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La solitudine di un aristocratico
Il romanzo è stato pubblicato a metà anni '50, in piena crisi del Neorealismo. La sua diversità ha fatto discutere, ma i più l'hanno accolto come un capolavoro, anche se non facilmente collocabile nelle tendenze letterarie del tempo.
Esso è ambientato in Sicilia nel periodo, almeno per la prima parte, dello sbarco di Garibaldi. Protagonista è il Principe di Salina, Don Fabrizio, campione di aristocraticità. Il Gattopardo è il suo emblema.
Egli vive nella sontuosità del suo rango, ma è consapevole del declino di casta, anche economico: per mantenere i fasti di famiglia, deve vendere possedimenti, comprati dalla nuova borghesia rampante (L'autore coglie bene le dinamiche sociali dell'epoca).
Il personaggio comprende, inoltre, che pure il momento storico-politico non è propizio all'aristocrazia, di cui si considera esponente 'di razza'. Frequenta, sì, gli ambienti della nobiltà siciliana, ma con un'estraneità che ne fa un'eccezione: fra la vecchia generazione, pare essere l'unico dotato di consapevolezza storica, e la sua passione per l'astronomia tende a rendere più acuto il tormento esistenziale del tempo che scorre e trascina con sé il vano e l'effimero delle cose di questo mondo. Ne rimane attonito, sgomento e vulnerabile, pur nella maestosità della persona e nelle esteriorità richieste dal casato.
Vede nel giovane nipote Tancredi colui che è al passo coi tempi, che ha capito che è il momento di 'cambiare perché nulla cambi', che si avvicina ai Garibaldini affinché la nobiltà non venga spazzata via, anzi conduca la Storia nei propri interessi.
Le sue simpatie per questo giovanotto non ricco lo portano ad accogliere favorevolmente il fidanzamento con Angelica, figlia di un facoltoso possidente un po' rozzo, un nuovo ricco. La ragazza è stata educata in un prestigioso collegio, pertanto viene considerata accettabile sia nella forma, sia sopratutto nella 'sostanza'. Questo amore è poco più di un'infatuazione, ma al momento tanto basta.
La solitudine del Principe non deriva certo solamente dalla consapevolezza della decadenza di classe e dalla pura formalità dei rapporti coi suoi pari; in lui, come abbiamo visto, ardono le inquietudini esistenziali, il pensiero della morte che non arretra di fronte a stemmi e privilegi.
In questo può essere paragonato all'Innominato del romanzo manzoniano. Ma lui non trova l'abbraccio di un Cardinale Borromeo.
Quando, nella malattia, lo condurranno al consulto di medici illustri, la morte gli apparirà, quasi a non smentire il suo temperamento galante, nelle vesti di un'elegante signora di "maliosa avvenenza": "era lei. la creatura bramata da sempre, che veniva a prenderlo".
A quali travestimenti siamo capaci di sottoporre Colei che recide il filo della vita!
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