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La salute sta nella consapevolezza della malattia
“La legge naturale non dà il diritto alla felicità, ma anzi prescrive la miseria e il dolore. Quando viene esposto il commestibile, vi accorrono da tutte le parti i parassiti e,se mancano, s'affrettano di nascere. Presto la preda basta appena e subito dopo non basta più perché la natura non fa calcoli, ma esperienze. Quando non basta più, ecco che i consumatori devono diminuire a forza di morte preceduta dal dolore e così l'equilibrio, per un istante, venne ristabilito. Perché lagnarsi? Eppure tutti si lagnano.[...] Perché non muoiono e non vivono tacendo?. […] L'unico grido ammissibile è quello del trionfatore”. Stiamo parlando della più antica legge che ha retto la terra dalla comparsa dei primi microrganismi viventi: la legge del più forte, la legge della sopravvivenza. Per millenni si è riuscito a creare sotto l'egida di questo paradigma una sorta di armonia, dovuta al fatto che gli esseri viventi per evitare di finire nella classe dei deboli destinati alla soppressione siano “naturalmente” progrediti con l'evoluzione del proprio organismo. Tale equilibrio planetario è rimasto intatto finché non ha fatto la sua comparsa un bipede originario dalle scimmie, furbo, maligno ed estremamente tracotante. Costui, mediante l' ingegno, è riuscito a prendere il potere stravolgendo tuttavia il sistema precedente. Con l'andare avanti di questa usurpazione che ha definito progresso, bramando di poter prevaricare sulla natura stessa, l'uomo ha cominciato a inventare terribili ordigni, degli orripilanti veleni i quali ha chiamato farmaci. Così l'essere umano ha creduto di poter supplire ai mali che lo dilaniavano, per aver soppresso l'ordine primordiale. Ma tali mali che furono chiamati malattie sono rimasti e sempre rimarranno finché l'umanità non si renderà conto come “la vita è sempre mortale, non sopporta cure”. Insomma come l'unica via per la salvezza, per la salute è la consapevolezza della malattia. Questa la grande conclusione a cui arrivò nel suo La coscienza di Zeno (1923) un piccolo scrittore triestino che lavorava in una impresa commerciale. Si chiamava Aron Hector Schmitz ma noi oggi lo conosciamo meglio come Italo Svevo (1867-1928).
Zeno Cosini è un vero e proprio nomen omen. Infatti queste due brevi parole ci introducono già il personaggio a cui esse si riferiscono. Cambiando la n di Zeno in r otteniamo zero, ovvero la nullità, mentre Cosini rappresenta la mediocrità e la piccolezza.
Infatti Zeno è un uomo comune che conduce una vita comune in una Trieste Belle Epoque. Non ha bisogno di lavorare duro perché è nato benestante e perché ha l'astuto signor Olivi ad amministrare il “suo” patrimonio.
E' sempre assorto e perennemente indeciso. Ogni qualvolta vuole intraprendere una qualche azione rimpiange il suo contrario, finendo per non combinare nulla. Ciò avviene nella scelta dell'università, dove fa continuamente la spola fra le facoltà di chimica e giurisprudenza,e anche nella scelta della moglie: di 4 sorelle finisce per chiedere la mano di 3, sposandosi infine con la più bruttina e più virtuosa, Augusta. Nonostante ciò per colmare il vuoto e la noia della sua esistenza decide di avere una relazione con la dolce Carla però anche qui le indecisioni e le elucubrazioni mentali sono le predominanti. Quando è con Carla pensa ed ama follemente Augusta mentre quando è con Augusta pensa ed ama follemente Carla. Inoltre bisogna aggiungere i suoi continui propositi che si rivelano essere giustificazioni dei suoi vizi, in primis l'assuefazione alle sigarette. E infine non si deve dimenticare la sua fissa per le malattie. Si sente sempre pieno di dolori immaginari e perciò ripiange chi ha dolori concreti e si imbottisce dei più variegati farmaci. Cosicché per far cessare le sue fitte e i suoi formicolii si affida alla neonata psico-analisi, nella persona del Dottor S. il quale lo invita a iniziare un diario dove ripercorrere il suo passato. Tuttavia il caro Zeno per l'ennesima volta non porta a termine tale compito ma questa volta perchè fa una scoperta incredibile... Ma il Dottor S. non molla e per convincerlo a tornare in cura da lui fa pubblicare addirittura il suo diario, rendendo nota a tutti la sua storia.
La coscienza di Zeno segna un passo fondamentale nella letteratura italiana ( ed europea) del Novecento in quanto supera definitivamente la narrativa ottocentesca e l'esperienza verista aprendo la strada alla letteratura d'avanguardia (che avrà come promotori anche Proust e Joyce, strenuo ammiratore di Svevo) dove diviene protagonista la coscienza interiore dell'io narrante, che assorbe nel racconto tutta la sua incertezza, la sua scarsa considerazione di una logica consequenziale degli eventi. E così i D'Artagnan e le Anna Karenina del XIX secolo vengono surclassati dall'ordinario antieroe Zeno Cosini, con le sue incertezze, i suoi propositi mai realizzati e le sue manie mentali. Il tutto narrato da uno stile sufficientemente scorrevole ma al limite del banale, assolutamente lontano dalla suspense di Dumas o dai fuochi di Pirandello o dal fascino di Tolstoj.
Ciò che contraddistingue l'opera di Zeno è la disarmante semplicità della vicenda che rasenta la piattezza ma che d'altronde non potrebbe essere diversamente, essendo l'opera presentata come il resoconto di un uomo scialbo sulla sua scialba vita. Per questo motivo la Coscienza di Zeno non ha colpito minimamente il sottoscritto,anche per l'incompatibilità del suo carattere con quello di Zeno il quale più volte lo ha fatto esasperare con i suoi cervellotici piagnistei , facendogli preferire di gran lunga il più faticoso ma più scoppiettante Uno,nessuno e centomila pirandelliano.
Ad onta di ciò, come direbbe Svevo, consiglio questa opera che per la modernità del messaggio e per la novità dell'introduzione della psico-analisi al fine di scavare nei recessi dell'animo umano e della sua decadente esistenza non può non essere tralasciata, in quanto ha segnato la storia della letteratura, ma siamo sinceri. La Coscienza di Zeno non ha nulla a che vedere con il capolavoro. Buona lettura!
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Commenti
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Non mi pare strambo il tuo pensiero perché credo che la lettura di uno stesso libro dopo un tempo abbastanza prolungato possa farci appassionare ( ma anche disprezzare) di più a quell'opera! Qualora tu lo rilegga, fammi sapere se il tuo giudizio sia mutato o meno!
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Valentina