Dettagli Recensione
Giovanni Episcopo
Dopo aver conosciuto il D'Annunzio de “Il Piacere”, l'approccio alla lettura del romanzo breve “Giovanni Episcopo” è alquanto destabilizzante e curioso.
Si tratta di un romanzo che ha stimolato fiumi di analisi e commenti critici a causa della vicinanza contenutistica e stilistica con lavori di autori del calibro di Dostoevskij.
Ebbene per chi conoscesse lo splendido protagonista de “Memorie del sottosuolo”, ritroverà tra le pagine dannunziane molti punti di contatto, riaffioreranno ricordi precisi di quella lettura.
Se costituisce dato certo che il Giovanni Episcopo sia figlio del desiderio di D'Annunzio di sperimentare nuove strade, trascinato dal profumo letterario di un filone poderoso come quello della letteratura russa e non solo, è altrettanto certo il valore di questo romanzo ed il buon lavoro di caratterizzazione del personaggio.
Giovanni Episcopo vuole essere un lavoro letterario di introspezione psicologica, un viaggio nel cuore e nella mente di un uomo.
Cade la raffinatezza stilistica cui D'Annunzio ci ha abituato altrove, cade la grazia, il vezzo linguistico e la liricità.
Gli strumenti linguistici utilizzati su questo terreno sono meno dolci e rigogliosi, ma diretti ed incisivi perché questo la narrazione richiede.
Cade il dolce flusso narrativo della penna dell'autore per lasciare spazio al monologo-confessione del protagonista; una voce che parte da un cuore sprofondato agli inferi, una voce violentata dalle avversità della vita, una voce piegata dalla sofferenza.
Nell'arco di poche pagine è presto delineato Giovanni Episcopo, un uomo che non vive la vita ma viene vissuto da essa; incapace di prese di posizione, di slanci intellettivi e materiali.
Uomo grigio e logorato, figlio della società che lo ha partorito e che lo accoglie.
Abbandonati gli sfarzi ed il luccichio dell'aristocrazia romana, D'Annunzio ci prende per mano e ci porta ad esplorare altri strati sociali, popolati da intemperanze, prepotenze, immoralità, lascivia.
Un mondo che vive nelle taverne fumose, nei vicoli angusti, in modeste abitazioni claustrofobiche; uno spaccato di umanità che deve lavorare per vivere, che non frequenta teatri e salotti.
Le atmosfere che attraversano il romanzo sono perfettamente costruite, tanto da creare un' aria rarefatta difficile da respirare, un clima uggioso, un sole spento sia nei cuori sia sull'orizzonte di Roma.
Un lavoro dal sapore sperimentale, per mettere alla prova la penna sul fronte psicologico, dove l'espressività estetica cede il passo al rigore della voce della coscienza, ad un flusso di immagini e sentimenti spogliati da belletti e cipria.
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Anche io non avevo ottimi ricordi, ma grazie a questo lavoro di rilettura e riscoperta di autori classici, ci si trova anche a rivalutare certi autori, a rileggerli con uno spirito ed un bagaglio differente.
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Per mia ignoranza non conoscevo questo libro che, a quanto dici, pare essere diverso per stile a quelli tipici dannunziani.
Sarà una mia prossima lettura