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Mastro don Gesualdo
 
Mastro don Gesualdo 2013-10-15 15:27:59 silvia t
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
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Piacevolezza 
 
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silvia t Opinione inserita da silvia t    15 Ottobre, 2013
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Mastro Don Gesualdo

Dagherrotipi e immagini ambrate affollano la mente quand'essa corre a Vizzini, quando gli occhi scorrono le pagine di Mastro Don Gesualdo; quel piccolo libro che si porta addosso colpe che non ha, imposizioni liceali, furti di caldi e spensierati pomeriggi estivi; nel ricordo, quel piccolo libro ha un peso specifico immenso, simile al piombo, ma uguale al platino e come questo dopo anni il suo valore appare aumentato, la sua prosa perfetta, il piacere penetrante e indelebile.
Ciò che accompagna il lettore per tutto il tempo è un rumore di fondo che pervade l'aria, colori, suoni e immagini si compongono; la Sicilia si confessa, mette a nudo tutta la sua vivacità, tutte le sue contraddizioni.
Infiniti i piani di lettura e gli spunti di riflessione che si posso fare sul contenuto di quest'opera, ma ciò che colpisce in modo violento è la freschezza dello stile che non ha risentito per niente dello scorrere del tempo.
Il lessico è sempre coerente coi personaggi, così come il registro, più aulico nei palazzi nobiliari, più volgare e rozzo tra i contadini dimostrando quanto Verga riesca a interpretare i vari personaggi quanto conosca l'attualità del suo tempo e come riesca ad analizzarla.
Verga era un teoreta della letteratura e Mastro Don Gesualdo fa parte di un progetto molto ambizioso che non verrà mai alla luce in tutto il suo splendore, ma che racchiude in sé tutto il potenziale inespresso, tassello di un mosaico ambizioso.
Come in un teatro, quando si spengono le luci e lo spettacolo sta per iniziare, i riflettori illuminano la scena, così Verga squarcia il buio con la descrizione del fuoco in casa Trao, che distrugge e scopre una nobiltà decaduta, una morale ormai corrotta, una verità scomoda, ma figlia del suo tempo e destinata ad invadere e modificare i millenari equilibri di una terra abituata ai suoi ritmi e non ancora pronta a sovvertire la sua struttura.
Fin dalle prime pagine i protagonisti vengono caratterizzati e presentati in tutti i loro tratti essenziali, con poche pennellate si evidenziano i lati che fondano la loro personalità e i comportamenti che ne seguiranno saranno solo la normale conseguenza di essi.
Mastro Don Gesulado e Bianca Trao non sono che i paradigmi di un'Italia che inizia a cambiare, evolvere nel caso dell'uomo, scomparire nel caso della donna; il volgo che prende potenza, la nobiltà che la perde; ma non è solo una sorta di cronaca giornalistica di un'epoca, è la prima rappresentazione di un benessere che inizia a crescere, di una presa di coscienza del proprio valore da parte dei contadini, ma anche uno svelare la meschinità degli animi, il ricacciare i pochi buoni sentimenti in fondo al cuore, in nome della “roba” o in modo più eterogeneo del possesso.
La “roba” si fa succedaneo degli affetti, ogni zolla di terra diviene un figlio, la prole, legittima o meno, mezzo di riscatto sociale o vergogna da tenere nascosta, di cui disinteressarsi; la “roba” è consolazione, rifugio sicuro dove riposare, preoccupazione per il suo futuro, per la sua felicità.
La “roba” diviene personaggio, quasi in carne ed ossa, c'è più fedeltà da parte di essa che di qualunque altro, continua a dare i suoi frutti, restituisce la fatica attraverso rigogliose fioriture, solo Diodata, serva del padrone, orfanella, madre dei suoi due figli ha le stesse caratteristiche, è stata presa in carico dal padrone e ad esso sarà sempre fedele, sempre riconoscente, unico personaggio davvero positivo di tutto il romanzo.
Ciò che anche dopo tanti anni questo romanzo regala è un'emozione incredibile, un'empatia così profonda per quella vita fatta di stenti, ma di soddisfazioni, di quella nascente voglia di riscatto che porta però a contaminare la propria essenza generando qualcosa di irriconoscibile e per questo non gestibile e foriero di infelicità e di ingratitudine.
Un libro questo che non può mancare nel bagaglio culturale di nessuno, per molti motivi, non per ultimo la descrizione delle radici in cui affonda la nostra società moderna, ma soprattutto perché è scritto bene, le parole si fanno arabeschi che formano immagini dolci e grevi insieme, volteggi semantici che fanno vibrare le corde dei sentimenti e lasciano una dolce musica echeggiare nei meandri della mente dove, forse, gettano un piccolo seme che si spera un giorno fiorirà, generando la passione per i classici della nostra bellissima lingua.

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Commenti

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Non amo molto Verga, gli manca quell'ironia che fa grande Pirandello. Ma chissà, forse lo rileggerò.
In risposta ad un precedente commento
silvia t
15 Ottobre, 2013
Ultimo aggiornamento:
15 Ottobre, 2013
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Io al liceo lo odiavo :-), come tutti del resto, poi in seguito alla meditazione personale sulla deriva del romanzo contemporaneo ho deciso di leggermi la "Storia della letteratura italiana del De Sanctis" e poi di ristudiare il contesto storico della fine dell'ottocento partendo appunto da Verga, dando per assodato che Manzoni debba essere il punto di partenza. Così ho capito finalmente Verga e quello che trasmette.

Tra l'altro molto più maturo rispetto a I malavoglia, la cui rilettura sto portando a termine in questi giorni.
Sempre più tecnica ! Mi spaventi , bellissima analisi!
In risposta ad un precedente commento
silvia t
15 Ottobre, 2013
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:-)
Grazie! Se vai nel box e clicchi su "approfondimenti su Giovanni Verga" ho fatto, insieme a Silvia, un'introduzione al periodo che va dal 1870 al 1900 dove si colloca il verismo...l'idea è quella di introdurre i maggiori esponenti dei vari periodi storici a scadenze periodiche....
Sullo stile dolce e greve sono comunque d'accordo. All'aeroporo di Palermo è riportato a grandi lettere un brano della novella "Jeli il pastore", con tanto di traduzione in inglese. Ed è sempre come un benvenuto o un bentornato da parte dello scrittore :-)
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