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Dio mio!C’è un essere più infelice di me sulla ter
**Il testo contiene SPOILER**
Catania. 1854
Un epidemia di colera trascina con sé la città e Maria, giovane educanda, ritorna nella casa paterna in campagna presso il monte Illice per trovare riparo.
Affogata piacevolmente nel sogno bucolico Maria, per la prima volta, si bagna le labbra di libertà, assapora il sole e il canto degli uccelli, i picnic e le passeggiate nei campi sono affrontate con l’entusiasmo e la scoperta di un infante ma la malattia da cui fugge la insegue sotto diverse spoglie, quella dell’amore proibito.
Il romanzo epistolare si dispiega su una serie di scritti all’amica Marianna anche lei monaca ma segnata da un diverso destino. Il lettore non viene mai a conoscenza delle risposte di Marianna se non attraverso le sue parole alludendo ad una fusione fantastica tra le due figure. Maria si guarda allo specchio e vede Maria(nna), tutto ciò che desidera sta in quelle lettere di troppo nel nome, senza occhi la differenza l’acceca ma allo stesso tempo vi trova conforto.
Le prime pagine si aprono alla nuova vita della ragazza che passa le sue giornate con il cuore leggero e spensierato ritrovando l’adolescenza negata dall’arida vita monacale ma la pace è spezzata dall’incontro con Nino, il figlio maggiore dei vicini di casa ed unico suo approccio con l’altro sesso. Nino mostra un interesse tenero per Maria, la cerca quando non c’è, le offre il suo amore timido e la incita a ribellarsi al suo destino…Il passo più intenso del libro è quando Maria danza per la prima volta: “ ..quanto soffersi Marianna,..eppure..allorché egli mi prese per la mano..allorchè mi passò il braccio intorno alla vita mi sembrò che la sua mano ardesse,che mi bruciasse il sangue in tutte le vene che mi facesse scorrere un onda di gelo fino al cuore..ma allo stesso tempo parvemi che mi confortasse…”. L’eccitazione nata dal sentimento è assopita da costanti sensi di colpa che mettono in crisi la già vacillante vocazione spirituale: ”se sapessi Marianna, se sapessi il peccataccio che ho fatto mio Dio come avrò il coraggio di dirtelo, a te solo lo confesserò ma all’orecchio veh! non mi guardare in viso..abbracciami e ascolta..” Ascolta.
E’ esattamente nel momento di maggiore consapevolezza del sentimento che la realtà l’ investe con la sua mano gelida. Il colera è sparito, il convento l’aspetta e la clausura l’invita a sedersi sulle sue gambe stanche. Maria non trova la forza di alzarsi, di sollevarsi contro l’ingiustizia della sua condizione e piomba in uno stato di cupa infelicità..”Dio mio! C’è un essere più infelice di me sulla terra?..”
La cerimonia di iniziazione alla clausura frantuma ogni speranza, il taglio dei capelli rituale la relega per sempre in un luogo di emarginazione. Per uno scherzo beffardo Nino sceglierà la libertà nella donna e la donna nella vita stessa.
Da questo punto in poi del romanzo le parole di Maria diventano opprimenti, paranoiche, folli, sintomo di un dolore sempre più profondo.
Le lacrime di gioia che colano sulle prime lettere che scrive a Marianna si trasformano in veleno amaro che corrode tutto: la giovialità, l’energia, la dolcezza e infine l’anima che si spegne tra le mura grigie del convento.
Il romanzo, denuncia di una pratica diffusa nel XIX secolo è in realtà la storia intima di una adolescente. Verga non commuove quanto immedesima il lettore in questa piccola donna fragile e piena di vita. L'immagine della capinera impossibilitata a migrare è la realizzazione poetica dello stile di Verga, crudo e sensibile nel delineare personaggi all'interno di un contesto storico difficile ma allo stesso tempo attuale. Maria siamo noi.