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I Malavoglia
 
I Malavoglia 2014-06-30 08:43:04 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    30 Giugno, 2014
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Una capricciosa e inaffidabile provvidenza

"Per menare il remo bisogna che le cinque dita s'aiutino l'un l'altra" andava ripetendo padron 'Ntoni, patriarca dei Malavoglia, per spiegare come la sua famiglia di pescatori siciliani, grazie alla coesione e al senso del dovere, avesse miracolosamente superato indenne le tante burrasche che nel corso degli anni si erano abbattute sulla casa del nespolo e sulla Provvidenza, la barca ammarata sotto il lavatoio. Tutti grandi lavoratori i Malavoglia, a dispetto dell'antitetico soprannome, ognuno pronto a fare la sua parte per il benessere comune. Ma le burrasche sono sempre in agguato e a volte è sufficiente che una soltanto delle dita allenti la presa perché la mano perda il controllo del remo. Così un episodio spiacevole darà il via a quella che per i nostri eroi sarà una inarrestabile discesa verticale. Comincia tutto con la decisione di padron 'Ntoni di intraprendere un affare consistente nella vendita di un carico di lupini presi a credito. L'intenzione è quella di migliorare il tenore di vita della famiglia ma l'iniziativa fallisce drammaticamente spalancando un baratro sotto i piedi dei protagonisti, quasi la provvidenza avesse deciso di voltare le spalle a chi ha cercato di migliorare la propria situazione, punendolo per la sua avidità e bramosia. La caduta dei Malavoglia è emblematica infatti di quello che è il concetto su cui si fonda l'opera di Giovanni Verga, cioè l'immutabilità della condizione umana. La vana lotta che l'uomo conduce contro il suo destino non può che portare al fallimento. Solo coloro che, come Alessi e Mena, accettano la propria situazione e si adattano a ciò che la vita riserva loro hanno la possibilità di salvarsi. Una concezione pessimistica che trasuda da ogni pagina, riga e parola di questo capolavoro del verismo italiano in cui l'autore mescola le sue virtù letterarie ad influenze dialettali che si notano sia nell'uso dei vocaboli che nella costruzione delle frasi. Siamo in una Sicilia ottocentesca ancora scettica per la recente unità d'Italia, dove il nascente vento di progresso si scontra con tradizioni e abitudini talmente radicate da sembrare incancellabili. La vita del piccolo centro di Trezza ruota tutta intorno al mare, alle vigne, alle chiuse, i pochi punti di riferimento sono la chiesa, la farmacia e l'osteria della Santuzza, le invidie, le malelingue, le rivalità accendono gli animi, le differenze tra chi ha tutto senza dover lavorare e chi si spezza la schiena per poco o per niente sembrano incolmabili. Pagine impregnate di sudore e di salsedine che trasmettono amarezza e disillusione e parlano di vite difficili e di uomini che, allora come oggi, si trovano costantemente in balìa di una capricciosa e inaffidabile provvidenza.

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Commenti

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Ho riletto da poco le novelle, una più deprimente dell'altra, anche se non mancano parti stilisticamente notevoli. Però Verga più di tanto non mi appassiona.
Mai più riletto dopo il liceo, ma ne ho un gran bel ricordo. La scuola non è riuscita farmelo odiare!
Bravissimo, Enrico, a riprendere un testo bellissimo della nostra letteratura, spesso relegato alle sole aule scolastiche.
In risposta ad un precedente commento
mariaangela
01 Luglio, 2014
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ciao Enrico, chissà perché Verga proprio non riesco neanche a considerare di poterlo leggere!
complimenti alla tua rece e per la scelta.
buone letture
mariangela
Verga l'ho sempre reputato molto triste, di quella tristezza ai massimi livelli, bel commento
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