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La coscienza di Zeno
 
La coscienza di Zeno 2021-01-05 09:54:58 Valerio91
Voto medio 
 
3.0
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
2.0
Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    05 Gennaio, 2021
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Loop (quasi) infinito

Considerato il romanzo che ha introdotto il tema della psico-analisi nella letteratura italiana, il mio approccio iniziale a “La coscienza di Zeno” è stato oltremodo positivo: nelle prime pagine il protagonista ci si presenta subito con forza, nel capitolo incentrato sul suo vizio del fumo che lascia già immaginare le controversie della sua psiche sulla quale, in fondo, il romanzo è incentrato. In certi casi m'ha strappato anche qualche risata, e pur essendo evidente l’inettitudine di Zeno si riesce a entrare in sintonia con lui e se ne seguono le vicende con vivo interesse.
A un certo punto però, succede qualcosa.
Le fisime di Zeno cominciano a pervadere il romanzo, che si trasforma in un rimuginio ininterrotto su quelle fisime stesse: un po’ alla maniera del Moscarda pirandelliano… ma con la differenza che stiamo parlando d’un romanzo lungo il triplo. Sebbene si percepisca bene quanto i conflitti di coscienza irrisolvibili di Zeno siano al centro della trattazione di Svevo, questi finiscono per sfiancare un lettore che, partito coi migliori auspici, si ritrova ad affrontare una lettura che diventa asfissiante, ripetitiva; in certi tratti davvero noiosa. In mezzo alla moltitudine dei suoi pensieri ricorrenti Zeno finisce, paradossal­mente, con lo sfumare. È forse per questo che il romanzo si chiama “La coscienza di Zeno” e non semplicemente: “Zeno”, ma a quale prezzo Svevo ha veicolato il suo messaggio? Perché non v'è senz'altro dubbio che il messaggio sia arrivato, che il modo d'essere del protagonista sia venuto fuori... ma era davvero necessario indugiare così tanto sulle stesse dinamiche e sugli stessi voli pindarici della sua coscienza, per poi lasciare un così misero spazio alla rivalsa dell'inetto? Occorreva davvero portare alla nostra attenzione cosi tante volte il conflitto che coglie Zeno nella sua relazione extraconiugale? nell'amore per sua moglie e nel suo non-amore (forse) per la sorella di lei? nel suo rapporto col cognato?
Dopo "Uno, nessuno e centomila", in cui pure Moscarda rimugina fino allo sfinimento sugli stessi conflitti, mi sono detto che forse gli autori italiani che si soffermano su temi psicologici temano che i loro lettori siano un po' scemi e non possano afferrare un concetto se non ripetuto allo stremo. Diamine, cose che neanche il Raskol’nikov dostoevskiano, e lui aveva commesso un omicidio!
Insomma, io non nego l'importanza di questo romanzo e anzi ne ho ammirato l'inizio, da cui avevo tratto le migliori aspettative. Ma poi Svevo mi ha stordito, facendomi perdere interesse anche per quanto di buono (ed è tanto) ha espresso, ma che bisogna dissotterrare da un milione di parole e concetti che, troppo spesso, si ripetono.
Peccato.

“Il vino è un grande pericolo specie perché non porta a galla la verità. Tutt'altro che la verità anzi: rivela dell'individuo specialmente la storia passata e dimenticata e non la sua attuale volontà; getta capricciosamente alla luce anche tutte le ideuccie con le quali in epoca più o meno recente ci si baloccò e che si è dimenticate; trascura le cancellature e leggee tutto quello ch’è ancora percettibile nel nostro cuore. E si sa che non v’è modo di cancellarvi niente tanto radicalmente, come si fa di un giro errato su di una cambiale. Tutta la nostra storia vi è sempre leggibile e il vino la grida, trascurando quello che poi la vita vi aggiunse.”

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Commenti

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Molly Bloom
05 Gennaio, 2021
Ultimo aggiornamento:
05 Gennaio, 2021
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Ciao Valerio, noto che ultimamente sei piuttosto critico verso i capolavori. Non che sia un male, eh, ognuno ha la propria percezione ed è bello confrontarla. Personalmente ho amato molto questo libro, dall'inizio alla fine e non ho sentito alcuna noia né l'ho trovato ripetitivo. Sicuramente lo vorrò rileggere in futuro. Joseph Conrad nella prefazione di "Il Caso" motiva molto elegantemente le pagine in più che un lettore o la critica contesta ai grandi libri, senza di esse non sarebbe più lo stesso libro. Anche la vita di un uomo potrebbe essere riassunta in "Nacque, visse e morì", eppure, quale avventura! "La coscienza di Zeno" mi risulta essere un diario a scopo terapeutico che il medico psicologo consiglia a Zeno di scrivere, da qui, immagino il titolo. Non è un romanzo di avventura per chiamarsi "Zeno", seppur spassoso a tratti. Lo sapevi che James Joyce fu molto entusiasta di questo titolo di Svevo che apprezzò molto? Erano amici :-).
Valerio, ‘grazie’ a Svevo letto sui vent’anni, mi sono dirottata a rotta di collo sui grandi romanzoni dell’Ottocento. Ho odiato la letteratura della psicoanalisi, lo stream of consciousness, una vera noia mortale e sempre ‘grazie’ a lui, per anni ho perso un sacco di capolavori del Novecento,perché convinta di trovare romanzi simili ai suoi.
Meno male ho fatto pace col Novecento grazie a Moravia, Vassalli, Bassani, e tanti altri. Senza rendermene conto ho letto molti romanzi torrenziali, anche Infinite Jest. Detto ciò, devo rileggere Svevo, anche se sono convinta che non regga con l’Ulysses di Joyce.
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Valerio91
05 Gennaio, 2021
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Ciao Ioana,
guarda, soprattutto nelle mie recenti letture ho capito che non esistono capolavori assoluti, e che tutti i libri sono criticabili. Non ho problemi a leggere libri di grande mole, ma credo che ci sia mole e mole. Mi spiego: "I miserabili" di Hugo o "I fratelli Karamazov" di Dostoevskij sono due libri che saranno il triplo della Coscienza, ma non mi hanno provocato lo stesso sentimento. Questo perché le digressioni di questi due libri si soffermano su diverse cose, ampliano dei concetti, mentre qui ho trovato qualcosa che si ritorce su sé stesso e che ripete sempre lo stesso concetto, mette in risalto sempre gli stessi conflitti. Attenzione, la cosa ci sta tutta, ma non così tanto! Per trasmettere i conflitti di Zeno era davvero necessario ripetere così tante volte sempre gli stessi? A mio giudizio, ovviamente soggettivo, no. Anzi, l'ho trovato anche piuttosto irritante. Ciò non toglie che i contenuti siano apprezzabili e lo sia anche il messaggio... difatti ho penalizzato la piacevolezza rispetto al resto, che è il parametro più soggettivo dei tre.
Sono d'accordo con te che una narrazione "Nacque, visse, morì" non sia soddisfacente, ma qui siamo all'estremo opposto: anzi, direi che Svevo non fa che parlarci che di pochissimi istanti della vita di Zeno, allungandoli fino allo sfinimento come se durassero decenni! Dal matrimonio di Ada alla morte di Guido non passano che pochi anni, ma sembrano almeno 10!
È questo quello che non ho apprezzato, ma magari qualcun altro può ritenerlo appropriato, non lo discuto assolutamente! ;)
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Valerio91
05 Gennaio, 2021
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Ciao Marianna,
condivido assolutamente il tuo pensiero sui romanzi Novecenteschi, che sono secondo me sono il periodo in assoluto migliore della narrativa italiana (e probabilmente anche mondiale, fatta eccezione per alcuni paesi come la Russia). Onestamente non amo né Joyce né ho amato Svevo, e immagino non sia un caso. Affronterò prima o poi altre opere degli autori ("Ulysses" e "Senilità"), ma il primo approccio con "Dubliners" e "La coscienza di Zeno" non è stato dei migliori; immagino non siano proprio nelle mie corde!
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Molly Bloom
05 Gennaio, 2021
Ultimo aggiornamento:
05 Gennaio, 2021
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Valerio, dato che già non ami molto Joyce, prima ancora di sobbarcarti con "Ulisse", mi permetto di consigliarti la lettura di "Dedalus" prima. A me è piaciuto moltissimo e la dentro c'è una descrizione dell'Inferno degna dei miglior apocalittici e che ripaga tutto il libro, oltre che a denunciare pesantemente gli enti di istruzione cattolici per ragazzi. Buone letture.
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Molly Bloom
05 Gennaio, 2021
Ultimo aggiornamento:
05 Gennaio, 2021
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ps: Al contrario di te, io "I miserabili" ho faticato a leggere superata una certa. Perché se da un lato abbiamo gli epici episodi storici, dall'altra c'è Parigi più piccola d'un uovo e nella quale i colpi scena e le più sbalorditive coincidenze, succedono! Degna telenovelas ottocentesca, senza nulla togliere al suo valore oggettivo perché Hugo è uno dei grandi e non lo discuto. Per me è ripetizione anche questa, e il continuo allungamento del brodo mi ha annoiata abbastanza, ma ci sta, perché il romanzo nasce come un romanzo a puntate, altrimenti Hugo non l'avrebbe mai scritto da capo a fine in una botta. Ne sarebbero usciti come minimo tre romanzi. Per "I fratelli Karamazov" invece, anche li ho trovato dei punti morti ma che dire? Tutto il resto compensa, fosse solo per il famoso capitolo "Il grande Inquisitore". Tendenzialmente in Dostoevskij mi annoiano i lunghi dialoghi al limite dell'isterismo e che tendono anche loro ad essere ripetitivi nelle formule, soprattutto quelli che includono più personaggi e descrivono scene mondane, mentre quelli a due rimangono più intimi e profondi.
Mian88
05 Gennaio, 2021
Ultimo aggiornamento:
05 Gennaio, 2021
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Ti faccio i miei complimenti Valerio perché hai scritto una recensione ben argomentata e con tanti punti a sostegno della tua tesi. Come direbbe Amélie Nothomb tu certo non sei un “lettore rana”, anzi. Che dire, io ho letto questo romanzo a 18 anni mentre passavo da “Orgoglio e pregiudizio” a “Fahrenheit 451”, “Gente di Dublino” e “L’Ulisse” di Joyce. Mi ci ero avvicinata con grandi aspettative perché mi ero appassionata alla figura di Svevo e ne ero incuriosita. Ha tanti temi sottesi e spunti di analisi e riflessione. Merita di stare tra i classici della formazione personale di un lettore ma a livello di piacevolezza fa acqua. Non solo è ridondante ma anche ripetitivo. Fa parte altresì di un ciclo di opere dedicate dall’autore a suddette tematiche ma proprio perché proprio del filone della psicoanalisi non può che definirsi ripetitivo. E lo fa apposta di essere ripetitivo, proprio lo vuole perché deve evidenziare e rimarcare uno stato d’animo. Senza dimenticare le inutili digressioni che spesso si susseguono e che sempre fanno parte del genere. Dopo questo titolo ho letto anche le altre opere di Svevo ma è un po’ una sua peculiarità: non dimentichiamoci che è stato più volte definito come un narratore dalla penna “ragionieristica”, un po’ anche come retaggio del suo vissuto.
Io trovo che se una recensione è ben argomentata e sostenuta possa muovere contestazioni tanto ai classici quanto ai contemporanei. Ciò in virtù del fatto che la lettura è e resta un viaggio soggettivo del lettore ma anche in virtù del fatto che capolavori assoluti non esistono. Vale per tutte le cose, letteratura e non. Buone letture a tutti!
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Valerio91
05 Gennaio, 2021
Ultimo aggiornamento:
05 Gennaio, 2021
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Quanto sarebbe interessante avere un circolo di lettura dal vivo coi componenti di QLibri :D
Anch'io credo che la ripetitività di Zeno sia uno strumento (a mio parere abusato) di rimarcare quello che Svevo voleva effettivamente trasmettere: i conflitti di coscienza. Credo sia un dato abbastanza oggettivo, ma ciò non toglie che lo si possa apprezzare o meno; così come si possono amare le digressioni di Dostoevskij e Hugo e odiare quelle di Tolstoj (come nel mio caso) ma anche viceversa. Credo che dopo aver scavato fino alle qualità oggettive d'un romanzo, il resto del giudizio stia tutto nel gusto personale.
Solo di una cosa sono convinto: tutti i romanzi, classici e odierni, hanno dei difetti. Tutti, nessuno escluso, e riservare le critiche solo ai contemporanei mi sembra ingiusto: sarebbe come ammettere che l'umanità ha esaurito la sua arte e credo che non sia vero (sebbene si vivano tempi duri in tal senso) e che siamo una generazione che non potrà mai eguagliare le altezze del passato. Sai che c'è invece? Per quanto grandi, Svevo, Verga, ma anche i più grandi come Dostoevskij o Dickens o Dante hanno compiuto degli errori. Ciò non ci impedisce di apprezzarne i pregi. E chi dice che non possano esserci, in mezzo a noi, scrittori altrettanto grandi?
Ecco perché, se ho davanti un classico o un libro contemporaneo o di qualsiasi altro genere, il mio approccio è il medesimo.
Poi il "mi piace" o "non mi piace" è una mera espressione del gusto soggettivo.

Buone letture! :)
Io trovo Svevo stilisticamente molto trascurato, non lo amo, ma devo dire che ho dei problemi con i prosatori italiani della prima metà del '900 in generale. In ogni caso molto bella quesa vostra discussione, ripropone un problema mai superato sul rapporto con libri così classici.
Valerio, pur riconoscendone il valore letterario, anch'io non sono entusiasta di questo libro. Lo ritengo sopravvalutato. Sicuramente ci sono pagine molto belle, da antologia. Sono però alternate con parti piuttosto pesanti. Forse qualche sforbiciata ...
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