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In nome del popolo
Edito da Mondadori per la prima volta nel 1964 , questo racconto drammatico in quattro atti con protagonista un’icona della storia sarda medievale, evidenzia l’interesse precipuo del suo autore per la storia della Sardegna e in particolare per la sua indipendenza, interesse che ha attraversato in toto la sua produzione. La figura di Eleonora D’Arborea permette infatti a Dessì di celebrare un tempo in cui la Sardegna era forte, indipendente, interlocutore privilegiato in ambito internazionale per la sua posizione strategica nella cosiddetta “rotta delle isole”; un tempo in cui lo statuto dei giudicati permetteva altresì alla terra sarda di svincolarsi da legami servili di tipo feudale e di farsi, nella storia particolare di uno dei suoi giudicati, quello di Arborea, promotore di un illuminato codice di leggi, la Carta De Logu, nel quale il bene è quello comune, a vantaggio dei governanti e dei governati, percepiti con lo stesso diritto votato al benessere collettivo, equo, giusto.
Eleonora entra in scena in un momento drammatico della sua vita, uno dei tanti, suo fratello Ugone III è stato appena ucciso e la notizia la raggiunge tramite dei messi fidati, i notabili di Oristano, nel castello di Monteleone Rocca Doria, mentre suo marito Branca Doria si trova a Genova; attorno a lei solo uomini, il genovese Del Barbo, amico del marito, che vorrebbe metterla al riparo alla volta di Genova, i notabili oristanesi che vorrebbero invece il suo aiuto mentre lei, schiva, dice di sé di essere soltanto una “povera donna”. Quando però viene a sapere che è il suo popolo a chiamarla, il cambiamento è repentino, subito mette in chiaro che in assenza del marito comanda lei e decide di recarsi a Oristano a onorare la fiducia del suo popolo. Da quel momento la donna subisce una chiara evoluzione in termini di indipendenza mentale, culturale e psicologica da qualsiasi evento, da qualsivoglia persona. Nella seconda scena del secondo atto è già in conflitto con il marito il quale basito le dice : “Io non posso credere che tu sei una donna diversa da quella che ho lasciato a Monteleone quando sono partito …”. Eleonora, dopo avergli fornito un quadro sintetico della sua scomoda posizione di moglie di un possibile nemico sempre in combutta con gli aragonesi, chiede a Brancaleone di schierarsi apertamente per la causa sarda. Sì, perché ora è in gioco l’autonomia di un intero territorio contro l’unico nemico che nulla può contro chi ha l’investitura del popolo. Le successive vicende ricalcano gli eventi storici documentati: l’ambasceria di Branca Doria, la sua lunga prigionia decretata dagli aragonesi, la proposta di baratto per la sua libertà con quella del figlio, il rifiuto materno, la guerra, una pace firmata quando la si stava vincendo e poi il declino. Si sa che al rientro di Brancaleone, Eleonora, che governava in nome del figlio Federico, preferì dedicarsi completamente alla revisione del codice voluto dal padre Mariano e che la peste la portò via, Dessì la immagina dedita alla cura degli appestatati, consapevole e sola, come tutta la vita, del peso del suo destino.
Mirabile ritratto di una donna che trascende la storia e sconfina, come esempio, nella più stretta attualità.