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L'innocente
Bello da togliere il fiato, perfetto in ogni sua sfumatura, l'amore che D'annunzio aveva per Wagner si palesa in questo suo romanzo che appare come il compendio di un'epoca; tutte le pagine sono imbevute di quell'epicità che caratterizzò la fine del XIX e l'inizio del XX, molti sono i piani di lettura che si prestano alla comprensione totale dell'opera che come una sinfonia penetra nelle corde più profonde dell'animo, lasciando interdetto il lettore, incapace di giudicare, incapace di condannare colui che è colpevole, senza alcun dubbio, senza alcuna possibilità di riscatto.
E' sul piano narrativo che si gioca la partita più importante, il coraggio di affrontare argomenti pesanti, come la colpa, il perdono, l'espiazione, ma anche più pragmatici come l'adulterio e l'aborto. D'Annunzio affronta tutto questo scegliendo come forma narrativa la prima persona, una confessione che procede in analessi, così il lettore conosce i pensieri che attanagliano il protagonista, ma allo stesso tempo creando un'empatia con esso, perché il racconto è sincero e il dolore e lo sgomento reale.
Un omicidio è quello che viene confessato e il percorso che porta ad esso, i fatti e i pensieri che lo precedono, in un climax che attanaglia il lettore, che porta all'inevitabile finale che già conosce, ma non per questo meno straziante, meno incomprensibile.
Nonostante tutta la vicenda sia chiara fin dalla prima pagina, anzi fin dal prologo, la tensione rimane elevata per tutta la narrazione e la sua conclusione non può che essere accolta come una liberazione. L'artificio con cui l'omicidio si compie può ad una prima lettura apparire forzato, ma se letto nell'insieme appare invece ben calibrato e inserito ad arte in un contesto perfetto, infatti il fato si piega al superuomo che nonostante tutto può plasmare gli eventi a proprio piacimento con la sua sola forza di volontà. Tutto il romanzo è intriso di questa sensazione, della consapevolezza del protagonista di poter plasmare il destino che gli si è voltato contro, ma egli potrà renderlo suo servo e far si che gli eventi giochino a suo favore. E' chiaro il riferimento alle tematiche tanto care a D'annunzio e gli echi di Nitzsche rimbombano per tutto il romanzo rendendo quasi soprannaturale e quindi lecite, “Al di là del bene e del male”, le azioni e i pensieri disumani di Tullio.
Tutti i punti di riferimento sono sovvertiti, ciò che appare, nella normalità, dolce e tenero foriero di buone sensazioni, si rende qui orrendo e cattivo perché personificazione innocente della colpa, dell'orgoglio ferito e per questo non degno della vita.
La neonata psicanalisi fa il suo ingresso in questo romanzo che attinge a piene mani da essa, riuscendo a delineare con pochi tratti ogni personaggio secondario, ognuna delle tante comparse è ben caratterizzata, sempre attraverso le azioni e mai attraverso i pensieri o le considerazioni di Tullio; solo Tullio e la moglie Giuliana necessitano di giustificazioni per non apparire dei mostri, per non far nascere nel lettore quel disgusto che sarebbe ovvi, ma che non si riesce proprio a provare.
Tutte queste tematiche sono poi portate sulla carta con una tale soavità, ricchezza di vocaboli attraverso accostamenti sonori che sfiorano, senza però toccarla la poesia, quasi che una parola fosse legata all'altra da un legame indissolubile e perciò impossibile appare l'interruzione.
La sensazione che ha il lettore è di galleggiare sospeso a mezz'aria tra il bene e il male, in quelle stanze ricche, in cui la perfezione mostrata è pari solo alla decadenza degli animo, alla deriva della coscienza e la musicalità delle parole che si susseguono, dolci ed evocative, rassicuranti ma piene di pathos non possono che creare quello stato di tensione che pervade il lettore fono alla conclusione senza possibilità di scegliere, si condanna, perché si deve, ma non c'è modo di non provare pietà per quella mano che non ha potuto vincere il suo essere superuomo, non ha potuto non vendicare il proprio orgoglio ferito, foss'anche macchiandosi di una colpa che resterà indelebile nella propria coscienza, ma permetterà di continuare a vivere.
Un romanzo che contiene in sé tutte le caratteristiche del capolavoro, sotto il punto di vista stilistico perfetto e sotto quello del contenuto profondo, non solo in considerazione dell'epoca in cui è stato scritto.
Ne consiglio la lettura per non perdere un gioiello della nostra letteratura, che forse può aiutare a capire il confine tra letteratura e intrattenimento letterario; questa storia trascende se stessa, obbligando a riflettere su stessi e sulle proprie convinzioni.
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Non gli ho dato il punteggio pieno perché nonostante tutto continuo a pensare che il capolavoro di D'annunzio, per quanto riguarda i romanzi, sia "Il trionfo della morte".
Un grandissimo autore della nostra letteratura, senza ombra di dubbio, anche perché affronta dei temi davvero interessanti e pone il lettore di fronte a dei dubbi esistenziali non indifferenti.
un autore da leggere e rileggere con un pizzico di maturità sulle spalle, riesce a trasmettere tanto con le sue opere ancora oggi.
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