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L'esclusione del nuovo
Antonio Pentagora, duro uomo siciliano indurito nel volto e nello spirito, accoglie in casa il figlio Rocco, che, dolorante, afferma di essere entrato a far parte anche lui del circolo familiare degli uomini “con il marchio dei cervi” dal momento che sua moglie Marta lo ha tradito e porta in sé, nel proprio ventre, il ricordo di quel peccato, essendo rimasta incinta di un brillante avvocato.
Il padre lo fa sedere e reagisce con quegli stessi toni aspri che contraddistinguono la sua personalità sostenendo che sua moglie, nonché madre di Rocco, si sia comportata così esattamente come sua nonna ed ancora la sua trisavola.
“Così fan tutte”: una semplice frase che racchiude la disillusione, ed al tempo stesso, l’amara profezia per la quale qualunque esponente del genere femminile si fosse rapportato alla famiglia Pentagora della terra di Girgenti si sarebbe macchiata di sicuro di tradimento.
Marta diventa, così, l’esclusa, la malafemmina che non ha saputo comportarsi da moglie degna del rispetto che la morale di inizi Novecento, nella profonda ed impervia terra siciliana, impone.
Ma per esclusa si intende qualcosa di più rispetto all’isolamento materiale che la protagonista ha dovuto affrontare.
Con questo termine un uomo vissuto in teatro, che si è occupato di filologia tedesca ed ha respirato il pensiero d’oltralpe, qual è Luigi Pirandello, sembra ravvisare la condizione della donna per un canto, e delle lettere, per l’altro, in un’Italia che ancora non riesce ad imporsi come realtà politica unita ed in cui le divisioni politiche, culturali e sociali si fanno fortemente sentire a poco più di mezzo secolo dall’unificazione.
Terminati i proclami della propaganda risorgimentale, si può parlare di una cultura italiana omogenea? Ed ancora, quale può essere il ruolo delle donne all’interno di questa rinnovata sceneggiatura politica in cui le nuove famiglie borghesi, di cui gli stessi Pentagora sono esponenti, cercano animosamente un posto al sole?
Personalmente ritengo che l’opera di Pirandello vada letta proprio nell’alveo della circolazione delle idee nel primo ventennio del XX secolo. La figura di Marta personifica, a mio avviso, quella delle donne ed, ancor più in generale, dei nuovi fermenti culturali che tentano di farsi strada in una realtà politica ancorata, seppur nel Novecento, ad idee reazionarie legate ad una società per ordini, incardinata ed immobile, propria dell’Ancien Règime.
Significativa è anche la scelta del nome della protagonista vittima dell’ossessione della gelosia del marito: Marta, come la Marte del Vangelo di Luca cui Gesù dice: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”. Come l’eroina biblica, la dolce Marta pirandelliana è una donna che si diletta a scrivere, cosa disdicevole per una donna del Sud, che, dunque, componendo lettere, si distoglie dal compiere “l’unica cosa di cui c’è bisogno”: fare la brava massaia. Accanto a questa donna, un’altra, Anna Veronica (anche qui, il nome tratto dalle Scritture Sacre è una peculiarità dell’autore), definita “cane giudeo”, che si avvicina a Marta perché colpita dalla sua stessa onta sociale.
Un libro che si legge con facilità e rapidità e nel quale convergono la capacità di Pirandello di costruire i personaggi avvalendosi di metafore prese dalla natura o da figure religiose e la sua chiarezza narrativa in grado di cogliere il punto focale di ogni questione senza dilungarsi in vagheggiamenti inutili e che distraggono il lettore.
Insomma: una lettura che consente tante interpretazioni: letterale, storica, femminista… e, proprio per questo, formidabile!
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complimenti Rosangela :-)