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I quaderni di Serafino Gubbio Operatore
La modernità del soggetto e dello stile rendono questo romanzo di Pirandello davvero degno di una lettura approfondita.
Come spesso accade con questo autore la complessità della lettura non si trova nel lessico o nella sintassi, ma nella grande quantità dei piani di lettura che si incatenano e si auto-alimentano in un susseguirsi di significati che non si mettono a fuoco subito.
Sul piano sociologico si va a criticare la tecnologia, l'uso delle macchine e il loro volersi sostituire all'uomo.
Il protagonista Serafino Gubbio è un operatore cinematografico, in parole più prosaiche una mano prestata al cinema, infatti il suo ruolo è quello di girare una manopola.
Fin dalle prime pagine del suo diario, in cui annota tutto in modo molto preciso, si percepisce la sua natura solitaria, ma profonda; le sue riflessioni pagina dopo pagina si fanno più concrete e i suoi ragionamenti logici e condivisibili.
La caratterizzazione di Serafino raggiunge quasi la perfezione, è descritto in tutte le sue componenti, la sua personalità è sezionata, ogni sfaccettatura analizzata e illuminata; un attore non dovrebbe avere difficoltà ad impersonarlo; forse è questa la caratteristica del romanzo che più risalta all'occhio: la sensazione di star assistendo ad una rappresentazione, in una sorta di meta-romanzo, un “Effetto notte” ante-litteram, che schiaccia e offusca lo stile con cui è scritto.
Siamo nel 1916, in un periodo di fermento culturale, un fermento che forse non si ripeterà più, di sicuro fino ai nostri giorni, che alimenta in modo inarrestabile la sperimentazione in nome di un futuro che innova e che migliora la vita dell'uomo; Pirandello si trova in uno strano equilibrio, con uno stile innovativo, fresco e vivace critica la modernità.
Se vista in quest'ottica, non subito chiara, ogni pagina, ognuno dei tanti avvenimenti che si susseguono, assume una luce diversa e si fa foriero del pensiero dell'autore.
Come per il ben più famoso “Il fu Mattia Pascal” anche in questo caso il tema del doppio presente in ogni uomo è ben affrontato e sempre in chiave fatalista, nessuno, in nessun caso fugge dal proprio destino.
Il piano più semplice, quello narrativo, è affrontato in modo divertente e le scene comiche regalano più di un sorriso, il surreale si fa strada, ma dietro, nascosta tra le parole e c'è una vena di malinconia, di rassegnazione alla natura umana, che non può essere migliore.
Da sottolineare e segnalare, il rapporto con la tigre, protagonista suo malgrado del film che la troup sta girando, molto più umano e profondo rispetto a quello che il protagonista instaura con qualunque umano rappresentato ed è nelle descrizioni dell'animale che si comprende la vera natura di Serafino, quella “mano” che ha un corpo e soprattutto un'anima sulla quale gli avvenimenti lasciano un segno, che non sa svestirsi dei suoi abiti, che nella coerenza soffre spesso e gioisce a volte, ma quasi mai comprende gli altri.
Pirandello sperimenta e porta la letteratura italiana su un piano diverso da quello fino allora conosciuto, esaspera il verismo interiorizzandolo, descrivendo la vera natura dell'uomo, ma per fare questo deve abbandonare la prosa perfetta, i virtuosismi stilistici, il lessico ricercato e aulico, in fondo anche questo è un sacrificio da fare per il progresso.
Lettura consigliata che aggiunge un altro tassello nella comprensione di un secolo che non sarà mai abbastanza studiato e analizzato in ogni sua componente.
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Per quanto riconosca l'indiscutibile valore di Pirandello, continuo a preferire di gran lunga D'annunzio, almeno come romanziere!
Spero di meritare sempre la tua stima.
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