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Il trionfo della morte
Un cunicolo buio, violentato dalla luce di feritoie aperte sul mondo, stretto e umido, si lancia sulla vergine di Norimberga, aperta, sensuale pronta a svolgere il suo compito atroce e catartico.
Il percorso è obbligato, la fine certa e la resa impossibile.
Questa la sensazione che il lettore prova durante la lettura.
“Il trionfo della morte” non è solo un romanzo, è un' esperienza quasi mistica, per ciò che trasmette, per il suo trascendere il contenuto spaziando campi dello scibile così lontani da non capirne, nell'immediato, i collegamenti.
Un testo difficile, forse il più complesso di D'annunzio, ricco di descrizioni, di passaggi lessicali complessi e di contenuti difficili e a tratti indecifrabili, che svela in modo violento l'ignoranza del lettore, che non può non deporre le armi di fronte a tanta cultura concentrata in esso.
Fin dal titolo il tema della morte imprime la sua impronta per avvolgere le pagine di un tetro presentimento, di un'innata certezza.
C'è tutto D'annunzio in questo romanzo, tutto quello che ne rappresenta l'essenza, quella fragilità che contrasta con la sua volontà, quell'animo delicato ed esteta che contrasta con la personalità forte e determinata della vita pubblica, quell'amore per Wagner e Nietzsche che creano in lui la celebrazione del superuomo che non può trovare se non nella morte la sua ragione di vita, ma trascina con sé colei che della vita è stata la scintilla, che grazie a lui ha conosciuto la felicità e il piacere e che troverà nella grande consolatrice la sua nemesi.
Se il tema centrale è quello della morte, il cunicolo che vi ci conduce è il mal di vivere, un'oppressione che attanaglia il protagonista, lasciandogli guardare dalle feritoie e quel che vede non sempre è consolatorio.
Da un punto di vista stilistico è una sinfonia di suoni che se letta dimenticando il significato delle parole genera il fruscio del vento o l'infrangersi delle onde sugli scogli oppure il lamentio perpetuo di mendicanti deformi che promettono grazie dalla Madonna.
Il protagonista compie un viaggio interiore per trovare la sua origine, le sue radici, ma ciò che vede non gli appartiene, non lo riconosce come proprio; il mondo intorno non lo sfiora, i suoi problemi non esistono, esiste egli solo, ed egli solo conta: la sua famiglia, i luoghi che lo hanno visto crescere e infine anche la sua amata non sono che visioni lontane che portano una flebile luce nella sua esistenza, del tutto insufficiente a mitigare il bisogno di epicità che invade e pervade ogni attimo della sua vita; unico antidoto la sensualità, il piacere, le corde che la sua donna fa vibrare: la casta e pura Ippolita in un soffio, plasmata da Giorgio, diviene voluttuosa e foriera di tutti i piaceri.
Ippolita è un'anima semplice, che vuol solo amare che poco comprende della complicata personalità del suo amato, per lo più lo asseconda, ma il personaggio è così ben caratterizzato da aver un ruolo centrale nella vicenda, da rendersi punto di riferimento su cui gira la follia di Giorgio che di pagina in pagina diviene più concreta, fino a che il contrasto con la compagna diviene così forte da sovvertire i piani su cui poggiano il bene e il male, catapultando con violenza il lettore in una dimensione, come fu per “L'innocente”, al di là di essi.
Il protagonista è scandagliato in tutti i meandri della sua personalità, si imparano a capire i suoi pensieri, le sue fobie, il suo bisogno di andare oltre l'umana sostanza per invadere il territorio del divino, infrangere il muro della cose terrene per elevarsi al di sopra incarnando quell'ideale di Superuomo che non potrai mai raggiungere se non appunto nella morte.
Nella morte, però, risiede la minaccia della sostituzione, la disintegrazione del suo essere indispensabile e così quel viaggio nell'oblio deve essere totale e catartico di tutta la sua vita.
Pieno di simbolismi, laici e religiosi, blasfemi e cattolici, con personaggi secondari che nella loro semplicità restituiscono la speranza nel lettore, forse echi di verismo sporcano questo inno all'estetismo, che ritrova, come già fu per Verga, la vita e il futuro negli umili che senza troppi voli pindarici ed elucubrazioni mentali vivono e si riproducono, mentre il Superuomo non può trovare che nella morte il proprio scopo e la fine di una sterile esistenza.
Pietra miliare della letteratura italiana,, le descrizioni riportate sono necessarie, oltre che coinvolgenti, i temi trattati profondi e importanti.
Ci si chiede spesso se D'Annunzio sia solo esercizio di stile senza contenuti; penso che la ricerca di un io interiore, con l'onestà intellettuale che gli deve essere riconosciuta, sia un innegabile contributo a tutti i romanzi successivi che hanno come tema centrale l'introspezione.
L'essenza di D'Annunzio si fa arte ed eleva colui che legge in un mondo che esisteva, forse quello sì, solo nella sua mente.
Indicazioni utili
Commenti
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Da un punto di vista stilistico, "L'Innocente" è molto più semplice e lineare, la scelta i raccontare tutto come un memoriale e in analessi rende tutto molto più semplice, anche per chi non ha le basi per affrontare un lessico più ricco e una sintassi più elaborata. La trama è coinvolgente e c'è un notevole climax.
Ne "Il trionfo della morte" vengono analizzati tanti aspetti della contemporaneità di D'Annunzio e questo si riflette un insieme di immagini forti e disturbanti che catapultano il lettore in una realtà davvero difficile da sopportare.
Senza dubbio ci sono molti più spunti filosofici, ma la lettura è ancora agevole anche se più impegnantiva.
Ne "Il fuoco" si raggiungono punte ancora più "barocche" e la lettura si fa più pesante.
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sbaglio o in questo ci sono più spunti filosofici?