso ha sempre ammesso, e dall’incontro con un civile di nome Lorenzo, che lo ha aiutato porgendogli alcuni beni di prima necessità e ricordandogli sempre che «era ancora un uomo», nonostante tutto. I capitoli a partire dal 1958 (prima edizione targata Einaudi, che aveva rifiutato il libro appena dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale) sono 17. È stato, difatti, inserito tra Sul fondo e Ka-Be il capitolo Iniziazione. In questo modo I sommersi e i salvati è divenuto il nono capitolo, quello centrale. È questo il capitolo più importante nella riflessione di Levi, dove evidenzia che nel lager si perde il confine tra bene e male. Il lager come una gigantesca esperienza biologica e sociale, perché vengono rinchiusi in uno stesso posto migliaia di individui costretti ad una vita costante, controllabile, identica per tutti, quindi perfetta per una sperimentazione. Levi in questo capitolo descrive la legge del lager, che riassume con le seguenti parole: «a chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto». E poi parla dei prominenti ebrei, che sono un tipico prodotto del lager. Sono schiavi che ricevono una posizione privilegiata, un certo agio e una buona possibilità di sopravvivere. Per quello che ricevono, però, tradiscono la solidarietà dei compagni, sono sottratti dalla legge comune, sono odiosi e odiati e diventano con il tempo sempre più feroci, crudeli e tirannici nei confronti degli altri. E ancora nel capitolo I sommersi e i salvati ci porta quattro significativi esempi di gente comune che egli ha incontrato e osservato nel lager. Gli ultimi due meritano un’attenzione particolare: Elias, fortissimo fisicamente, ed Henri. Il primo ci dice Levi è un ladro, ha l’istintiva astuzia degli animali. È felice nel lager, perché fuori sarebbe un criminale o un pazzo mentre dentro trionfa e prospera. Il secondo, invece, sopravvive grazie alla pietà che gli serve per ampliare le sue conoscenze e amicizie; Levi ci spiega che Henri cattura i soggetti, li impietosisce e inizia a far rendere questa sua conoscenza. Ma non c’è soltanto il capitolo nono. In quello successivo, ad esempio, Levi cerca di restituirci il sentimento provato dai nazisti nei confronti degli schiavi del lager. Lo fa con lo sguardo che Pannwitz, colui il quale è chiamato a selezionare chi potrà entrare nel commando chimico, rivolge a lui: viene descritto come lo sguardo che si rivolge ad esseri di natura diversa. Sempre nel capitolo Esame di chimica il capo del commando chimico, un criminale di nome Alex, si pulisce la mano sulle vesti di Levi «senza scherno e senza odio». Un’altra scena da cogliere e su cui riflettere è quella che conclude il capitolo Ottobre 1944, il quale descrive la terribile selezione avvenuta in quel mese nel lager. Il protagonista è Kuhn che ringrazia Dio per non essere stato selezionato, ma al suo fianco ha Beppo che invece è stato appena condannato a morire. Levi conclude: «Se io fossi Dio, sputerei a terra la preghiera di Kuhn». Se Lorenzo ricorda, come detto, a Levi che appartiene ancora al genere umano, invece sarà nell’ultimo capitolo, Storia di 10 giorni, che Levi riscoprirà l’umanità, quando Towarowski, uno dei pochi rimasti con lui nel campo quando avviene l’evacuazione nel gennaio 1945, propone di dare un pezzo di pane proprio a Levi, a Charles e ad Arthur che si erano spesi per lui e per gli altri presenti nello stanzone. A questo gesto Levi pensa: «Il lager è morto, gli haftilinge (i detenuti) stanno lentamente tornando uomini».
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