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Cenere
 
Cenere 2016-05-20 18:50:27 lapis
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lapis Opinione inserita da lapis    20 Mag, 2016
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Tra la cenere cova una scintilla

Olì ha la bellezza e l’ingenuità della gioventù, i suoi occhi brillano come stelle perlate e le sue speranze sono dolci come i profumi delle erbe aromatiche. Ma le promesse d’amore si rivelano purtroppo intrise di menzogne, il giovane cui ha donato il cuore è già sposato e Olì si ritrova ragazza madre, ripudiata dalla famiglia, misera e sola. I sogni si tramutano così in grigia e inconsistente cenere, bruciati dalla forza ineluttabile e crudele della passione.

Il piccolo Anania vive l’infanzia con la giovane madre, che non gli regala tenerezza e carezze ma porta su di sé la freddezza e l’infelicità della miseria. E anche lui sogna, così come faceva Olì, sogna di andare alla ricerca del padre per regalarle un po’ di gioia e intanto si accoccola a lei nel letto cercando di darle un po’ di calore con i suoi piedini. E finisce per ritrovarsi anche lui solo, abbandonato davanti alla casa del padre naturale.

Il destino sembra volgersi però al meglio per Anania: accolto con amore dalla moglie del padre, trova una famiglia, riceve l’attenzione di un ricco benefattore locale che gli consente l’accesso agli studi e a un possibile affrancamento, e infine scopre un amore onesto e semplice con una ragazza perbene. Ma mentre sulle pagine scorre la vita di Anania, si percepisce sempre più la tragica assenza di Olì. L'immagine fisica della madre si scolorisce nella sua memoria, come una vecchia fotografia, ma Anania ne avverte in ogni momento la mancanza: è più vergogna che amore, è desiderio di scoprire dove sia, è bisogno di rimproverarle la sua fuga e dirle qualcosa per cui forse non ha nemmeno le parole, è un’ossessione che gli impedisce di proseguire il proprio cammino.

Con il suo stile così peculiare, che fonde il realismo dei sentimenti alla magia di fiabe di antica memoria, dal fascino ancestrale e suggestivo, Grazia Deledda è capace di parlare del e al cuore umano, delineando personaggi indimenticabili e facendone rivivere tutte le emozioni: la disillusione e il male dell’abbandono, la forza della passione cui sembra impossibile opporsi, lo smarrimento di una vita così inscindibilmente legata alle proprie radici, alla propria terra, a quanto di noi c’è, pur non essendo visibile. Paesaggi sardi, aspri e avari, si fanno simbolo di una società dura, ancorata alle sue leggi immutabili, abitata da donne dalle vesti nere e dalle dita nodose, animata da incolori e malinconiche sofferenze. Tutte le speranze e i sogni sono destinati a dissolversi in grigia e impalpabile cenere. Eppure forse, proprio nella cenere, c’è ancora una scintilla, un seme di speranza, che nasce dall’amore e dal sacrificio, e nutre la vita.

“Sì, tutto era cenere: la vita, la morte, l’uomo; il destino stesso che la produceva. Eppure, in quell’ora suprema, egli ricordò che fra la cenere cova spesso una scintilla, seme della fiamma luminosa e purificatrice, e sperò, e amò ancora la vita”.

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Commenti

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concordo in pieno con la tua valutazione!
trovo sia una lettura da riportare alla luce.
Cristina72
21 Mag, 2016
Ultimo aggiornamento:
21 Mag, 2016
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A me è sembrato troppo enfatico, a cominciare dal titolo, uno dei pochi della Deledda che non mi hanno convinto.
Che bella recensione !
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lapis
22 Mag, 2016
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Ciao Silvia. Ho raccolto il suggerimento che mi hai dato quando ho commentato Canne al Vento e per questo ti ringrazio di cuore.
E' una lettura di grande intensità, da non lasciarsi scappare.
La tua analisi di questo testo poi è davvero straordinaria :)
In risposta ad un precedente commento
lapis
22 Mag, 2016
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Ciao Cristina. Davvero? Io invece ho trovato più difficile entrare in sintonia con il lirismo di Canne al Vento. Non ho purtroppo altri termini di paragone, perchè è solo il secondo libro della Deledda che leggo ma tra i due ho preferito questo. Forse perchè oltre la miseria, la sofferenza, il dolore, si intravede una nota di speranza.
Grazie per il commento.
In risposta ad un precedente commento
lapis
22 Mag, 2016
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Grazie mille, Emilio.
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