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Una forte presa di coscienza
La guerra in questo libro è vista dalla prima linea di chi l’ha subita, di quelle persone che hanno dovuto nascondersi sotto terra per sopravvivere, non solo dagli uomini armati che erano al fronte.
La storia narrata in prima persona da Corrado, un insegnante che vive la guerra con distacco e disinteresse, quasi come se la tragedia fosse troppo grande per poter essere vissuta a pieno, troppo dolorosa per reagire, un uomo sostanzialmente solo che si costruisce uno schermo protettivo di indifferenza,
Il conflitto della gente comune, strappata dalle loro belle terre e gettate in una realtà talmente lontana dalla vita, da risultare alienante. Nascondersi, scappare, trovare un luogo sicuro dove cercare protezione, non ci sono scene cruente che facciano clamore, non si legge di dettagli strazianti, eppure la guerra ci entra dentro grazie alle sapienti parole di Pavese.
Questa storia di Pavese sembra essere scritta, almeno inizialmente, in maniera distaccata si ha la sensazione che tutto sia la normalità, le bombe sulla testa sembrano destinate ad altri, come quando si dice: “Tanto a noi non succederà”, si continua una vita, diversa, ma apparentemente normale.
Ad un certo punto una presa di coscienza, la normalità viene stravolta e quel desiderio di solitudine, quella sensazione di bastare a se stessi, di non aver bisogno di nessuno viene a mancare, la violenza disumana della guerra, che fino ad un certo punto annichilisce, ci scoppia in faccia e ci fa male.
Favoloso il finale, come una sorta di monologo, una sorta di viaggio verso se stessi a scalfire quella corazza di protezione che ha coperto la cruda realtà. Una visione completa della tragedia, una condanna e la consapevolezza che ogni morto in guerra sotto i bombardamenti, è una possibilità in più di sopravvivere. Sparisce l’indifferenza e appare un senso quasi di gratitudine verso la vita, e un rispetto estremo verso chi, con la propria vita, ha pagato il prezzo per la sopravvivenza degli altri.
Il protagonista si “sveglia” accorgendosi che i morti non sono semplici morti, ma sono l’unica ragione per la quale egli stesso è vivo.
Un libro molto bello e toccante, scritto con la maestria che solo i grandi possono permettersi, una storia che ci ricorda una delle tragedie a noi più vicine, e che spesso, con i nostri atteggiamenti tendiamo a voler dimenticare.
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Commenti
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Concordo con te, il messaggio che passa è fortissimo, e solo la grande arte è in grado di farcelo apprezzare al meglio.
Apprezzo molto Pavese ha uno stile originale, le sue storie, almeno quelle che ho letto io, partono in sordina, quasi leggere e spensierate, per poi mettere a segno la stoccata finale che colpisce dritto alle nostre coscienze.
Non usa stratagemmi per colpire, ma lo fa con l'immensa bellezza della sua scrittura.
Grazie
Saluti
Riccardo
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Mi è piaciuta molto la tua analisi.
Se pensiamo a quando è stato scritto, questo racconto deve esser costato una certa dose di coraggio : la morte che dà una dignità ad ognuno, anche a un nemico, colloca quest'opera ben oltre a 'un racconto della Resistenza'. C'è una riflessione, che pur partendo da un evento storico, sa divenire ben presto ' cosmica ' .Caratteristica della grande arte.