Dettagli Recensione
Un Verga romantico ma tecnicamente naturalista
“Il testo contiene spoiler”
La struttura del racconto, narrato in forma epistolare ,è perfetta per analizzare il progressivo mutamento psicologico della protagonista che si snoda vorticosamente e di pari passo col ritmo degli avvenimenti che, pur se non provocati assolutamente dalla stessa, finiranno per travolgerla in una sorta di turbinio di instabilità e consunzione a livello emotivo oltre che fisico.
Maria è una giovane educanda. Dall’età di 7 anni vive in convento dopo la morte della madre e le nuove nozze del padre, modesto impiegato , con una donna particolarmente benestante. Destinata a diventare monaca , si ritrova improvvisamente all’età di vent’anni , a vivere un periodo di vacanza e spensieratezza presso la villa di campagna dei genitori a Monte Ilice vicino Catania. In città, infatti, imperversa il colera e per ragioni di sicurezza e prevenzione, la Direzione del convento aveva preferito allontanare le novizie onde scongiurare i pericoli di un possibile contagio.
È così inizia la narrazione, nelle lunghe lettere indirizzate all’amica Marianna, del profondo senso di libertà, leggerezza, stupore, gaudio giovanile che Maria prova per la prima volta durante le lunghe passeggiate nel castagneto confinante con la proprietà di famiglia, nell’osservare incantata il panorama delle valli che circondano la cima dell’Etna,nell’assaporare le sensazioni di allegria per la vicinanza agli affetti familiari, di curiosità e speranza che l’atmosfera della vita vissuta “fuori” suscita in modo così improvviso è avventato rispetto ai ritmi melanconici e quotidianamente cadenzati della rigida esistenza all’interno del chiostro :“bisognava venire quì in campagna fra i monti, ove per andare al l’abitazione più vicina bisogna correre per le vigne, saltar fossati, scavalcate muricciuoli ove non si ode ne’ rumor di carrozze nè nè suon di campane, nè voci di estranei, di gente indifferente” ...“ da tutte le porte , da tutte le finestre si vede la campagna, i monti, gli alberi, il cielo è non già muri, quei tristi muri anneriti!”
Maria sembra acquistare vigore via via che prende coscienza della sua essenza umana più vitale, più terrena , almeno fino a quando non si accorge di non saperne gestire gli aspetti più imponderabili come l’amore, la passione ed il lacerante senso di colpa derivante dall’incerta attitudine a compiere delle scelte per maturata convinzione personale piuttosto che per compiacimento sociale e quieto vivere familiare. Da questo momento di smarrimento il lettore si ritrova letteralmente trascinato nel ritmo sincopato dei periodi sempre più brevi che Maria compone nelle sue lettere e nelle quali quello che all’inizio del racconto poteva sembrare un confronto con un interlocutore muto diventa sempre più un mesto e tortuoso monologo interiore colmo di disperazione senza via d ‘ uscita da quello che più che un ingiusto destino sembra trasformarsi in una crudele condanna .
Maria, provata sia nella mente che nel corpo, si arrovella nel cercare di comprendere perché mai un sentimento d’amore così totale per un uomo possa contrastare quello verso Dio: “ Io amo il mio peccato!” Vuole ribellarsi ma rimane strozzata da dolorosi scrupoli. Non un conforto, nessuna speranza, il buio. Gli spasimi romantici e passionali della monaca innamorata cedono il passo ad esclamazioni forsennate d’ agonia che scorrono come un fiume verso la foce.
La tramatura del racconto epistolare , utilizzato non a caso, svela un Verga tardi romantico proteso a sperimentare il percorso psicologico della protagonista sovrapponendolo di pari passo col percorso mutamento fisico , con metodi e ritmi che ne rivelano tecnicamente le sperimentazioni del naturalismo francese ma mostrano altresì una resa più genuina , poco forzata , meno fittamente scientifico descrittiva, drammatica e struggente ma senza esagerazioni; anzi, nel trascinamento verso il baratro della protagonista, il lettore , empatico verso i dolori irrisolti della capinera ne comprende le ragioni che riflettono una società crudele, ipocrita che nella coltre ovattata delle proprie meschinità non offre alla protagonista alcun strumento di analisi , sviluppo e comprensione della condizione vissuta contro la quale non è opponibile ne’ un sentimento compiuto di ribellione , nè di rassegnazione in quanto manca una compiuta presa di coscienza individuale.
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Pur avendo letto abbastanza di Verga, talvolta anche riletto, conosco questo romanzo solo di fama.
Presumo, anche dalla tua valutazione, che si tratta del libro più bello del Verga pre-verista , quello anteriore alla svolta compiuta con "Nedda".