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Immutabilità patologica
Siamo in pieno Risorgimento e lo sbarco a Marsala di mille camicie rosse guidate dal generale Garibaldi porta un’irreversibile sconvolgimento socio-politico negli equilibri siciliani: l’aristocrazia borbonica, classe finora dominante sull’isola, sta per essere soppiantata dall’ambiziosa e ascendente borghesia. Don Fabrizio, principe di Salina, vive questi cambiamenti con l’amara consapevolezza dell’inevitabile declino del ceto cui appartiene. Imponente, colto, elegante, ma anche burbero, altero, diffidente e tormentato da funerei pensieri, il protagonista del libro dedica il suo tempo alla caccia, a qualche peccatuccio extraconiugale e soprattutto allo studio degli astri, vero e proprio rifugio per la sua anima troppo spesso angustiata. Intelligente e scettico, si rende presto conto che l’impeto innovatore nato con l’Unità d’Italia porterà soltanto l’illusione del cambiamento, ma le cose resteranno sempre uguali. Anche il sorpasso che l’aristocrazia subisce nella scala sociale serve a ben poco, anzi, non fa altro che peggiorare le cose, perché manda al potere una borghesia incolta e ferocemente assetata di potere e denaro. Per salvare il salvabile Salina si vedrà costretto a fare buon viso a cattivo gioco e ad imparentarsi con uno dei maggiori rappresentanti del rozzo ceto rampante, il tanto disprezzato Calogero Sedara, esempio lampante di una nuova classe dirigente arricchitasi troppo in fretta. Ma il matrimonio tra il suo amato nipote Tancredi, per lui l’unico discente degno di essere il suo erede, e Angelica Sedara, pur permettendo la sopravvivenza del suo antico e nobile casato, non riuscirà comunque a salvare il Principe disilluso da un’inevitabile morte spirituale, nonché fisica. La bellezza della Sicilia, il fascino dell’epoca in cui il romanzo è ambientato, il carisma di Don Fabrizio, lo stile elegante dell’autore sono tutti elementi che rendono quest’opera uno dei maggiori capolavori della letteratura del novecento. Interessante l’analisi storica, ottima quella psicologica del protagonista, ricercato il lessico, piacevole la presenza di personaggi secondari simpatici e ben curati come Padre Pirrone, Don Ciccio Tumeo e il cane Bendicò. Bella e struggente la parte dedicata alla morte di Salina, ma il meglio dell’opera sta forse nel dialogo tra il Principe e il prefetto Chevalley, aspra, rassegnata e pungente constatazione sull’immutabilità patologica della Sicilia e dei Siciliani, ma più in generale dell’uomo e del mondo intero. “Tutto cambia affinché nulla cambi” è un motto certamente ancora e sempre più valido in un’epoca, la nostra, caratterizzata da una finta politica dell’alternanza e dalle frottole del bipolarismo e del “voto utile”.
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Commenti
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"I siciliani non vorranno mai migliorare, per la semplice ragione che credono di essere perfetti"
"Il sonno è ciò che i siciliani vogliono ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali..."
Fortunatamente l'atteggiamento per la maggior parte di noi siciliani è cambiato.
Ciao
@Maria: "questo paese che a poche miglia di distanza ha l'inferno attorno a Randazzo e la bellezza della baia di Taormina, ambedue fuor di misura, quindi pericolosi; questo clima che c'infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi......Lei non lo sa ancora, ma da noi si può dire che nevica fuoco, come sulle città maledette della Bibbia" ...eh si, in quel dialogo ci sono dei passaggi memorabili!!! Grazie Maria, un saluto alla tua bellissima terra .-)
l'ho letto tanto tanto tempo fa.......
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Complimenti!
Pia