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Umanità e sicurezze
«La guerra mi tolse soltanto l’estremo scrupolo di starmene solo, di mangiarmi da solo gli anni e il cuore e un bel giorno mi accorsi che Belbo, il grosso cane, era l’ultimo confidente sincero che mi restava. Con la guerra divenne legittimo chiudersi in sé, vivere alla giornata, non rimpiangere più le occasioni perdute. […] Quella specie di sordo rancore in cui s’era conchiusa la mia gioventù, trovò con la guerra una tana e un orizzonte»
Quando quella che hai davanti è un’opera a firma Cesare Pavese sai per certo, ancor prima di cominciarla, che stai per iniziare un cammino che è molto più di quello che il semplice titolo o una breve prefazione illustrano. Ed è così anche in questo caso. Perché “La casa in collina” è sì sinonimo di rifugio, di grembo materno, di nido in cui Corrado, il protagonista professore, si ripara per scampare agli agguati della sempre più violenta e incessante Seconda Guerra Mondiale, ma è anche il luogo in cui egli si nasconde dagli agguati della vita. Perché Corrado è un uomo che volontariamente vive a distanza di sicurezza, vive asetticamente, con distacco. Tiene alla debita distanza il conflitto, le morti e la resistenza che lo circondano, ma tiene a debita distanza anche le responsabilità di uomo che ha. È un uomo dai molteplici cambi d’umore, che si mostra e si relaziona in modo incostante e sempre differente, talvolta anche in modo brusco e irriverente, è una persona che si crogiola nel suo cantuccino sicuro e che si circonda di persone semplici, allegre, non impegnative eppure attive perché volenterose di far qualcosa, di opporsi al regime. In questo contesto incontra anche Cate, suo amore giovanile e madre di Dino, bambino che porta di fatto il suo stesso nome e di cui ha il terrore e timore, e poi quasi il desiderio, di esser il padre. Tuttavia, la storia non aspetta che la consapevolezza sopraggiunga da sola e così, un giorno come un altro, entra in scena portando scompiglio in quel mondo ovattato tanto ricercato e bramato.
A far da perno e morale ai fatti vi sono i luoghi, la natura, una forte componente autobiografica e la guerra. La guerra e il suo significato, il suo essere, la guerra e il disinteresse che comporta nell’indifferenza generale, la guerra e l’impegno civile di chi non è disposto a lasciar correre facendo emergere la propria voce. Molteplici sono ancora le riflessioni esistenziali insiste, considerazioni che in taluni frangenti sono, tra l’altro, fortemente attuali.
«Questa guerra è più grossa di quello che sembra. Adesso è andata che la gente ha veduto scappare quelli che prima comandavano, e non la tiene più nessuno. Ma, fate attenzione, non ce l’ha coi tedeschi, non soltanto con loro: ce l’ha coi padroni di prima. Non è una guerra di soldati che domani può anche finire; è la guerra dei poveri, la guerra dei disperati contro la fame, la miseria, la prigione, lo schifo.»
Ne emerge una società dove fortemente contestata è l’adesione politica a un’ideologia, all’individualismo, a favore dei valori umani, della solidarietà, della collaborazione, della memoria. Affinché il sangue non sia stato versato invano, affinché i diritti siano davvero conquistati e protetti.
«Io non credo che possa finire. Ora che ho visto cos’è la guerra, cos’è la guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: E dei caduti che facciamo? Perché sono morti? – Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero»
Il tutto attraverso una penna erudita, fluida, riflessiva che accarezza e conduce il lettore in un ritmo cadenzato e ben ponderato. Un testo con un protagonista forte, stratificato che è capace di farsi amare e odiare, un testo che va letto e riletto un poco alla volta per gustarne ogni sfaccettatura, ogni sfumatura, ogni prospettiva. Da leggere.
«L’esperienza del pericolo rende vigliacchi ogni giorno di più. Rende sciocchi, e sono al punto che esser vivo per caso, quando tanti migliori di me sono morti, non mi soddisfa e non mi basta. A volte, dopo avere ascoltato l’inutile radio, guardando dal vetro le vigne deserte penso che vivere per caso non è vivere. E mi chiedo se sono davvero scampato.»
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Anch'io di recente ho letto qualche opera di Pavese e ne sono rimasta davvero colpita!