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Chimico o scrittore?
Primo Levi in questo romanzo - documento scrive in modo quasi freddo ed estremamente razionale il suo percorso all'interno del campo di concentramento, offrendo un quadro perfetto di quella che fu la sua vita all'interno di Auschwitz, senza mai cadere in lamentele e sensazioni, con una lucidità che onestamente mi ha quasi lasciata perplessa. Il racconto nonostante le atrocità ormai note a tutti non è mai stucchevole e il tono con cui Levi lo descrive non è mai drammatico. Levi scrive come se ci stesse raccontando una sua giornata normale. E' sicuramente questa lucidità mentale che accompagna il romanzo, la caratteristica principale di Levi, caratteristica che ho apprezzato molto.
Levi non condanna, raramente si lascia andare a giudizi e onestamente non vuole emozionare o coinvolgere il suo lettore. Gli offre semplicemente un resoconto. Memorabile il passo in cui viene menzionato "Il canto di Ulisse" e il modo e l'affanno con cui Leva cerca di tradurlo ad un suo compagno. Unica salvezza il linguaggio, il comunicare, il poter aggrapparsi alla parola. Nonostante Levi sia stato un autore importante e riconosciuto, credo che il fatto che fosse stato un chimico si possa notare in ogni pagina del libro, proprio per questa sua capacità di narrare senza voler emozionare, semplicemente per descrivere qualcosa, capacità che credo manchi a molti autori di formazione puramente letteraria.
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Commenti
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Ieri ho visitato a Torino una mostra su Levi e sulle sue attività (era anche 'scultore' : usava fili di ferro colorati).
@Emilio: concordo con te, io vorrei saperne di più su questo autore, mi incuriosisce molto, vedrò di documentarmi meglio (non sapevo fosse così creativo manualmente, ad esempio).
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