Dettagli Recensione
L'abbandono, la colpa, l'amore
“Cadeva la notte di San Giovanni. Olì uscì dalla cantoniera biancheggiante sull'orlo dello stradale che da Nuoro conduce a Mamojada, e s'avviò pei campi. Era una ragazza quindicenne, alta e bella, con due grandi occhi felini, glauchi e un po' obliqui, e la bocca voluttuosa il cui labbro inferiore, spaccato nel mezzo, pareva composto da due ciliegie.”
Questo l'incipit di “Cenere” di Grazia Deledda, pubblicato nel 1903; vi si narra la storia di Anania, figlio illegittimo della bella, giovanissima e ingenua Olì.
Anania viene al mondo in una misera casetta a Fonni, dopo che sua madre è stata rinnegata e cacciata di casa dal proprio padre perché è rimasta incinta di un uomo sposato.
Quando il bambino nasce Olì ha già perso la voglia di vivere e di sperare: il figlio trascorre un'infanzia fra povertà e tristezza, trascurato dalla mamma e con la voglia di conoscere suo padre. Ma quando Olì lo porta per davvero dal padre e lo lascia lì, Anania ne soffre enormemente: l'abbandono e la colpa di questa madre già assente sia fisicamente che emotivamente gli scava dentro una ferita profondissima che non riuscirà mai a far rimarginare.
La scelta di Olì si rivela, in fondo, razionalmente giusta: Anania trova una famiglia; la moglie del padre, al contrario del vecchio stereotipo della “matrigna cattiva” sarà la vera figura materna per lui, quella che lo nutrirà, lo consolerà, lo aiuterà ed intercederà per lui, per fargli avere un futuro migliore. Il ragazzo, grazie ad un benefattore locale, riuscirà a studiare, si potrà fidanzare con la bella e ricca Margherita.
Eppure...
Eppure qualcosa lo consuma dall'interno: è il dolore che gli ha causato sua madre, Olì. L'autrice riesce a descrivere questi sentimenti ambivalenti e totalizzanti con un realismo ed una intensità sempre perfettamente credibili. Anania passa dall'estremo odio all'amore più profondo nei confronti della mamma: dal desiderio di essere liberato dal peso dell'esistenza di lei, che rappresenta la colpa e gli ricorda il suo abbandono, al bisogno urgente di ritrovarla e di averla per sé.
“Cenere”, uno dei primi romanzi della Deledda, si presenta quindi come un'opera di notevole valore letterario: la vicenda, narrata in una splendida prosa poetica che non mi stanco di ammirare e di rileggere, riesce a toccare la nostra umanità nel profondo, andando a scavare in sentimenti ed emozioni primitive e necessarie come l'amore, il dolore, il senso di colpa.
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Commenti
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Non l'ho ancora letto, sarà dunque il prossimo libro della Deledda che leggerò, grazie!
Non ricordo se te li avessi già consigliati, ma ti segnalo "La madre" e la raccolta di racconti "Chiaroscuro".
E poi ti consiglio una visita alla casa natale della scrittrice in quel di Nuoro: sono certa che l'apprezzeresti molto! :)
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