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Il primo dei gattopardi
Quando la matriarca della nobile famiglia degli Uzeda, Viceré di Sicilia sin dai tempi dei re spagnoli, muore, le sue ultime volontà innescano una faida interna alla sua diretta discendenza e ai suoi collaterali. La caparbia e ottusa volontà di Giacomo di preservare i diritti di primogenitura e il titolo di principe porta allo scoperto non solo i rancori, ma anche le tare di una stirpe che da troppo tempo pratica l’endogamia: Chiara, nella sue isterica ricerca di una maternità negata, partorisce mostri; Lucrezia si inacidisce nell’odio per un marito sposato per pura ripicca; Ferdinando esprime la sua alienazione in bizzarri esperimenti agrari; Raimondo esercita le sue doti di seduttore seriale, marito infedele e padre senza amore. Nel frattempo il mondo intorno sta cambiando, o così sembra: la rivoluzione attraversa la Sicilia all’arrivo di Garibaldi, ai re spagnoli subentrano quelli piemontesi; ma gli Uzeda continuano a rappresentare la “razza padrona”.
«Un tempo la potenza della nostra famiglia veniva dai Re; ora viene dal popolo … La differenza è più di nome che di fatto»: così Consalvo, ultimo e rampante virgulto degli Uzeda ed eroe negativo del romanzo, autocrate vecchio stampo dal volto liberale e dalle smodate ambizioni, giustifica “gattopardescamente” il suo attivismo politico al capezzale della vecchia zia borbonica. E conclude, facendosi portavoce dell’autore e della sua amara visione del mondo, che è proprio sull’opportunismo e sulla mancanza di scrupoli che galleggiano i potenti, oggi come ieri e come sempre: «No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa».
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