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Geografia. L'Italia
 
Geografia. L'Italia 2016-10-02 15:00:49 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    02 Ottobre, 2016
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L’Italia antica, la sua storia, le sue genti

In genere dei classici greci e latini leggiamo le opere filosofiche, letterarie e teatrali, oppure quelle storiche. E’ quindi un’opera in qualche modo eccentrica la Geografia di Strabone, di cui questa bellissima edizione Rizzoli con testo greco a fronte, oggi purtroppo non più disponibile, ci presenta i libri V e VI, dedicati all’Italia.
La 'Geografia' è un’opera monumentale, che si compone di ben XVII libri, giunti a noi pressoché per intero, e che ci descrive il mondo conosciuto in un’epoca cruciale per lo sviluppo della Storia antica e della Storia tout-court. Strabone, che visse circa tra il 60 a.C. e il 25 d.C., scrisse infatti la Geografia quasi al termine della sua vita, intorno al 18 d.C., quindi nel primo periodo dell’impero, subito dopo la morte di Cesare Ottaviano Augusto. Molto prima della 'Geografia', Strabone aveva scritto anche una ancor più monumentale 'Storia universale', in 47 (secondo altri 43) libri: purtroppo di questa prima opera ci sono giunti solo pochi frammenti, ma il fatto che Strabone sia stato anche uno storico è fondamentale per comprendere la stessa struttura della 'Geografia'.
L’autore è di origine e cultura greca: Strabone nacque infatti a Amasea, nel Ponto (oggi nella Turchia settentrionale), regione che da pochi anni, al termine della terza guerra mitridatica, era divenuta provincia romana. Era vicino alla dottrina stoica, e questa sua posizione filosofica è molto importante per comprendere l’origine e il contenuto della sua opera. La stoicismo, infatti, se da un lato poneva alla base della saggezza la capacità individuale di liberarsi dei condizionamenti sociali e di raggiungere l’apatia, dall’altro – soprattutto nella sua versione romana – teneva in grande considerazione l’agire pubblico, la politica come mezzo per contribuire al benessere collettivo.
La 'Geografia' di Strabone è, coerentemente con la posizione dell’autore, innanzitutto un testo sociale e politico, pensato per fornire alle classi dirigenti romane uno strumento di conoscenza in grado di contribuire ad una gestione più agevole e accorta del potere. La descrizione che Strabone ci offre di ciascuna terra non è infatti limitata agli elementi fisici; anzi – almeno a giudicare da questi due volumi dedicati all’Italia – si può dire che questi, pur se molto dettagliati e posti all’inizio di ciascun capitolo, costituiscono una parte minore dell’opera, quasi appunto una premessa a ciascuna sezione di essa, che in gran parte invece si concentra sulle città, sugli elementi culturali che caratterizzano i vari popoli, sulla loro storia, sulle infrastrutture presenti nei vari territori, sulle produzioni agricole, minerarie etc. Del resto è lo stesso Strabone che ci dice nel prologo al primo volume della 'Geografia', come riportato nella utilissima prefazione di Anna Maria Biraschi, che ”E’ chiaro che tutta la geografia si rivolge interamente all’esercizio del potere… E’ più agevole impadronirsi di un territorio quando se ne conoscano già l’estensione, la posizione, le caratteristiche naturali e climatiche".
La 'Geografia' è anche un testo che testimonia la vastità delle conoscenze raggiunte dalla società romana rispetto alla conformazione del mondo allora conosciuto, anche grazie alla organizzazione e alla capillarità dell’amministrazione: i XVII libri di cui si compone spaziano dalla Britannia sino all’India e alla Persia, lodando a più riprese l’oculata amministrazione romana, la sua capacità di trarre da ogni terra i prodotti per la quale è vocata ma – anche e soprattutto – la capacità di organizzare e infrastrutturare il territorio, di gestire i traffici, di assimilare alla romanità i vari popoli.
I libri V e VI, presentati in questo volume, sono come detto dedicati all’Italia, ed a quanto pare sono i più accurati e ricchi di notizie. L’Italia di Strabone è appunto quella di età augustea, abbracciando la Pianura padana e le prealpi, con il Po a fare da confine tra Cispadana e Transpadana, per scendere sino alla Sicilia. Il primo libro, in particolare, si occupa dei territori sino alla Campania compresa, mentre il secondo riguarda le regioni che vanno dalla Lucania alla Sicilia.
La prosa di Strabone, oltre a sorprenderci per la ricchezza di conoscenze e citazioni e per la precisione dei dati forniti – tanto che non poche ricerche archeologiche hanno permesso di individuare siti sconosciuti proprio sulla base del testo straboniano – ci apre davvero un mondo, quello dell’Italia antica e delle sue genti. Anche se ormai completamente romanizzati, i popoli che componevano all’epoca il mosaico territoriale chiamato Italia avevano una loro precisa identità storica ed economico-sociale, che il territorio che abitavano, a seconda che fosse montagnoso o pianeggiante, fertile o sterile, contribuisce a definire. E’ in particolare sulla descrizione dei caratteri dei popoli che si concentra Strabone. Nel quinto libro veniamo così a conoscere, sia pure in forma sintetica, popoli come i Veneti, che vivono in città-isola in genere circondate da paludi, e che nell’antichità erano grandi allevatori di cavalli; I Celti, con le loro tribù, abitanti della fascia prealpina e della pianura transpadana interna; i Tirreni (Etruschi), dall’antica potente civiltà disgregatasi per le lotte intestine; i Sabini, la cui storia si intreccia con quella dei primordi di Roma e che a Reate (Rieti) allevano una rinomatissima razza di muli; i selvaggi popoli di Sardegna e di Corsica, con questi ultimi che non sono buoni neppure come schiavi; i Sanniti, fieri guerrieri di cui i Romani avevano loro malgrado dovuto constatare le virtù.
Nel sesto libro grande spazio è dedicato al Bruzio, alla Sicilia e alla Iapigia, ed ancora una volta sorprende la vastità delle conoscenze che Strabone ci presenta rispetto alla storia di queste terre, ed anche di quella (o dei miti) relativa alle epoche antecedenti l’arrivo della civiltà greca. L’autore, che pur avendo viaggiato molto non ha visto di persona molti dei luoghi di cui parla, attinge ampiamente a fonti precedenti (soprattutto di influsso greco) sia per le notizie storiche che per quelle letterarie di cui la 'Geografia' abbonda, ma anche per quelle strettamente geografiche. Questo ha fatto dire a molti critici che Strabone è stato poco più di un buon compilatore, e che la sua opera manca di originalità. Non ho le basi critiche per accogliere o confutare questa tesi, peraltro rigettata con forza dalla curatrice del volume, ma posso senz’altro dire che da un punto di vista letterario (anche probabilmente grazie all’ottima traduzione e all’apparato di note) questi due libri di Strabone sono piacevolissimi da leggere, per l’accennata ampiezza dei temi trattati e per la vivezza delle descrizioni che vi si trovano.
Come detto, l’intera 'Geografia' va intesa come un’opera volta da un lato a fornire al dominio romano sul mondo antico uno strumento di conoscenza geografica, dall’altro a legittimare la grandezza di Roma evidenziando le grandi opere da essa realizzate nelle terre poste sotto la sua amministrazione. Così, ovviamente, un capitolo intero è riservato alla città di Roma, ripercorrendone storia e miti fondativi, ma soprattutto evidenziando la grandezza e la magnificenza della città augustea, di cui vengono descritti i luoghi più significativi, tra i quali l’appena realizzato Mausoleo di Augusto. Molta importanza è data anche alle strade realizzate dai Romani, che spesso rappresentano gli elementi di giunzione delle descrizioni delle varie città, ed alle opere di bonifica e di messa a coltura del territorio, soprattutto delle aree del Lazio a sud di Roma e della Campania.
Il volume si chiude con la 'Conclusione' del VI libro, nella quale Strabone ci indica i fattori che secondo lui hanno consentito a Roma di raggiungere una potenza così grande. In questo interessantissimo capitolo si trovano considerazioni di grande importanza, che ancora una volta non possiamo fare a meno di ammirare per la loro modernità. Così, primariamente viene evidenziato come l’Italia, essendo circondata dalle Alpi e dal mare, sia quasi un’isoIa naturalmente ben protetta; ancora, la varietà del clima italiano, che permette la vita di una grande varietà di piante e animali, viene visto come un fattore primario della prosperità della penisola; infine Strabone evidenzia il fatto che essa si protenda al centro del Mediterraneo tra i popoli più grandi della Grecia e dell’Asia Minore, mettendo forse per la prima volta in evidenza un fattore geopolitico che nel corso della Storia avrebbe condizionato, nel bene e nel male, per innumerevoli volte la politica italiana.
Strabone scrive la sua opera in un’epoca della storia romana nella quale – dopo le drammatiche vicende che hanno portato alla fine della Repubblica – con Augusto si è imposto un nuovo assetto politico e sociale che necessita, per consolidarsi, anche di una precisa legittimazione culturale. Ciò che durante quell’epoca in campo letterario fu Virgilio (in particolare con l’Eneide) ed in campo storico fu Livio, Strabone lo è in un campo apparentemente più neutro quale la geografia. Egli ci dimostra però subito che questa neutralità non esiste, e che anche la geografia può essere un potente strumento al servizio del potere. Lo fa però senza l’ottuso servilismo degli esegeti obbligati, con estrema maestria letteraria, lasciandoci un testo vivido, che potremmo dire intriso di materialismo per l’importanza che in esso assumono le condizioni materiali e socio-economiche dei territori, e nel quale riconosciamo anche le radici di ciò che ancora oggi è l’Italia, con le sue grandezze e le sue miserie che la fanno comunque unica.
Speriamo che la casa editrice Rizzoli, così attenta ai classici greci e latini, ci permetta presto attraverso una ristampa o una nuova edizione di poter ancora leggere questo imperdibile, prezioso tassello della cultura di tutti i tempi, che comunque risulta ancora agevolmente reperibile sul mercato dell’usato.

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