Dettagli Recensione

 
Storia della colonna infame
 
Storia della colonna infame 2013-10-23 16:45:03 Renzo Montagnoli
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    23 Ottobre, 2013
Top 10 opinionisti  -   Guarda tutte le mie opinioni

L’infamia non dei condannati, ma dei giudici

Nel corso del lavoro preparatorio dei Promessi sposi, consistente nella ricerca di documentazioni sui fatti dell’epoca in cui si svolge la vicenda di Renzo e Lucia, Alessandro Manzoni s’imbatté in incartamenti che parlavano di un processo intentato nel 1630 nei confronti di due uomini accusati di propagare la peste che allora infieriva nel milanese e nelle contrade limitrofe. Al riguardo ricordo che, nella sua celeberrima opera, alla diffusione del morbo e alle sue tragiche conseguenze sono dedicate pagine fra le più belle. Questo procedimento giudiziario in origine avrebbe dovuto essere parte integrante dei Promessi sposi, per la precisione in quella parte del libro appunto dedicata alla peste, ma la sua caratteristica di digressione, non disgiunta dalla non trascurabile lunghezza, indusse l’autore a non includerla nel romanzo, sia per evitare uno squilibrio, sia nel timore di disorientare i lettori. E fu così perciò che questo saggio storico ebbe una destinazione autonoma, cioè come di lavoro destinato a una pubblicazione a sé stante, anche se, abbastanza di frequente, capita che gli editori la propongano al termine dei Promessi sposi, in un unico volume.
In Storia della colonna infame Manzoni scrive appunto di questo processo, avvenuto a Milano nel 1630, contro Guglielmo Piazza, commissario di sanità, e Gian Giacomo Mora, barbiere, accusati da Caterina Rosa, definita dallo stesso autore “donnicciola” del popolo, di aver provocato il morbo e la sua diffusione con strane misteriose sostanze con le quali venivano unti i muri e le porte delle case, e da qui il termine di “untori” attribuito ai due disgraziati. Sottoposti a torture, confessarono benché innocenti, e furono condannati alla pena capitale, preceduta da altre crudeltà che solo a pensarci fanno rabbrividire. Fra le pene accessorie ci fu anche la distruzione della casa del barbiere, sulle cui rovine, a perpetuo monito, venne eretta una colonna, chiamata “colonna infame”, che nel 1778 fu abbattuta, a parziale riabilitazione dei condannati, stante che eventualmente l’infamia avrebbe dovuto essere attribuita a chi li giudicò.
La vicenda, in sé interessante, non sarebbe tuttavia meritevole di particolare attenzione se non si guardasse al punto di vista del Manzoni, al suo grande senso di pietà, ma anche alla sua disamina di carattere morale. Vero è che erano tempi difficili, che il morbo si propagava incontrollato, che l’ignoranza del popolo creava e costruiva superstizioni, ma chi aveva istruzione non avrebbe dovuto credere che la peste fosse una creazione di due uomini, volta, non si sa per quale motivo, ad annientare la popolazione. Com’è possibile che i giudici prestassero fede alla linguaccia di una donnicciola, avviando un’indagine che con i primi arresti indusse il popolo a credere che potessero esistere gli untori, in una frenesia collettiva che reclamava sangue per riparare ad altro sangue versato?
L’analisi che del fatto fa Manzoni è sì storica, ma anche giuridica, psicologica, sociologica e politica. In questi giudici non solo è assente la pietà, ma manca anche il buonsenso; inoltre, al servizio dei potenti, incapaci di arginare il morbo, nel timore di una ribellione cercarono di trovare il cosiddetto capro espiatorio in due poveri innocenti. Fuori da ogni logica inventarono un processo, diedero in pasto a gente esasperata i presunti autori delle loro disgrazie, senza un minimo di coscienza, tesi solo a soddisfare il ventre molle di un popolo inferocito. Dopo l’esecuzione della sentenza la peste continuò a divampare e nessuno pensò che in fondo non c’erano più gli untori, ma intanto la tensione che prima cresceva ogni giorno era sbollita nelle urla strazianti dei condannati torturati sulla pubblica piazza. Quei giudici sapevano quello che facevano, sapevano cosa dare al popolo affinché si placasse, quel che non sapevano è che l’infamia non era dei condannati, ma solo loro.
Il libro è veramente stupendo e credo che sarebbe opportuno che fosse oggetto di studio nelle scuole; non aggiungo altro, se non il consiglio di leggerlo.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
160
Segnala questa recensione ad un moderatore

Commenti

Per inserire la tua opinione devi essere registrato.

Le recensioni delle più recenti novità editoriali

Intermezzo
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
La vita a volte capita
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il dio dei boschi
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il sistema Vivacchia
Valutazione Utenti
 
4.5 (1)
Il passato è un morto senza cadavere
Valutazione Utenti
 
4.3 (2)
La mano dell'orologiaio
Valutazione Utenti
 
4.3 (1)
L'ora blu
Valutazione Utenti
 
4.5 (1)
Malempin
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Morte in Alabama
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
La città e le sue mura incerte
Valutazione Utenti
 
3.0 (1)
Per sempre
Valutazione Utenti
 
3.3 (1)
Lo spirito bambino
Valutazione Utenti
 
3.0 (1)

Altri contenuti interessanti su QLibri

Il garofano rosso
Vita
La ballerina
Eleonora d'Arborea
Satiricon
L'illusione
L'uomo è forte
La bella di Cabras
Il marchese di Roccaverdina
Una giornata
Una vita
Suor Giovanna della Croce
Dopo il divorzio
Il podere
Con gli occhi chiusi
Geografia. L'Italia