Dettagli Recensione
La vertigine della parodia
Tengo molto a quest’opera di Petronio e mi piacerebbe riuscire a incoraggiare qualcuno nella lettura. Di Petronio sappiamo poco, se non il ritratto straordinario che ne fa Tacito come “arbiter elegantiae” nei suoi Annales, collocando il misterioso autore alla corte di Nerone. Non fa sorgere meno dubbi interpretativi questo suo “Satyricon”, testo che credo epocale per più di un motivo. Intanto la forma: approssimandolo a una categoria moderna, si potrebbe dire che il Satyricon è un romanzo, genere davvero poco praticato nell’antichità e certo considerato una forma di letteratura minore. L’esempio più celebre è Apuleio con le sue “Metamorfosi”, e pochi altri sono i romanzi di cui abbiamo conoscenza, tutti di matrice greca e tutti basati sullo stesso schema: una coppia di innamorati che non può unirsi a cause di fattori che ne determinano la separazione fino al ricongiungimento finale. Eppure il Satyricon ribalta completamente questo modello: al centro della storia un triangolo amoroso del tutto irreale tra tre uomini, con non infrequenti incursioni femminili a dire il vero, in cui il bel Gìtone è conteso tra diversi aspiranti e approfittatori. Ancora più celebre è però la famosa cena di Trimalcione, tripudio pantagruelico e volgare dei nuovi arricchiti, della più turpe delle degradazioni, tra portate immaginifiche, sessualità dubbia, sproloqui indecenti. Quello che però crea ancora più confusione è che quanto ci resta del Satyricon corrisponde al solo libro XV e parte del XIV e del XVI: tutto il resto è andato perduto. Ne segue che questo romanzo dovesse essere un’opera monumentale e che forse proprio per questo fosse pubblicato addirittura a puntate, innervando tutta una vendita di libri più “frivoli” e leggeri, nonché licenziosi, che doveva essere in realtà molto ricca nella Roma imperiale. Eppure il gioco letterario del Satyricon è tutt’altro che popolare, anzi, è piuttosto raffinato: tutto gira attorno alla parodia più estrema, al rovesciamento sistematico dei modelli classici cui la letteratura importante si ispira e che qui vengono ribaltati: i protagonisti sono implicati in una inverosimile storia omosessuale, il dio che perseguita Encolpio, il protagonista, non è l’Helios che tormenta Ulisse, ma Priapo, dio dall’esuberante mascolinità che lo punisce con l’impotenza; o ancora i modelli alti dell’amore coniugale (Ulisse e Penelope) vengono sovvertiti nella irriverente novella della “Matrona di Efeso”, che apre una sottonarrazione nel mentre della cena di Trimalcione, la quale è a sua volte la parodia di un’intera società che ha toccato il denaro e che subito si è corrotta e forse un’estremizzazione dei curiosi libri di cucina che sappiamo stavano iniziando a circolare all’epoca. Eppure col proseguire del testo la parodia si fa ancora più estrema: poco prima delle ultime scene che ci restano, uno dei personaggi si lancia nella declamazione di un poemetto, il “Bellum civile”, del tutto tradizionale, anzi, si direbbe stantio. Allora qui l’arte di Petronio si fa escplicita: quello del “Bellum civile” non solo è un topos letterario straordinariamente prolifico, ma in quegli stessi anni era il tema di un’altra opera memorabile, la “Pharsalia” di Lucano, che a sua volta era il rovesciamento del più grade epos latino, l’”Eneide” di Virgilio. Ecco che Petronio realizza l’indicibile sfidando i modelli più alti e facendo della parodia il motore della narrazione; inoltre inserendo all’interno di quest’opera narrativa interi poemetti, novelle, composizioni elegiache ed epigrammi e richiamando l’epos più alto, annulla la tassonomia dei generi letterari così come ancora oggi intesa, in un modo che forse si realizzerà poi di nuovo solo nel Novecento.
Dunque il Satyricon è un’opera modernissima, che però non finisce di regalarci sorprese. Infatti a chiunque legga con attenzione, appare chiaro che il protagonista, e in generale ogni personaggio, sia la caricatura estrema di un tipo umano e che dunque coesistono due piani narrativi: quello di Encolpio, narratore “mitomane”, che trasfigura le sue vili imprese con le parole dell’epica e il narratore “nascosto”, Petronio, che guida la storia con i modelli letterari che stanno dietro al libro. Il risultato è che Encolpio, imprigionato nei suoi modelli sublimi, accentua la parodia, che si fa strumento allora per rivelare, attraverso la trivializzazione, come gli schemi del romanzo abbiano reso melodrammatici i veri modelli sublimi.
Da questo romanzo Fellini ha tratto l’omonimo film scandalo del 1969, tutto dominato da tinte rosse e nudità promiscue, con sconvolgenti introspezioni sul senso della vita e l'angoscia della morte, e credo che molto del senso del Satyricon sia nel più recente “La grande bellezza” di Sorrentino: anche lì la macchina del regista è quella di una parodia che smaschera la trivializzazione della vera bellezza, quella che non è grande, ma sublime.
Chiudo aggiungendo una piccola nota editoriale. L’edizione Mondadori di questo libro è, per usare un eufemismo, scandalosa: sono stati tagliati tutti gli inserti poetici e i poemetti che sono parti integranti del testo per favorire il lettore moderno, con una traduzione che più che libera, mi pare arbitraria e che dimostra come del libro non sia stato compreso il senso più proprio.
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Commenti
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Ho solo visto, parecchio tempo fa, il film che ne ha tratto Fellini.
Interessante la tua recensione con tutti i collegamenti opportuni annessi, come sempre fai! Sicuramente dettata dalla conoscenza del testo originale.
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Non ho mai letto il libro, ma ho visto il Satyricon di Fellini diverse volte ricavandone una forte impressione.
C'erano davvero molti punti in comune tra il dissacrante autore latino e il grottesco regista romagnolo.