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Viltà o consapevolezza – il dramma irrisolto dell’
Gramsci diceva: “L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita.” Eppure quanto è difficile distinguere tra indifferenza e consapevolezza d’un male di vivere che induce a respingere ogni coinvolgimento in ciò che risulta brutale, violento, disumano.
È Corrado, il protagonista del bellissimo “La casa in collina” di Pavese, che meglio interpreta il disagio dell’intellettuale di fronte all’impegno che richiederebbe una partecipazione attiva alla lotta per la libertà in un paese devastato dalla guerra e dall’occupazione straniera.
La sua solitudine e il suo malessere lasciano trasparire il malessere dello stesso Pavese. C’è una sorta di identificazione tra personaggio e autore. Corrado è a disagio nel mondo in cui vive, il suo male di vivere lo pone ai margini di quella società di cui pure è parte integrante. È negli occhi di Cate, la ragazza che aveva amato anni prima, che legge la sua “nullità”. Il suo animo è profondamente turbato da ciò che egli pensa di se stesso: “Chi lascia fare e s’accontenta è già un fascista”. Eppure è proprio questa sua consapevolezza che lo riscatta, perché è più coraggioso chi sa ammettere i propri limiti di chi li nega o li giustifica. Corrado non giustifica mai se stesso. La sua indole è contemplativa, egli ha un rapporto speciale con la natura che lo circonda, di cui assorbe i colori, i profumi, i panorami spettacolari e ne rileva con sofferenza gli oltraggi subiti dalla guerra. Sa di non essere in grado di assumersi responsabilità che costituirebbero un peso insopportabile. Anche nei confronti di Dino, il bambino di cui sospetta di essere il padre, si sente colpevole, perché è incapace di andare fino in fondo a cercare la verità e le parole di Cate sono per lui come una dolorosa conferma di ciò che egli già pensa di se stesso: “Sei buono così, senza voglia. Lasci fare e non dai confidenza. Non hai nessuno, non ti arrabbi nemmeno.” Solo l’ansia di vedere il mondo di dopo, dopo lo sconvolgimento causato da quella che per lui è la vera guerra, quella combattuta sulla sua terra, che ha trasformato gli uomini in disperati, solo quest’ansia gli restituisce una certa vitalità. “Non chiedevo la pace del mondo, chiedevo la mia. Volevo essere buono per essere salvo.”
Corrado cerca di sopravvivere, non solo alla guerra intorno a lui, ma soprattutto alla sua guerra interiore, cercando un riscatto che non trova. È di fronte alla morte, agli uomini caduti combattendo, che Corrado si chiede il perché della vita e della morte e non sa darsi una risposta. La risposta forse la sanno solo i morti. “Soltanto per loro la guerra è finita davvero.”
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Anche a me in breve romanzo è assai piaciuto. Qui ci sono le care colline piemontesi, quindi certe vibrazioni sono legate ai paesaggi che amo. Però devo anche dire che in particolare nell'ultima parte certe riflessioni 'da antologia' sui morti della Resistenza, cui anche tu fai riferimento, sono molto toccanti e fanno riflettere ; mi paiono 'rivoluzionarie' per l'epoca in cui sono state scritte.